Il rugby Seven in Italia, presente e futuro: tre interviste dalla Nazionale in giù

Con coach Vilk, Orazio Arancio e Matteo Mazzantini tracciamo un profilo verticale. E quel progetto/svolta…

italseven italia seven rugby seven

ph. Matteo Zardini

Inizia domani da Mosca la stagione della Nazionale Seven, con la partecipazione alla prima tappa del circuito targato Rugby Europe. Dopo aver chiuso in crescendo la scorsa stagione e aver identificato un gruppo con cui dare continuità, l’obiettivo è trovare da subito l’alchimia di squadra per migliorare nei risultati. Ma la competitività, come ci hanno raccontato coach Andy Vilk e il team Manager Orazio Arancio (34 caps dal 1993 al 1999), passa dalla creazione di una squadra stabile che si dedichi esclusivamente al Seven durante tutto l’arco della stagione: un passo importante e che potrebbe realizzarsi grazie all’ingresso della versione ovale ridotta tra gli sport olimpici. Ma sotto la Nazionale come vanno le cose?

 

  1. Assieme all’head coach dell’Italseven Andy Vilk parliamo proprio delle difficoltà che l’adattamento di un giocatore di 15 comporta e degli obiettivi stagionali della squadra.
  2. Il Team Manager Orazio Arancio parla del progetto che potrebbe portare ben presto alla creazione di un gruppo stabile.
  3. Matteo Mazzantini, tecnico regionale presso il CRV, ci fa capire che un rugby Seven territoriale è possibile.

 

 

Andy Vilk: riambientamento 15-7, continuità, Accademie e tecnici

Coach. L’anno scorso un avvio difficile per poi trovare l’alchimia…

Il primo giorno a Mosca è stato un battesimo di fuoco, con una squadra nuova: 9 atleti su 12 esordivano in una competizione ufficiale internazionale di Seven. Però da allora abbiamo reagito bene e la progressione è stata importante: settimi ad Exeter e infine quinti in Polonia. C’è stata una crescita, i ragazzi sono migliorati concludendo le tappe in positivo.

 

Quest’anno si riparte da un punto migliore

L’anno scorso abbiamo creato un core group, che abbiamo integrato con alcuni giocatori che abbiamo visionato durante i raduni, che – in mancanza di un campionato Seven – rappresentano le uniche occasioni per allargare il gruppo. Guardo le partite di Eccellenza, mi confronto con gli allenatori e ricevo consigli: ma solo sul campo si capisce se un giocatore è adatto al Seven. Si può essere veloci, ma la velocità va usata nel modo corretto nello spazio: lì si capisce se c’è o meno l’istinto per il gioco. Ora comunque possiamo contare su un buon gruppo di una ventina di ragazzi, con cui affronteremo le prossime sette settimane.

 

Ottimista?

La maggior parte ha già una stagione di Seven alle spalle e dovremmo partire più preparati. Poi chiaro, i ragazzi del Petrarca sono entrati solo la scorsa settimana e i nostri avversari stanno facendo un lavoro importante pure loro.

 

I nostri giocatori arrivano dal 15. Pro e contro di questa situazione?

Avendo tanto spazio da gestire, c’è una struttura di base offensiva e difensiva da capire. Poi però vogliamo siano liberi di esprimersi e di provare in velocità, con offload, step e corse profonde. Ma sempre all’interno di una struttura stabilita.

 

La nostra tradizionale idea di rugby e i nostri principi ci limitano negli spazi allargati del Seven?

E’ un dato di fatto che il contatto ci è sempre piaciuto ed è parte integrante del nostro rugby. Stiamo lavorando, per esempio, per essere anche rognosi sui punti d’incontro, che aiuta e mette in difficoltà l’avversario. Diciamo che stiamo cercando un nostro stile Seven: non le Fiji che evitano il breakdown, non l’Australia o il Sudafrica che vanno da punto d’incontro all’altro. Qualcosa di simile al gioco di Stati Uniti e Inghilterra, ovvero un mix dei due stili.

 

Quando vi ritrovate quali sono le maggiori difficoltà?

Sicuramente nel Seven porti l’esperienza del 15, ma ci vuole tempo per riambientarsi. Sono trascorsi mesi senza attività prima del nostro raduno, quindi i primi allenamenti non possiamo lavorare su principi e struttura ma solo sul riambientamento e riprendere confidenza con gli spazi allargati. Per noi avere più continuità sarebbe fondamentale.

 

E per i giocatori che partecipano all’attività?

In questo momento sappiamo che non c’è un campionato Seven, quindi i giocatori coinvolti hanno poca continuità. Ora puntiamo su amichevoli come quelle fatte in Spagna e in Israele per dare ai ragazzi la sensazione del gioco. E per imparare ad affrontare un torneo Seven: le gestione fisica e mentale che l’atleta ha di se stesso è completamente diversa da una partita di 15, dove ti carichi per dare tutto in 80 minuto. In un torneo giochi più partite in un giorno e se arrivi mentalmente e fisicamente scarico alle ultime è finita.

 

Le nostre avversarie integrano 15 e Seven o si dedicano esclusivamente a quest’ultimo?

