Cultura di club, gioco e la via che sta prendendo l’Eccellenza: il Frati I° da Viadana

Abbiamo intervistato l’head coach della società lombarda che ci ha parlato anche di spogliatoi da pulire e molto altro

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Una nuova avventura a lungo termine dopo quella finita anticipatamente a Rovigo: Filippo Frati dalla scorsa estate è al centro del nuovo progetto Viadana, con un ruolo che va oltre quello di semplice head coach. Il tecnico nocetano ha parlato con OnRugby di questo primo scorcio di stagione. E non solo.

 

Dopo le positive prove in amichevole, come valuta l’avvio di stagione?
E’ forse ancora presto per sbilanciarsi. Possiamo dire che qualcosa del tipo di gioco che vorrei sviluppare si inizia ad intravedere. Nei primi due mesi abbiamo dato la priorità soprattutto ad instaurare una forte cultura di squadra e di conseguenza cercare di cambiare alcune abitudini sbagliate. E’ un approccio al lavoro che ho sempre adottato, a Noceto, a Prato e a Rovigo: ho un metodo ed una filosofia in cui credo fortemente che mette al centro del progetto i giocatori, chiedo loro di mettere sempre la squadra al primo posto, condividere e credere negli stessi valori è indispensabile per lavorare insieme. I risultati delle prime 3 partite ufficiali sono comunque confortanti e sotto il profilo del gioco miglioriamo di settimana in settimana, lo ripeto sempre ai ragazzi, il tempo è dalla nostra parte.

 

Cosa è per lei la “cultura di squadra” e come si declina?
La cultura di squadra è semplicemente il modo in cui si fanno le cose e deve essere un modo chiaro, ovvio ed evidente per tutti. Credo che il comportamento dei giocatori faccia la differenza, soprattutto quando non sono in campo ad allenarsi, quando fanno le cose mentre nessuno li guarda. Con questa mia visione ho voluto coinvolgere tutto il club, compresi sponsor e associati ed è proprio da loro che ho cominciato, prima ancora che con i giocatori.
Sono partito da un concetto molto semplice e pragmatico, ma potentissimo: “fai le cose che devi fare affinché nessuno debba farle al tuo posto”, questo cercando di sensibilizzare tutti sull’importanza che ognuno di noi ha all’interno del club al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. E’ importante condividere il progetto che si vuole realizzare con le persone che portano avanti il club: sono l’allenatore della prima squadra, ma mi sento prima di tutto un uomo “del Rugby Viadana 1970” che partecipa attivamente alla vita della società e sono a disposizione di tutti, dall’under 6 in su.

 

Le basi sono state messe durante un’intera settimana di ritiro in Trentino. Anche perché la squadra è molto cambiata rispetto alla scorsa stagione…
Nei primi due mesi di lavoro possiamo dire che il rugby è stato secondario. Come ho detto in precedenza ci siamo concentrati sulla cultura di squadra, avevamo la necessità, con 14 giocatori nuovi da inserire, di favorire la conoscenza reciproca e di formare un gruppo forte, che stesse bene insieme, che imparasse a volersi bene. Durante la stagione ci saranno momenti difficili, saranno più semplici da affrontare con un gruppo di questo genere.
La settimana in Val di Ledro ha favorito questa coesione: sono stati sette giorni intensi in cui abbiamo toccato palla in una sola occasione, abbiamo proposto attività alternative che hanno messo duramente alla prova i ragazzi e allo stesso tempo ci siamo divertiti tantissimo, perché alla fine divertirsi e provare piacere nel fare le cose che devi fare fa tutta la differenza del mondo per raggiungere determinati obiettivi. Il nostro motto è “divertimento, con uno scopo serio. Vincere!”. Non penso ci sia bisogno di ulteriori spiegazioni.

