Premi azzurri e una protesta che non ti aspetti. Ma ora è il momento di trattare

Un tweet che fa discutere, il gruppo ora deve fare attenzione al rischio-boomerang. E se in prospettiva RWC non fosse un male?

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Solo quache anno fa una cosa del genere non sarebbe stata pensabile, nei modi e negli effetti immediati, i social network però hanno cambiato le carte in tavola. La storia ormai è già nota, anche se è cosa di soltanto ieri sera: attorno alle 21 capitan Sergio Parisse ha pubblicato un tweet con tanto di hashtag. Eccolo:

“Dei pensionati sono stanco, al 15° posto del ranking non ci sono andato io ”

Dopo Sergio Parisse sono arrivati tutti gli altri giocatori del gruppo azzurro dai senatori Marco Bortolami, Martin Castrogiovanni, Leonardo Ghiraldini, Mauro Bergamasco e Andrea Masi fino alle ultime (in ordine cronologico di convocazione) leve. Tutti hanno pubblicato il medesimo tweet e l’Ovalia italiana dei social network è letteralmente impazzita tra ritweet, messaggi di appoggio e qualcuno di critica. Una protesta clamorosa e rumorosa, come mai se ne erano viste da queste parti.

 

La questione è quella dei premi azzurri. Il contratto in essere è scaduto con il Sei Nazioni e il presidente federale Alfredo Gavazzi vuole cancellare il gettone e inserire un emolumento esclusivamente legato al risultato. Una decisione che ribalterebbe in maniera totale quella che è la prassi dalle nostre parti e che ha diverse valide ragioni dalla sua per essere sostenuta. Non mancano però dubbi e criticità e OnRugby nel suo piccolo li ha espressi in questo articolo.
Per dirla in breve, slegare il premio legato al risultato da un ripensamento della contrattualistica darebbe l’impressione di un tentativo di risparmiare soldi e basta da parte della federazione: perché se da un lato è vero che i soldi accantonati sarebbero gli stessi dall’altro non si può rilevare che il raggiungimento dei quarti di finale (finora mai ottenuto) presuppone un maggiore introito di contributi da parte della stessa FIR da parte del board internazionale mentre in caso di fallimento non verrebbe sborsato un centesimo.

 

La protesta dei giocatori azzurri va però ben inquadrata: nasce all’interno di questa querelle ma non si rivolge ai contenuti della stessa. Per questi ultimi i giocatori hanno demandato a Matteo Barbini di GIRA di rappresentarli e di portare avanti la trattativa. No, la protesta prende spunto dalle parole un po’ spicce con cui il presidente Gavazzi ha parlato di questa ipotesi di cambiamento alla stampa. Una questione di forma, anche perché a volte la forma è sostanza. Queste le dichiarazioni del presidente federale:
Ripeto, non voglio risparmiare, oggi darei 60mila euro a testa circa per la qualificazione che nel complesso è la stessa cifra predisposta nel 2011 ma io non prevederei la parte del gettone che invece nell’ultimo Mondiale in Nuova Zelanda c’era. La FIR non ha mai speso così tanto per le franchigie come oggi, prima il gettone serviva a coprire una mancanza che oggi non c’è più, i giocatori sono pagati dalla federazioni per 11 mesi all’anno. Bisogna cambiare la mentalità, non sono io che sono sceso al 15° posto del ranking. La discussione è già iniziata, so che ci sono dubbi e mugugni ma credo che alla fine prevarrà il buonsenso. Ad ogni modo il contratto che era in essere è scaduto con la fine del Sei Nazioni, nelle prosime settimane troveremo un qualche accordo. Voglio giocatori, non pensionati.

 

Al momento la protesta sembra raccogliere la grande maggioranza dei consensi, ma queste cose si sa sono estremamente “volatili” e basta poco per cambiare il vento. Parisse e soci per evitare il rischio di una protesta che si trasforma in boomerang devono mantenere ben separata la questione-soldi da quella del tono delle dichiarazioni di Gavazzi. Una protesta così plateale per la vil pecunia potrebbe anche in poco tempo minare anche il sostegno che oggi i giocatori sembrano raccogliere, il messaggio che volevano mandare è stato inviato e siamo sicuri che è giunto pure forte e chiaro alle orecchie di chi doveva arrivare. Esagerare sarebbe per loro controproducente, c’è una trattativa da portare avanti ed è giusto che si faccia dietro a una porta chiusa.

 

Un’ultima cosa. Da ieri sera una delle frasi più ricorrenti è “questo non il modo migliore di avvicinarsi e preparare i Mondiale”. Che il clima attorno alla squadra in qualche maniera oggi non sia dei migliori è evidente (ma due o tre mesi fa, ad esempio, come era? Sicuri che fosse meglio?) ma se questa vicenda e questo episodio nello specifico invece cementasse il gruppo al suo interno? Se portasse ai giocatori una consapevolezza nuova? Non è cosa impossibile.
D’altronde lo ha detto anche lo stesso Parisse una decina di giorni fa in una intervista a Midi Olympique: “Nel 2011 i rapporti tra giocatori e staff (della Francia, ndr) non erano buoni ma un Mondiale è una faccenda di uomini. Se i giocatori prendono in mano il loro destino possono realizzare grandi cose. Perché l’ultima parola è loro, sempre”. Il capitano lo ha già detto, è il gruppo che conta. Avrà ragione?

 

Il Grillotalpa

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