Senatori sì e senatori no? Un dibattito, forse, ancora prematuro

Tante critiche agli azzurri più esperti. Che, però, ci hanno sempre messo la faccia e hanno ancora qualcosa da dare…

ph. Sebastiano pessina

Dopo le brutte prestazioni estive ed autunnali sono finiti nell’occhio del ciclone ovale italiano, suscitando polemiche e critiche da parte di chi ha visto in loro gli indiziati principali delle brutte prestazioni azzurri. Sarà perché quando le cose vanno male è più facile prendersela con chi c’è da più tempo e che quindi dovrebbe, almeno nelle aspettative, tirare in porto la nave senza farla affondare, ma fatto sta che del cosiddetto gruppo dei “senatori” si è parlato molto dopo il tour in Sudafrica ma soprattutto dopo la sconfitta di Roma contro l’Argentina, ultima tappa di un trittico novembrino non certo esaltante.
Di recente, anche il ritorno di Mirco Bergamasco ha diviso le piazze ovali, opponendo virtualmente chi si è trovato d’accordo con la scelta di Brunel e chi, invece, non ha condiviso il ritorno in gruppo del giocatore. Qualcuno forse sperava di non leggere alcuni nomi nella lista dei trenta apparsa ormai un paio di settimane fa, anche se a onor del vero va detto che la situazione infortunati da questo punto di vista ha “semplificato”, o meglio costretto, le scelte del nostro coach.

 

Troppo spesso però le critiche arrivate sono parse in un qualche modo aprioristiche e forse troppo affrettate, considerando anche il fatto che sono state rivolte ad uno “zoccolo duro” di giocatori che per tanti anni si è messo a disposizione della nazionale e del rugby italiano mettendo sempre la faccia tanto nelle (poche) vittorie quanto nelle molte sconfitte. Chiudere una carriera internazionale non è mai facile, e spesso accade in concomitanza con grandi appuntamenti che scandiscono la vita non solo dei giocatori ma anche delle federazioni coinvolte, come saranno tra poco tempo i mondiali del 2015, all’indomani dei quali verosimilmente assisteremo ad un ricambio non indifferente.

 

Resta poi un concetto molto semplice che sta alla base delle scelte, ed è che in un dato momento chi  gioca meglio merita di andare in campo. Spesso, nel nome di un avversione a tutto ciò che è datato e che si nota non solo in ambito sportivo, vorremmo vedere il vecchio accantonato e il nuovo sempre in bella mostra. Ma se Mauro Bergamasco dovesse placcare contro il Galles come ha placcato nelle ultime uscite di Pro 12, perché non metterlo in campo? E se il fratello dovesse non soffrire il ritmo e confermasse le percentuali al piede, perché non dargli una chance? E se Bortolami dovesse darci sicurezza nella rimessa?
Qualcuno, non a torto, potrebbe obiettare che i giovani ci sono, e che per crescere dovrebbero giocare, meglio se in palcoscenici importanti come quelli di febbraio e marzo. Vero, ma ci sono almeno un paio di obiezioni valide. Innanzitutto, in certe partite conta anche l’esperienza, contano gli anni di chi in momenti difficili può farti uscire a testa alta nonostante il tabellino. E poi peggio di non avere giovani è averli e bruciarli, e il Sei Nazioni, per pressione e per importanza, è uno di quei tornei che ti possono mettere dei brutti tarli in testa, specie se non hai ancora una buona corazza a proteggerti mentalmente prima ancora che fisicamente. Non solo, ma è insito nelle dinamiche di uno sport il creare concorrenza tra giocatori e a volte si hanno più stimoli guardando gli altri giocare, crescendo magari non nella loro ombra ma nella loro luce.
Nei giudizi forse a volte si tende ad essere umorali, e saremo i primi a dire se le cose saranno andate bene o male. Ma, quantomeno, aspettiamo prima di averle viste.

 

Di Roberto Avesani @robyavesani

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