Prestazioni sportive, professionismo e credibilità. Il day after del rugby italiano

L’accordo siglato tra giocatori e Federazione può essere un punto di partenza per tutto il movimento. Ma serve un altro passo…

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Sabato 20 giugno 2015, tardo pomeriggio. Sono queste le coordinate temporali che potrebbero rimanere scolpite nella storia del rugby italiano, segnando una data spartiacque nel modo di gestire il rugby professionistico di alto livello nel nostro paese. Già perché questo resterà il giorno in cui la Federazione Italiana Rugby ha riconosciuto “una serie di richieste avanzate dai rappresentanti degli atleti e volte a migliorare, nell’interesse comune, aspetti strettamente correlati alla loro attività”. Sul tavolo non solo la questione premi legata al Mondiale, come in molti hanno scritto, ma anche assicurazioni e spese mediche, e in generale una serie di questioni direttamente legate alla pratica del rugby ad alto livello. Aspetti fondamentali per mettere i giocatori nelle condizioni di esprimersi al meglio delle loro capacità, ovvero con la giusta serenità e disposizione d’animo. Arrivati a questo punto, poco importano le modalità con cui si è arrivati allo scontro prima e al confronto poi, con l’abbandono del ritiro di Villabassa da parte dei giocatori e il clamore mediatico suscitato in Italia e non solo. Certo, si poteva trovare una quadra più “silenziosa” e meno gridata, ma se si è arrivati a questo punto è perché la situazione era evidentemente al limite, e una risoluzione più intima non avrebbe nemmeno permesso di percepirne la reale gravità e portata. Da un certo punto di vista è stato pure meglio così, e in molti hanno aperti gli occhi sulla reale lontananza del rugby italiano dall’Ovalia più evoluta, e di cui troppo spesso tendiamo a dimenticarci per effetto di qualche, sparuta, vittoria.

 

A questo punto, tutti gli attori coinvolti, dalla Federazione ai giocatori, devono avere la solidità e la maturità per fare del 20 giugno 2015 non un punto di arrivo ma di (ri)partenza, nella consapevolezza che finalmente il rugby italiano di alto livello potrebbe aver fatto quel passo di credibilità determinante per poter finalmente iniziare la corsa che ancora lo distanzia dagli altri movimenti evoluti. Nessuno si aspetta che da domani gli Azzurri vincano tutte le partite, ma quantomeno da domani esisteranno parte dei presupposti perché ciò possa verificarsi, perché nello sport professionistico il risultato sportivo (e quello nel ranking) dipende da una miriade di aspetti, diversi dei quali esterni ma non estranei a ciò che accade per gli ottanta minuti del match dentro il rettangolo verde (“Un pensiero a tutte quelle persone che lavorano negli uffici del club e che hanno permesso allo Stade Français Paris di girare come una macchina perfetta”, ha scritto Parisse su Facebook dopo la vittoria in finale contro Clermont). E questo doppio legame campo-fuori campo richiama anche la questione meritocrazia e premi: punire anche economicamente chi non ottiene risultati sportivi ci sta, purché il punito sia stato messo nelle condizioni di esprimersi al meglio e purché la stessa valutazione si applichi anche a chi quelle condizioni ha il compito e il dovere di crearle. In una parola, purché tutto il sistema sia credibile e perché diminuiscano gli alibi a disposizione.

Di Roberto Avesani

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