L’Italia e tutte le altre, il borsino di un lungo mese di rugby internazionale

Squadra per squadra, cosa ci lascia il lungo giugno ovale. Con un occhio anche alla vittoria All Blacks

test match rugby

ph. Reuters

Si è concluso il lungo giugno internazionale, che ha visto le squadre di tutta Ovalia in campo nei tradizionali incroci. Ecco il nostro borsino dopo tante partite internazionali.

 

 

Italia: il difficile viene ora

Una brutta sconfitta quasi senza giocare, una sconfitta giocando tanto possesso, una sconfitta che poteva benissimo essere una vittoria. C’è una crescita nel giugno della nostra Nazionale, che ha idealmente chiuso il primo anno di Conor O’Shea iniziato dallo scorso tour delle Americhe. Dodici mesi che hanno permesso al tecnico irlandese di conoscere il nostro movimento, le risorse tecniche a disposizione per competere nell’Alto Livello e le aree critiche su cui è necessario intervenire. La squadra che andrà al Mondiale è più o meno definita, con il ritorno di Tebaldi, le belle prestazioni di Budd, Maxime Mbandà ormai punto fermo del pack e un Simone Ferrari imprescindibile in prima linea. Il difficile viene ora, coi tanti cambiamenti che O’Shea ha chiesto e che sono necessari: ma a partire da novembre e in vista del Sei Nazioni, è fondamentale ingranare da subito e trovare almeno una vittoria.

 

 

Scozia: bicchiere mezzo pieno per Toony

La sconfitta raccolta a Suva sabato scorso contro le Fiji non può non aver lasciato l’amaro in bocca, perchè – dopo il grande inizio di Singapore contro l’Italia e, soprattutto, la bella vittoria raccolta a Sydney contro i Wallabies – la Scozia di Townsend ha fallito la prima prova della verità.

Non ci sono colpe particolari – e Toony ha anche più di qualche alibi, con l’assenza pesantissima nell’economia del gioco dei Dark Blues di Finn Russell, convocato coi B&I Lions solo come copertura-infortuni per i test infrasettimanali cui vanno sommate quelle di Stuart Hogg, Tommy Seymour e capitan Greig Laidlaw e la scelta di concedere ad Alex Dunbar una settimana di riposo anticipata – ma sicuramente tutti si aspettavano che la Scozia scendesse in campo all’ANZ Stadium con un piglio diverso. I troppi placcaggi mancati sono costati carissimi ma in generale l’impressione è che la Scozia fosse stanca e con poche idee – e che il “2nd XV” dei Dark Blues non sia competitivo come le prime scelte.

Il bicchiere resta però sicuramente mezzo pieno, perché (almeno nei primi due test) la mischia scozzese è apparsa in buone condizioni, i set-pieces sono stati funzionali per creare piattaforme pericolose, la difesa ha funzionato e i trequarti, quando sono ispirati e messi nelle condizioni per fare male, si sono sempre fatti trovare pronti. Townsend, oltretutto, ha recuperato elementi come Ben Toolis e Greig Tonks, che potrebbero avere un ruolo importante nei prossimi test match autunnali e confermato che Duncan Taylor è una pedina fondamentale (e non solo per la sua versatilità).

 

 

Francia: tre passi indietro nel gioco

Il cappotto subito in Sudafrica fa scendere e non di poco la valutazione sulla squadra transalpina che, a dispetto di un Sei Nazioni piuttosto positivo, si è ritrovata in questa finestra di giugno con numerosi punti interrogativi che andranno risolti. In squadra regna la confusione: a causa dei numerosi infortuni e di una stagione snervante come quella del Top 14, Guy Novés ha dovuto portare in tour numerosi debuttanti, che hanno dimostrato di non essere ancora pronti ad essere lanciati sulla scena internazionale. In più, proprio il selezionatore francese sembra essere sulla graticola: Bernard Laporte ha fatto capire a più riprese di non essere d’accordo con le sue scelte tattiche e che in questo momento – come riportano alcuni media d’Oltralpe – un esonero non avviene semplicemente perchè non vi sono alternative. In un’intervista a Midi Olympique, Laporte ha detto di aspettarsi tre vittorie a novembre; “altrimenti il mese di novembre sarà decisivo per capire il futuro della Nazionale francese”.

Complessivamente quindi i Bleus sembrano aver compiuto un deciso passo indietro, perdendo quelle convinzioni e quella confidenza acquisite pochi mesi fa. Il giudizio non può che essere negativo con un rimando a novembre, dove di solito fra le mura amiche i galletti sanno trovare performance decisamente più all’altezza del proprio prestigio.

 

 

Sudafrica: c’è luce dopo il 2016

Dopo l’annus horribilis 2016, si vede un barlume di luce in fondo al tunnel. La squadra di Coetzee pare aver ritrovato qualche certezza e soprattutto chiarezza nei ruoli fondamentali: fra gli avanti la freschezza di Marx e Kolisi, che legata al carisma di Etzebeth e Whiteley ha ridato un certo ordine in mischia, touche e breakdown mentre l’investitura (anche forzata dalle contingenze) di Elton Jantjies come apertura ha rivelato un gioco offensivo che se attivato correttamente può portare una coppia di centri come quella formata da Serfontein e Kriel a creare spesso break profondi; senza dimenticare le gambe di Skosan, che ha il compito di non far rimpiangere un certo Bryan Habana.

Gli Springboks sono tornati? Il Championship e i Test Match di novembre daranno sicuramente la risposta, anche se per ora l’idea di poter rivaleggiare con gli All Blacks è decisamente poco possibile.

