Gestione e valorizzazione dei giovani: Roberto Manghi e i suoi Diavoli

Il tecnico dei rossoneri legge il rugby presente. Tra Accademie, salto nel professionismo e costruzione del futuro

roberto manghi rugby reggio

ph. Rugby Reggio

Dopo due prestazioni a testa alta contro Rovigo campione d’Italia alla prima giornata e Mogliano, Reggio Emilia ha centrato sabato contro le Fiamme Oro la prima vittoria stagionale. Un successo importante per una squadra sì neopromossa ma che da subito si è dimostrata avversario ostico e capace di mettere chiunque in difficoltà. Dopo i primi 240 minuti di campionato, abbiamo intervistato il Direttore Generale ed head coach dei Diavoli Roberto Manghi.

 

 

Coach, quanto è importante il risultato contro le Fiamme Oro?
E’ una bella soddisfazione anche se va detto che non è stata la nostra partita migliore. Abbiamo messo in campo una buona diesa, nostro punto di forza, ma abbiamo giocato peggio rispetto alle prime due di campionato dove meritavamo di più, sia contro Mogliano sia con Rovigo in casa, contro cui abbiamo giocato un ottimo primo tempo. La differenza sta nel fatto che contro le Fiamme Oro il gruppo ci ha creduto fino in fondo: avevamo benzina e tanta voglia di fare risultato. Negli ultimi minuti tutta la squadra ha dato una dimostrazione di forza straordinaria mettendo in campo tutta la voglia di vincere che avevamo in corpo. E il successo è arrivato.

 

 

Nelle prime due giornate avete comunque dimostrato di poter dare filo da torcere a chiunque…
Il calendario non ci ha certo favorito: tuttavia abbiamo dimostrato di essere all’altezza dell’Eccellenza e che la promozione dello scorso anno non è un caso ma il frutto di un duro lavoro di programmazione che il club ha costruito per continuare a crescere ed ambire a qualcosa d’importante. I miei Diavoli vanno sempre in campo per imporre il proprio gioco. Talvolta commettiamo errori dovuti a inesperienza, del resto siamo qui per crescere. La rosa è molto giovane: una scelta precisa, quella di investire sui giovani. Sono sicuro che dai nostri errori diventeremo più forti e non è retorica dire che la nostra forza è il gruppo, compatto e con tanta voglia di lavorare.

 

 

Contro i cremisi in campo c’erano tre ’96, un ’97, un ’94, due ’93…
Lo ripeto: questa è la nostra filosofia. Dall’inizio del campionato otto giocatori hanno esordito nella categoria, contro le Fiamme Oro i giovani in campo erano davvero tanti. Ma questo è un campionato che va giocato con i giovani e alcuni giocatori d’esperienza. Dopo tre partite posso dire che i nostri ragazzi sono all’altezza dell’Eccellenza. Ci sono margini di crescita per ognuno, ma tutti hanno una gran voglia di fare del proprio meglio dentro e fuori dal campo.

 

 

Avete perso Mandelli, un giocatore molto importante per la vostra squadra…
Roberto immaginava il proprio futuro come allenatore. Gli è capitata una buona occasione, lui voleva sfruttarla e io gli ho consigliato di coglierla. Questo non toglie nulla ai nostri anni di collaborazione, di stima e di amicizia: sabato ci siamo salutati alla Canalina dopo la vittoria.
Se abbiamo perso uno dei nostri punti di forza, debbo dire che i giovani ci stanno dando soddisfazione. Martani, che è uscito dall’Accademia e che ha preso idealmente il suo posto, sta facendo ottime cose. Certo, per ogni giocatore di esperienza che se ne va, debbo provare tre giovani, ma è una cosa che sia io sia il Rugby Reggio facciamo volentieri.

 

 

Come valuta i ragazzi che escono dall’Accademia?
Il movimento di Eccellenza deve essere una fucina di giovani. L’Accademia è un sistema di formazione in cui io credo: i nostri ragazzi hanno i fondamentali, hanno imparato un buon modo di allenarsi, punto di partenza per competere nell’alto livello. Dal punto di vista tecnico, noi gli offriamo l’opportunità di mettersi alla prova con i giocatori di esperienza e di giocare nel massimo campionato italiano. Dal punto di vista umano, invece, da noi trovano una società che crede molto nella formazione universitaria: il club ha fatto sacrifici importanti per adeguare gli orari di allenamento con quelli delle lezioni, ad esempio programmando solo due allenamenti nel primo pomeriggio. Dal punto di vista fisico ci appoggiamo a due palestre, una a Reggio e l’altra a Parma: i nostri preparatori si spostano per seguire chi studia in una o nell’altra città.