 

Dopo ogni partita ripulite gli spogliatoi. Anche questo ha insegnato ai suoi ragazzi?
Ho fatto tutto quello che dovevo per arrivare ad avere il brevetto federale di quarto livello, ma non mi è bastato: posso tranquillamente affermare che la parte più importante della mia formazione come allenatore è avvenuta in Nuova Zelanda grazie all’amicizia che mi lega ad un grandissimo coach di Auckland, Geoff Moon, ho avuto la possibilità, nell’arco di due anni tra il 2009 e il 2010, di confrontarmi ed imparare dai migliori. Il nostro sport è in continua evoluzione e quando ti senti arrivato sei morto. Bisogna continuare a studiare e ad aggiornarsi, anche il coach irlandese di Grenoble Bernard Jackman, ha avuto una grande influenza su di me, lo reputo uno dei migliori tecnici d’Europa e presto sentiremo molto parlare di lui.
Credo fortemente nel motto degli All Blacks: “meglio sei come uomo, meglio sei come All Blacks”. Penso lo si possa adattare a qualunque ambito o ambiente professionale. Facevo pulire gli spogliatoi già ai tempi di Prato, e adesso non siamo l’unica squadra a farlo: so che anche le giovanili del Conegliano e il Petrarca hanno questa bella abitudine. Altre squadre fanno qualcosa di simile. Torniamo sempre lì: comportamento corretto, rispetto delle regole e disciplina. Pulire gli spogliatoi è un modo di ringraziare chi mette a tua disposizione uno spazio in cui sei ospite e che cerchi di lasciare nel miglior modo possibile. Lo fanno anche gli All Blacks e ne parla il primo capitolo del libro “Legacy” di James Kerr, giornalista che durante un Tri-Nations ha avuto l’opportunità di trascorrere diverse settimane a contatto con la nazionale neozelandese di cui ha analizzato e riportato i comportamenti richiesti ai giocatori e a tutto il management per fare parte della squadra più vincente della storia dello sport, non solo in campo ma anche fuori, nella vita normale. Il sottotitolo non a caso è “What the All Blacks can teach us about the business of life” e sono quindici lezioni di leadership: in pratica il libro non parla di rugby, ma di come fare per fare bene il tuo lavoro. Un libro che mi sento di consigliare a tutti, che andrebbe tradotto e fatto adottare come libro di testo nelle scuole superiori.

 

Comportamento e talento talvolta non vanno di pari passo: le è mai capitato di fare scelte sportive dettate da comportamenti extra sportivi?
Purtroppo è capitato: da allenatore pretendi dai tuoi giocatori un determinato comportamento e prima di tutto non lo devi disattendere. Noi come staff per esempio non mangiamo mai prima dei giocatori: loro hanno sempre la precedenza. E sempre per restare in questo ambito, non puoi chiedere loro di non usare il telefono a tavola se poi sei il primo a farlo. Per tornare alla domanda, è capitato di dover fare scelte dettate da comportamenti magari non adeguati. Parto sempre dal presupposto che i giocatori non sono tutti uguali e che quindi non puoi trattare tutti allo stesso modo, ma il rispetto delle regole è imprescindibile: chi esce dal regolamento è giusto paghi le conseguenze ed è sempre importante dare un segnale.

 

Il ritiro in Trentino si è concluso con un allenamento congiunto assieme al minirugby. Questa invece è cultura di club…
Quella non è stata una mia idea ma della società. L’occasione si prestava perché l’ultimo giorno nostro di ritiro era il primo loro e si è pensato di organizzare un allenamento tutti insieme, anche per lasciare loro qualcosa. Creare senso di appartenenza è fondamentale per un club. Devo dire che è riuscita benissimo, alla fine dopo il pranzo è nata anche una festa spontanea che ha coinvolto giocatori, bambini e genitori.