Portogallo, Georgia e Polonia condividono giocatori con il 15. Spagna e Russia da 10 anni lavorano con un gruppo esclusivo per il Seven, la Germania da 3. E considerando i progressi della Germania, siamo convinti che non servano decenni per vedere risultati concreti. Quello tedesco è l’esempio perfetto: partiti quasi da 0, investimenti mirati e competitività raggiunta.

 

Serve un gruppo esclusivo dedicato al rugby a sette, insomma

L’obiettivo è arrivare ad un gruppo Seven stabile con ragazzi che si dedicano solo a quello. Per diventare competitivi è quello il passo. C’è una questione anche politica e gestionale, ma io chiaramente guardo al campo. Il nostro problema è che finite le tappe europee restiamo senza attività fino a febbraio: 6-7 mesi in cui non diamo continuità.

 

Seven e Accademie. Com’è il dialogo?

Facciamo del lavoro con le Accademie Under 18 per portare il Seven ai ragazzi. E’ anche un modo per valorizzare o comunque far sentire coinvolti i ragazzi che magari non passano alla Francescato. Li coinvolgiamo anche nei tornei estivi italiani partecipando con le squadre.

 

La formazione di allenatori Seven come procede?

Ogni anno teniamo un corso di Livello 1 e Livello 2 per il Seven, che facciamo contemporaneamente ai raduni della squadra in modo che si possa lavorare in campo con i ragazzi. Poi gli allenatori che formiamo girano nei club o nei momenti di incontro organizzati dai Comitati e in questo modo puntiamo a far crescere il movimento sette sul territorio.

 


 

Orazio Arancio: il progetto gruppo stabile e il concorso

Obiettivo squadra unica. Quanto serve?

L’obiettivo è quello e farebbe tanta differenza. Nel Seven i dettagli fanno un’enorme differenza e per lavorare su quelli serve continuità a tempo pieno.

 

L’ingresso del rugby Seven tra le discipline olimpiche ha aperto nuove strade?

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ph. Matteo Zardini

Da quando il Rugby Seven è divenuto disciplina olimpica, ciò ha aperto la possibilità di coinvolgere i gruppi sportivi delle Forze Armate. Le Fiamme Oro, intese come corpo sportivo, sono molto sensibili al rugby. Lo scenario ideale? Un concorso ad hoc per entrare in questo gruppo stabile del Seven. Alcuni ragazzi da tempo in squadra hanno già espresso il desiderio di farne parte lasciando completamente il 15 (non ci sarebbe alcune interferenza con l’attività a 15 delle Fiamme Oro, ndr) a testimonianza dell’importanza del progetto. Credo che i tempi siano maturi per fare questo passo.

 

A livello territoriale come procede?

Il grande rammarico è non riuscire ad organizzare campionati Juniores. L’attività Under 16 e Under 18 finisce tra aprile e maggio, ci sarebbero dei mesi da dedicare alla pratica del Seven. Ma non dimentichiamo che altre discipline prendono sempre più piede, come il Beach Rugby, e che l’obbligatorietà non è la strada: il Seven deve essere un piacere, non un obbligo. Ogni Comitato potrebbe organizzare un circuito regionale per categorie, ad esempio. Siamo aperti ad ogni possibilità. Forse servirebbe capire di più l’importanza del Seven nello sviluppo del giocatore e delle sue abilità.

 

Un campionato estivo in stile Premiership7s, anche più concentrato?

Sarebbe ottimo, questo è ovvio. Comunque siamo aperti ad ogni proposta ed in passato non sono mancati progetti estivi dedicati alle squadre di Eccellenza e alle franchigie. Di Seven magari si parla poco, ma c’è molto movimento e non mancano proposte.

 


 

Matteo Mazzantini: promuovere il Seven sul territorio

ph. Jason O'Brien/Action Images

ph. Jason O’Brien/Action Images

L’ex mediano di mischia azzurro, 9 caps tra il 2000 e il 2003 e una carriera di club in giro per la Penisola, svolge l’incarico di Tecnico Regionale presso il Comitato Regionale Veneto dopo essere stato Responsabile Tecnico dell’Accademia Zonale di Torino. Da anni è un grande sostenitore del Seven, come ci aveva raccontato in un’intervista dello scorso anno. Ora che i campionati sono terminati, promuove e organizza in prima persona sul territorio veneto tornei e momenti di incontro dedicati al Seven.

 

“Il rugby a Seven è un momento formativo importante per i nostri ragazzi – ci ha raccontato – Il nostro impegno è quello di diffondere sia il gioco che la cultura del rugby a sette. L’attività riguarda squadre Under 14, 16 e 18: se si pensava che per l’Under 14 potesse non essere adatto, abbiamo ben presto capito che anche a quell’età è divertente ed enormemente utile. In dieci giorni di allenamenti i ragazzi acquisiscono capacità tecniche e fisiche che si trasmetterebbero in un mese di allenamento a 15”.

 

Un impegno rivolto a tutte le società: “Abbiamo chiesto alle società venete un’adesione di massima al progetto e una ventina hanno dato la propria disponibilità. In base a questo, si è stabilito come e dove organizzare l’attività sotto forma di tornei, aperti anche a squadra di altri Comitati”.

 

di Roberto Avesani

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