 

 

Inghilterra: tutta la profondità del mondo

Giù il cappello per il XV della Rosa e per il movimento inglese, capace di formare giovani già pronti per l’alto livello. Pur senza tantissimi titolari, e senza uomini chiave per il gioco di Eddie Jones, Hartley e compagni hanno vinto due spettacolari partite contro l’Argentina. Un gruppo in cui figuravano 17 esordienti e pochi senatori, che non hanno sentito la pressione dei padroni di casa e offerto due prestazioni di qualità.

A trascinare la squadra ci ha pensato un sontuoso George Ford, vero ispiratore per i suoi compagni e autore forse delle migliori partite con la maglia della nazionale, mentre Joe Launchbury non ha fatto altro che confermare i dubbi sulla sua esclusione dal tour dei Lions. Per il futuro, invece, da tenere d’occhio i vari Tom Curry, Nick Isiekwe e Sam Underhill, al loro debutto in Sudamerica.

 

 

Australia: lontana parente della finalista al Mondiale

Michael Cheika non può essere soddisfatto. Se pensiamo all’Australia finalista due anni fa al Mondiale, il calo c’è ed è netto, considerando anche il tris di sconfitte maturato contro l’Inghilterra un anno fa. Una sconfitta contro la Scozia e una vittoria non certo convincente ai danni degli Azzurri non possono certo bastare ad un movimento alle prese con una difficile situazione interna (c’è da scegliere chi tagliare dal Super Rugby), franchigie che faticano a tenere il passo ed una Federazione al centro delle critiche per la gestione dell’intero movimento sempre più all’angolo nella panoramica nazionale. Con un Sudafrica in netta ripresa, si prospetta un Championship difficile per i Wallabies.

 

 

Irlanda e Galles: missione compiuta

Vero che gli avversari non erano Tier 1 e che dopo l’exploit iridato il Giappone ha avuto un calo, ma segnare 85 punti in due partite ai nipponici non è cosa da tutti. Per i verdi di coach Joe Schmidt doveva essere il tour per sperimentare e far esordire, senza però perdere di vista prestazioni e risultati. Obiettivo raggiunto.

Discorso simile per il Galles, che oltre ai giocatori ha ceduto ai Lions anche i due uomini principali dello staff tecnico. Con la guida di Jamie Roberts, i Dragoni hanno battuto a domicilio Tonga e Samoa, avversari sempre ostici davanti al proprio pubblico.

 

 

Fiji: due vittorie pesantissime

Rispetto alle parenti strette Samoa e Tonga, i figiani meritano un discorso a parte. Dopo un primo match contro l’Australia con poche note positive, gli uomini di John McKee hanno beneficiato del fattore casalingo e hanno strappato gli scalpi dell’Italia e – soprattutto – della Scozia, che appena una settimana prima aveva battuto i Wallabies. La progressione nei risultati è figlia delle consuete difficoltà nel trovare il giusto amalgama in tempi brevi, ma le qualità individuali sono fin troppo notevoli per non emergere in un modo o nell’altro. E i vari Nakarawa, Yato, Nagusa e Tuisova ora sembrano aver trovato anche un direttore d’orchestra all’altezza del compito, ovvero quel Ben Volavola apparso in grande crescita nell’arco delle tre sfide.

 

 

Georgia e Romania: le Tier 1 sono ancora lontane

Dopo aver espugnato Canada e Stati Uniti confermando di essere un gradino sopra le compagini Oltreoceano, i Lelos sono usciti sconfitti 45-29 dal match contro l’Argentina, il più impegnativo della serie. Le squadre di prima fascia sono ancora di un altro livello e la vittoria contro una Tier 1 è ancora rimandata.

Bene invece la Romania, sconfitta a testa alta dal Giappone ma capace di battere il Canada fuori casa (il terzo match contro il Brasile è finito 56-5 e si è disputato a Bucarest).

 

 

P.S. No, non ci siamo dimenticati di All Blacks – British & Irish Lions

Anche perché sarebbe un delitto. La splendida, incredibile meta segnata dalla premiata ditta Williams-Davies-Daly-O’Brien sul finire del primo tempo sembrava poterci regalare una partita davvero equilibrata e giocata punto a punto, ma la mancanza di cinismo e alcune scelte opinabili della selezione britannico-irlandese hanno compromesso il match nei primi dieci minuti della ripresa. Nell’ultima mezzora, del resto, un match non c’è più stato. Gli All Blacks hanno alzato i giri del motore a livelli inarrivabili in quelle situazioni dai Lions, troppo passivi nelle collisioni e totalmente spazzati via nei punti d’incontro dalla furia delle seconde e delle terze linee in maglia nera.

 

Le prime avvisaglie dell’evidente differenza di ritmo e di velocità d’esecuzione erano già arrivate nel primo tempo, ma la reazione sul finire di frazione aveva in parte mascherato l’inferiorità degli uomini di Gatland. Nella ripresa, però, i Lions non hanno potuto più rispondere ad una squadra semplicemente più forte, dall’ineffabile tecnica individuale e che con un piano di gioco relativamente semplice – pochi allargamenti, tante fasi sempre vicine al punto d’incontro, molti passaggi all’interno per evitare le spie Lions – ma eseguito in maniera sublime. Per Gatland e il suo staff, insomma, è la settimana della verità, delle possibili contromosse e degli aggiustamenti da fare a livello tattico. La formazione scelta per il match di Auckland aveva in parte dato ragione al ct neozelandese, soprattutto per il triangolo allargato e l’inserimento di Te’o al fianco di Davies, ma la netta inferiorità nel breakdown potrebbe costringerlo a rivedere alcune scelte nel pack e le strategie da utilizzare nel gioco a terra. L’appuntamento è per sabato a Wellington.

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