 

Torniamo al rugby giocato. Quanto manca per vedere il suo gioco?
Mi rendo conto di cercare di portare avanti un progetto di gioco ambizioso, soprattutto in attacco e in più abbiamo cambiato il sistema difensivo, modificando i codici sia in fase offensiva che difensiva. Il livello raggiunto in questi primi mesi, amichevoli comprese, è confortante. Petrarca a parte abbiamo sempre vinto, e le vittorie sono arrivate in un certo modo. Prendiamo la partita di coppa contro i Lyons Piacenza per esempio, per le motivazioni e con l’esigenza di provare nuove soluzioni: poteva essere un’insidia, contro una squadra in salute che arrivava da un bonus difensivo con le Fiamme Oro in campionato: eppure abbiamo vinto in un modo che mi è piaciuto molto, al di là dei 40 punti a zero.

 

Un rugby che richiede una grossa parte di preparazione atletica…
La preparazione fisica è un fattore determinante del nostro sport, non a caso è stato uno dei primi punti sui quali il nuovo ct della nazionale O’Shea ha puntato il dito. Sono molto contento dello staff con cui lavoro a Viadana. Arrivavo da cinque anni in cui ho lavorato sempre con lo stesso preparatore, Tommaso Boldrini, un grandissimo professionista ora nello staff de La Rochelle in Top 14: diciamo che ero abituato bene! Eppure gli unici rimpianti che ho riguardano il forte legame di amicizia che si era creato tra noi, ma sotto il profilo professionale non ho nessun rimpianto: Sebastiano Peri è come Tommaso un grande professionista e a Viadana negli ultimi anni ha impostato un programma di altissimo livello. La preparazione in preseason è stata la più dura da quando ho iniziato ad allenare.

 

Queste prime giornate hanno confermato che sarà un’Eccellenza più combattuta?
Ha confermato la sensazione che arrivare ai playoff sarà più difficile rispetto alla scorsa stagione. Ci sono squadra più attrezzate per farlo ma noi siamo consapevoli di essere una di quelle. Conto almeno 7 pretendenti per 4 posti, con Petrarca, Calvisano e Fiamme Oro un gradino sopra alle altre e con Mogliano, San Donà, Rovigo e Viadana a giocarsi l’ultimo posto disponibile. Non esisteranno partite semplici né tanto meno scontate: l’anno scorso la salvezza si è giocata in due partite, quest’anno sarà diverso, basta guardare quello che sta facendo Reggio Emilia, neopromossa che dà filo da torcere a chiunque.

 

Un bene per il nostro movimento…
Sono contento, sì. E’ segno che il livello si è alzato. Le statistiche ci dicono poi che in alcune partite si è alzato il tempo di gioco: la prima partita che abbiamo giocato a Padova ha avuto 36 minuti di gioco effettivo, un tempo da pro12 considerando che la media dell’Eccellenza normalmente è di 26/28 minuti. Con i Lyons Piacenza in Trofeo Eccellenza ne abbiamo invece avuti 32, sono segnali positivi e l’augurio è che tutti invertano la tendenza e si propongano per giocare maggiormente palla in mano. Auspico che questo possa diventare un campionato in cui le squadre pensino a giocare anziché a non far giocare. Personalmente ho sempre cercato di giocare un rugby positivo, fatto di possesso palla, strutturato per offrire opzioni differenti ai ragazzi: è un sistema in cui credo e in cui i giocatori si sentono coinvolti e stimolati.

 

E anche agli spettatori magari non dispiace…
Da allenatore non posso non dire che alla fine della giornata la cosa più importante sono i risultati. Ma voglio ottenerli a modo mio ed è stato forse questo che a Rovigo non è piaciuto, creando qualche disaccordo tra me e la direzione sportiva. Ho perso quattro finali scudetto, ma l’ho fatto sempre credendo nel mio gioco, nei miei principi e nella mia filosofia e tornando indietro le imposterei allo stesso modo: credo che un tipo di rugby diverso da drive, pick’go e up and under sia possibile e vado avanti per la mia strada. Giocando le mischie per lanciare il gioco e non per prendere un calcio di punizione a favore. Ora mi sento fortunato perché lavoro in un club che crede in queste cose e che ha fiducia in me. Ed è in questo modo che voglio vincere a Viadana e dare il mio contributo per riportare il club nel posto che merita.

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