Ritchie e la lezione inglese: quando la RFU si mise a curare i particolari

I risultati del campo sono il riflesso di quello che si fa o non si fa al di fuori del campo. Fin nei minimi dettagli

COMMENTI DEI LETTORI
  1. stefano nicoletti 20 Aprile 2015, 09:14

    Molto interessante.
    Ultimamente sono monotematico, ma sottolineo la ricerca di una “nuova mentalità”.

  2. Maxwell 20 Aprile 2015, 09:22

    Non ho il tempo di controllare cifre dati numeri e statistiche….. Diciamo che mi fido. 🙂
    Sul fatto di avere un manager che non capisca nulla di rugby ma che capisca di marketing…… Vabbe….. Mi sento come Don Chisciotte e i mulini a vento.
    Nonostante la crisi è impossibile ( per delle persone che hanno a cuore il rugby italiano ) non riuscire a trovare 8 imprenditori o sponsors da 1.000.000 l’anno.

  3. barry 20 Aprile 2015, 10:02

    Tutto bello !! Ma è il minimo per una nazione che vanta 2 milioni 2 di giocatori e x Inghilterra – Francia fa 9 milioni di spettatori davanti alla tv sulla BBC . Noi con 40000 giocatori( esageriamo) e 600 mila spettatori su d-max cosa vuoi curare il dettaglio …..

    • Caraibi 21 Aprile 2015, 01:42

      Se non si inizia mai con queste figure altamente professionali, restiamo sempre con i nostri numeri e poi ci lamentiamo e critichiamo

  4. soa 20 Aprile 2015, 10:32

    Noi si fa tutto un po’ alla buona, così, come capita. Si entra nel pro12 per trattenere i nazionali: i nazionali vanno via (non che sia un male a priori). L’eccellenza è comunque il massimo campionato italiano: non si capisce se pro o dilettantistico (grande male). Non si producono giocatori di livello con costanza: apriamo le accademie, ma non abbiamo i tecnici (gravissima mancanza). Affossiamo gli Aironi, creiamo le Zebre e le privatizziamo: si, vabbè. Potrei andare avanti per ore, ma la cosa non mi rende di certo contento. Quello che fa più infastidire è che ogni tentativo di miglioramento viene spento sul nascere.

  5. gsp 20 Aprile 2015, 10:38

    É indubbio che la cura dei particolari é l’essenza del rugby intenazionale e senza non si va da nessuna parte (si Veda la francia). Peró se si parla di squadra nazionale e un pó in modo minore le celtiche la cura dei particolari tocca a staff ed allenatore.

    Per tutto quello che non riguarda celtiche e nazionale be parliamo tutti i giorni. Ma in modo general e di ‘movimento’ é difficile da trattare come una unica situazione.

    • soa 20 Aprile 2015, 10:46

      @gsp, infatti qui parliamo di cura dei dettagli fuori dal campo, che è proprio il compito di una federazione.

      • gsp 20 Aprile 2015, 10:52

        E @soa se parliamo di Schmidt parliamo di nazionale.. Ovvio, non che l’una escluda l’altra. Ma spero si tenga a mente quando si sceglie il prossimo allenatore della nazionale. E pure il preaidente federale.

        • soa 20 Aprile 2015, 10:55

          Chiaro, l’articolo prende le mosse dalla cura del dettaglio in campo per passare ad evidenziare l’importanza di quello fuori. Ovviamente non si può pensare che il prossimo allenatore della nazionale sia il deus ex machina che sistemerà i guai del nostro movimento, però gradirei molto uno alla Gatland che si è fatto sentire ed ha influito pesantemente il modo con cui la WRU ha gestito la vicenda franchigie-giocatori nazionali.

          • gsp 20 Aprile 2015, 16:29

            A me basterebbe che faccia quello che deve fare nell’ambito della nazionale. Deus ex machina sui poteri che giá ha.

      • Caraibi 21 Aprile 2015, 01:44

        concordo appieno

  6. Emy 20 Aprile 2015, 11:19

    Ma va?!
    Stampare e mettere su un po’ di scrivanie, grazie.

