Tra palla ovale e palla tonda, quando i valori non sono negoziabili

Donncha O’Callaghan lancia l’allarme contro i “tuffatori”. Una tendenza brutta e, soprattutto, pericolosa

ph. Phil Noble/Action Images

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“There was nothing wrong with [the tackle]. If you want to dive like that again, come back here in two weeks and play, not today. Watch it.” La frase pronunciata da Nigel Owens a Stuart Hogg durante il match iridato contro il Sudafrica al St. James’ Park di Newcastle non ha bisogno di traduzione. Può bastare un semplice riassunto: niente simulazioni, siamo rugbisti. Episodio isolato e da non considerare seriamente, quello che ha visto protagonista Hogg che dopo il tentativo di stoppare il calcio da parte del pilone Mtawarira si è abbastanza poco naturalmente gettato a terra, o tendenza in atto nel rugby moderno?  Per Donncha O’Callaghan la seconda.
In un’intervista a The Rugby Paper il seconda linea irlandese, classe 1979 e 98 caps tra Irlanda e Lions, ha lanciato un appello contro una cultura poco sportiva (e poco ovale) che a suo avviso sta prendendo sempre più piede all’interno di Ovalia e contro la quale i senatori dovrebbero ergersi: la cultura della simulazione. Un episodio simile era avvenuto durante la finale di Heineken Cup 2014 tra Tolone e Saracens, quando l’ala del club francese Habana si era lasciato cadere a terra dopo un minimo contatto con l’apertura dei Sarries Farrell. Per O’Callaghan è arrivato il momento di correre ai ripari (qui sotto le immagini di entrambi gli episodi citati).

 

“Noi veterani del gioco abbiamo un onere: il gioco sta cambiando, ma ci sono tradizioni e atteggiamenti che non possono cambiare”. Il motivo sarebbe l’eccessiva professionalizzazione del rugby, che avrebbe come risultato quello di “far prendere alla palla ovale la strada di quella tonda”. Vero che c’è la questione sicurezza, soprattutto sul gioco aereo, key area su cui gli arbitri hanno concentrato la propria attenzione, “ma non abbiamo bisogno di giocatori che si lasciano cadere come fossero dei frutti”. Chi può fare qualcosa sono per l’appunto i giocatori più esperti: “dobbiamo far capire ai più giovani che se prendi una botta ti alzi e continui. Dobbiamo preservare la sportsmanship in nome della quale amiamo questo sport“. Parole queste assolutamente condivisibili. Vero che il rugby sta cambiando, e molto più velocemente di altri sport, ma esistono valori non negoziabili di fronte ai quali è fondamentale tenere alta la guardia. Opporsi ad uno sponsor che sostituisce il nome del Millennium Stadium è da sciocchi, ma mantenere un elevato standard di sportsmanship significa continuare a marcare una netta linea di confine tra questo e altri sport, e in definitiva preservare ciò che al di là di ogni retorica rende peculiare il rugby. E in tempo di occhi di falco e quaranta telecamere allo stadio, farla franca è davvero difficile. E se davvero si ravvisassero pericolose tendenze, sarebbero necessari interventi più decisi da parte dei direttori di gara. Ne va della credibilità.

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=QalzKWdpdyg

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