 

 

Che futuro si prospetta ad un ragazzo che oggi gioca in Eccellenza?
Penso che oggi in Italia un giovane che pensa al proprio futuro non possa immaginarlo al 100% nel rugby. Almeno fino a un certo livello dove chi ci arriva deve aver comunque costruito anche altro, altrimenti rischia di bruciarsi il futuro. Numeri alla mano, l’opportunità di diventare professionista riguarda pochi, quindi è necessario pensare al doppio binario: gioco e studio, vita fuori dal campo, per non trovarsi ad una certa età senza molto in mano. Noi lavoriamo su questo con i nostri giovani: li aiutiamo a crescere come atleti ma li sosteniamo anche nel loro percorso di studi, ovvero nella costruzione del loro avvenire professionale. Il rugby è uno sport di valori importanti per definire la personalità dei giovani, ma non si può dimenticare che è studiando che si creano le basi per vivere.

 

 

Quali sono i rischi per un giovane che si affaccia nel rugby professionistico?
Dimenticare che esiste un mondo fuori e soprattutto pensare di essere già arrivato quando, al contrario, entrare nel rugby professionistico è un punto di partenza. Il rugby deve essere un piacere, se lo vedi come un lavoro normale diventa solo fatica. Occorre quindi lavorare sulle motivazioni di questi giovani che scelgono il rugby professionistico: è un campo su cui ritengo si debbano ancora compiere dei passi in avanti prendendo spunto da esperienze europee ed internazionali dove i giovani giocatori mantengono sempre la voglia di migliorarsi.

 

 

Quali sono gli obiettivi dell’Eccellenza?
Lo dicevo poco fa. Preparare tanti giovani, migliorarli, renderli pronti per la Nazionale e per il livello europeo. Oggi non siamo al livello dei competitor europei, basti vedere come vanno le franchigie che sono sempre nelle ultime posizioni e risultano poco competitive. Del resto hanno budget molto diversi da quelli di molti loro avversari. Quindi la strada è obbligata: rimboccarsi le maniche, puntare sul numero di giovani più alto possibile per creare un serbatoio capiente dal quale le nostre franchigie possano attingere. Se tra un paio d’anni le nostre squadre che competono in Pro12 avranno rose piene di giovani italiani, vorrà dire che tutti abbiamo lavorato bene. Quello deve essere l’obiettivo di noi allenatori d’Eccellenza.

 

 

Può spiegarci il vostro rapporto con il Sudafrica?
E’ una relazione che ben racconta la filosofia con cui opera Rugby Reggio: affiancare alle attività sportive di bambini, ragazzi e seniores, altri settori d’intervento assieme alla nostra comunità. Non è un caso se sulla nostra maglia da gioco quest’anno abbiamo un logo che celebra i 40 anni di amicizia tra Reggio Emilia e il Sudafrica. Lo abbiamo realizzato assieme al Comune perché la comunità reggiana ha sempre avuto importanti relazioni con quel mondo: Reggio Emilia ha sostenuto in passato i movimenti anti-apartheid (quando Mandela si insediò come Presidente fu l’unica città italiana invitata alle celebrazioni in Sudafrica, ndr). Siamo partiti dal rugby per dare vita a una relazione che spazia nella cultura, nel sociale, e in scambi economici tesi a promuovere scambi di esperienze giovanili. Sportivamente parlando il nostro partner sono i Lions di Johannesburg, un colosso rispetto alla nostra realtà, certo, ma dopo aver incontrato il presidente De Klerk, con il vice De Munik stiamo costruendo progetti davvero importanti, anche grazie al fatto che nel loro staff hanno ex giocatori che conoscono bene l’Italia per avervi militato. Poi è bellissimo che in virtù di tutto questo, i nostri atleti sudafricani siano accolti come fratelli a Reggio Emilia.

 

 

Dal paese Sprinbgoks arrivano soprattutto seconde linee…
Sono arrivate delle seconde linee perché in Italia non ci sono giocatori di quel livello fisico. Ma per il resto tutto si può fare, anche con una squadra di ragazzi del territorio che condividono esigenze e obiettivi. Bisogna tornare a far giocare i giovani e credere in loro, in Eccellenza e ancora più in Serie A: certo, possono farti perdere qualche partita per inesperienza ma quando vinci la soddisfazione è maggiore perché sai di aver creato qualcosa. Un giovane più gioca più cresce: un giocatore a fine carriera no e qui sta la differenza.

 

 

E’ vero che questa Eccellenza sarà molto combattuta?
Sì e questo è un bene. La classifica è abbastanza corta e c’è stato un buon livellamento anche perché molti si sono appoggiati a giocatori giovani. Credo sarà un bel campionato con alcune sorprese: chi parte più in alto ha alcuni vantaggi, certo è che il nostro obiettivo è dare filo da torcere a tutti perché vogliamo guardare alla parte alta della classifica.

 

Di Roberto Avesani

 

Leggi qui le interviste a Umberto Casellato (Fiamme Oro) e Filippo Frati (coach Viadana)

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