    • boh 20 Aprile 2015, 11:34

      Emy, risposta dell’occupante scrivania standard. …….foglio più foglio meno. ……

  7. malpensante 20 Aprile 2015, 11:27

    Mah. Interessante, certo, ma da noi serve rimetter mano a tutto l’ambaradam e la chiave per me sta nel definire prima di tutto con esattezza di cosa stiamo parlando visto che siamo il regno degli equivoci. Prima cosa da fare definire la esatta separazione tra formazione/domestic (junior, senior) da una parte e alto livello/professionismo/nazionali dall’altro. Due budget, due parrocchie, due strutture, profili differenti in tutti i ruoli dallo staff alle segretarie. Le celtiche non ho ancora capito cosa siano, e non sarà banale definirlo col casino che abbiamo combinato. Diciamo che coi soldi che ci vanno a finire, la soluzione ottimale per come siamo messi ora è che se le pigli direttamente e interamente la FIR: con un po’ di sinergie con quegli’altri inceneritori a banconote di nazionali e accademie, alla fine incassando sponsor e ricavi spenderebbe meno di quanto sputtana ora. Per non far sbronzare i giocatori basta rivolgersi a Presutti o Bordon, per fare del marketing è meglio pescare fuori, e ancora meglio prendere una società “di comprovata esperienza”. Il marketing vero lo si fa col ministero della pubblica istruzione e i club, più bambini e ragazzi giocano, più il rugby diventa popolare. Poi ci sono gli eventi, dal 6N agli AB, e niente puzza sotto il naso per i reality, le gnocche, la pubblicità dei materassi e le comparsate in tv.

  8. Stefo 20 Aprile 2015, 11:31

    Tutto molto corretto, solo che la prima cosa da fare allora sarebbe creare sta figura del CEO/AD/GM chiamatelo come vi pare…e dargli quei poteri che ha Ritchie…c’e’ Ritchie e c’e’ Beaumont…due figure, due ruoli diversi.

  9. ermy 20 Aprile 2015, 21:33

    Ma dai??? E chi ci avrebbe mai pensato? 😀

  10. delipe 20 Aprile 2015, 23:40

    Buonasera
    Non condivido molto questo articolo, a mio parere in certi punti anche un po banale e semplicistico, con tutto il rispetto.
    Dire che “la cura dei particolari è oggi il nuovo elemento che definisce la squadra vincente” oppure che “nel calcio possono esistere risultati rocamboleschi, nel rugby no”.
    La prima non costituisce affatto un elemento nuovo, a mio parere, perlomeno per come lo si vuole intendere.
    La seconda frase è nettamente evidente ed intrenseca nella particolarità di essere uno sport “che non mente in campo” che non serve a suffragare la tesi che si vuole portare avanti.
    Se lo scopo e di darsi una organizzazione piu mirata ed attenta ok, ma francamente non credo ne ai “guru” ne ai “mental coach” come sostenuto in altri articoli.
    E fino a prova contraria la mia apprezzata Inghilterra deve ancora dimostrare se e una squadra di successo dopo i mondiali del 2011….o soltanto un fenomeno di marketing vincente anche per un pubblico e praticanti estemporanei.
    Cosa quest ultima che a noi in Italia servirebbe poco.
    Cordialità

  11. Cannonball 21 Aprile 2015, 02:08

    Articolo che non lascia molto neanche a me. Marketing, comunicazione e promozione sono le uniche cose che funzionano in FIR. Oserei dire purtroppo. Rugby in tv e in chiaro, Olimpico pieno, Adidas etc. sono tutte manovre azzeccate e non scontate per un movimento relativamente piccolo come il nostro. Il marketing e la comunicazione sono curati da Yannick Skender e Patrick Popelin che hanno delle referenze di alto livello sul tema. Dai 4 gatti del Flaminio con dirette TV Rai a metà con il ciclismo siamo passati a vedere la palla ovale a più riprese e su più canali. Questo bisogna ammetterlo.
    Il problema è che sotto la splendida coperta di seta del prodotto immagine-rugby-italia c’è un movimento sportivo che va a velocità dimezzata.
    Altro problema è fidelizzare il pubblico dei campionati “domestic”, dove il fattore identitario di cui parla Rivaro, qui non esiste. Quando si preferisce giocare in B o in A con argentini e oriundi davanti a 300 spettatori, è chiaro che il problema è culturale.
    E poi come qualcuno ha scritto poco sopra, mi sembra quasi doveroso che la RFU abbia questa impostazione. Una struttura professionistica curata nei dettagli che però ancora non è riuscita a ripetere il ciclo vincente di Clive Woodward. Che sia un esempio virtuoso è vero, che sia un esempio perfetto è falso.

  12. andrease 21 Aprile 2015, 11:45

    Beh ma non è che prima dell’arrivo di Ian Ritchie l’Inghilterra facesse schifo e tutto il movimento fosse allo sbando…
    Diciamo che il suo mestiere è stato creare e monetizzare il business del rugby. Chiaramente per farlo era necessario cambiare la faccia della Nazionale tagliando con la vecchia gestione.
    Sergione il barbaro ha fatto la stessa cosa con la Ferrari. Evidentemente Velasco aveva visto giusto tanti anni fa: non è necessario che uno sia del ramo, l’importante è motivare le persone e dare compiti precisi con l’obiettivo di svolgerli al massimo livello. Il “tuttologo tuttofare passionale” deve restare giustamente legato alle realtà amatoriali xchè in quell’ambito è la colonna portante.
    Il professionismo è un’altra cosa e si ha bisogno di specialisti.

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