Brunel, tafazzismi e una Scozia che arriva dietro ma ci è davanti

In tanti vorrebbero le dimissioni del ct, ma la toppa sarebbe peggiore del buco. E le cose non cambierebbero

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

In momenti come questi bisogna farsi scorrere l’acqua gelida sui polsi e sulla testa, come dopo una sbronza di quelle giuste. La tentazione della risposta facile, della soluzione immediata ma non necessariamente efficace (anzi) è lì, dietro l’angolo. E quindi secondo la vox populi Jacques Brunel si dovrebbe dimettere. Che in effetti ritrovarsi senza ct a una manciata di mesi dal Mondiale è davvero una grande idea: lo abbiamo fatto poco prima della RWC del 1999, qualcuno si ricorda come è andata?
Il ct dopo il ko contro il Galles è stato chiaro in conferenza stampa quando la prima domanda fattagli riguardava proprio il suo futuro immediato: “Il mio ruolo di ct? – ha detto Brunel – Il mio ruolo ora è quello di cercare di capire come abbiamo potuto giocare un secondo tempo così”. E poi: “Il mio futuro? Saranno il presidente e la squadra a decidere”. C’è anche bisogno di tradurre? Io non mi dimetto e se presidente e giocatori non mi vogliono più mi faccio da parte, ma che lo dicano apertamente.
Una brutta situazione, comunque la si giri, quell’accenno alla squadra significa che probabilmente il rapporto con i giocatori non è certo nel suo momento migliore. Ma le dimissioni di Brunel potevano avere senso un anno fa, al più tardi subito dopo il disastroso tour estivo, ora sarebbero solo una mossa degna di Tafazzi. E, poi, scusate la domanda: per mettere chi al suo posto? Il ballo è già partito e musicisti a disposizione sono quelli che conosciamo.

 

Dal Sei Nazioni 2015 usciamo senza l’ennesimo cucchiaio di legno nonostante alcune delle più pesanti sconfitte incassate da quando siamo nel torneo. Un 3-26 contro l’Irlanda alla prima giornata, il il 29 a 0 contro la Francia, questo 20-61 contro il Galles (47 incassati solo nel secondo tempo, sette mete prese in meno di 30 minuti). Lontano dall’Olimpico di Roma le cose sono andate un po’ meglio, con una prova più che dignitosa a Twickenham impreziosita da tre mete (finita però con un ko da 47 a 17) e con la vittoria di Murrayfield. Ma da salvare nel complesso c’è poco, davvero poco. L’Italia continua ad essere un malato a cui è difficile somministrare cure, anche perché i problemi sembrano essere tanti e molto diversi tra loro: mentale (Castro e Ghiraldini in coro nel dopo-Galles: “Facciamo un errore e poi non sappiamo reagire e rientrare in partita. E’ successo per tutto il Sei Nazioni”), tecnico e fisico. Perché è vero che ormai da qualche anno non c’è più il crollo dopo un’ora di gioco, ma di infortuni ne abbiamo subìti davvero troppi.
A novembre c’erano stati segnali di ripresa, il Sei Nazioni appena concluso non ha registrato passi avanti. E tra tre test-match (tra fine agosto e inizio settembre) inizia il Mondiale.

 

Ma forse dovremmo prenderla un po’ più alla lontana. Il nostro miglior Sei Nazioni di sempre è stato quello del 2013 (con quello del 2007), sarà un caso ma nella stessa stagione il Benetton Treviso chiuse al 7° posto il torneo celtico a soli 4 punti di distanza dal Munster. Poi le nostre due squadre di club più importanti hanno infilato annate negative quando non addirittura da dimenticare. Siamo sicuri che tra le due cose non ci sia una qualche connessione?
Guardiamo la Scozia, ad esempio. Chiude il torneo con il cucchiaio di legno e il whitewash, eppure nel complesso ha dato una impressione di solidità e di margini di crescita superiori a quelle dell’Italia. Siamo sicuri che le prestazioni di Edimburgo e Warriors non c’entrino nulla? Stiamo parlando delle due squadre che assieme al Connacht hanno dato vita negli ultimi anni alle crescite più solide e continue del torneo celtico. E nessuno si stupirebbe se quest’anno Glasgow facesse sua la competizione. Come è messo il Benetton Treviso? E le Zebre che quest’anno dovevano fare un ulteriore salto di qualità?
Se diciamo che la nazionale è lo specchio di un movimento diciamo sicuramente una banalità, ma è anche cosa verissima. E il nostro movimento da anni sta arretrando. L’ultima vera crescita complessiva tecnica risale agli anni ’90, quelli che ci hanno portato nel Sei Nazioni. Poi ci siamo fermati, magari ci siamo allargati da un punto di vista numerico, convinti che dalla quantità potesse sgorgare automaticamente anche la qualità, ma non è così. Abbiamo problemi strutturali profondi da affrontare e superare. Paradossalmente – col senno del poi – il Sei Nazioni 2013 ci ha fatto più male che bene, perché ha mascherato e un po’ nascosto quelle criticità. I fatti ci dicono però che è stato estemporaneo, purtroppo.

 

Possiamo discutere delle scelte di Brunel fino all’infinito: non siamo mai stati detrattori del tecnico francese ma su gestione dei giocatori e le sostituzioni nel secondo tempo delle partite abbiamo sempre manifestato dubbi. Ieri la prima linea Rizzo-Ghiraldini-Castrogiovanni ha giocato benissimo e cambiarla in blocco al 50′ ci è parso un azzardo, anche se il secondo tempo non era iniziato nel migliore dei modi. Almeno altri dieci minuti li avremmo concessi.
Siamo convinti che un tecnico dei calci servirebbe come il pane e che anche un mental coach male non ci farebbe, anzi. Ma sostituire Brunel o costringerlo alle dimissioni ora non servirebbe a nulla, sarebbe anzi controproducente.
Tornando a Tafazzi: val la pena prendersi a martellate dove non batte il sole solo per accontentare la frangia più rumorosa degli appassionati italiani? No, anche perché sono le dinamiche da cambiare, sostituire il cocchiere senza mettere mano alla carrozza sarebbe semplicemente inutile. Brunel lascerà dopo il Sei Nazioni 2016, probabilmente dopo il Mondiale. E’ allora che bisognerà essere giacobini.

 

Il Grillotalpa

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