Il metodo Valsugana per la formazione del minirugbista: parla Youssef Darbal

Da tempo il settore giovanile costituisce il fiore all’occhiello del Valsugana Rugby Padova

Da tempo il settore giovanile costituisce il fiore all’occhiello del Valsugana Rugby Padova. Numeri, risultati e coppe sono lì a testimoniare che l’impegno profuso dal club di Altichiero in termini di reclutamento e formazione ha prodotto riscontri significativi e duraturi negli anni. A novembre 2013 i tesserati sotto i 14 anni di età erano 209 (+17% rispetto allo stesso mese del 2012) e già a inizio stagione sono giunti alcuni prestigiosi trofei, come la vittoria nella prima tappa del Super Challenge Under 14.
Il Valsugana, però, non intende dormire sugli allori e stagione dopo stagione è impegnato nella ricerca di nuove soluzioni per migliorare costantemente la qualità dei processi formativi rivolti ai propri atleti. Ne parliamo con Youssef Darbal, che dalla fine del 2012 è il coordinatore tecnico del settore minirugby più Under 14. Youssef è nato in Marocco, dove ha giocato con diverse selezioni nazionali di rugby e ha conseguito la laurea in scienze motorie. Poi si è trasferito in Francia, dove ha proseguito la carriera di giocatore e ultimato un master biennale in “Entraînemet Sportif de Haut Niveau”, approfondendo anche la sua esperienza di allenatore di squadre giovanili. Al Valsu Youssef lavora a stretto contatto con Polla Roux, director of rugby del club, per armonizzare l’intera filiera della formazione dall’Under 6 fino all’Under 18.

Youssef, com’è stato il tuo primo impatto con il Valsugana?
Quando sono arrivato la prima caratteristica che ho notato è stata la capacità di occupare bene lo spazio da parte di tutte le squadre del club, ma anche diffuse carenze nella tecnica individuale.

A livello di minirugby, come ti sei orientato per superare le criticità principali?

Ho sfruttato soprattutto la mia esperienza di giocatore seven (un giocatore che è tecnicamente polivalente), proponendo un programma di sviluppo delle skill individuali, secondo una progressione per categoria e un’impostazione per livelli.

Lavorare per categoria è chiaro, ma cosa significa lavorare per livelli?

Vuol dire far lavorare i bambini per gruppi omogenei, ossia per capacità e quindi per obiettivi da raggiungere. Quando un bambino raggiunge l’obiettivo del suo gruppo di appartenenza, passa al gruppo successivo e questa tempistica ovviamente cambia da bambino a bambino, ma permette agli allenatori di concentrarsi su un obiettivo alla volta. Dentro una categoria si può arrivare fino a quattro livelli.

I numeri sono fondamentali per organizzare gli allenamenti in questo senso.
Certo, senza grandi numeri non sarebbe possibile gestire più livelli dentro la stessa categoria. Ma non conta solo il numero dei bambini, è importante anche quello degli allenatori, che nel Valsugana sono impiegati nella misura di uno ogni dieci atleti.

Dove hai appreso questo metodo formativo?
In Francia. Lì insistono molto sulla tecnica individuale fino all’Under 15 e poi cominciano a sviluppare il gioco collettivo. Nel Centro di formazione di Massy (a sud di Parigi), dove ho lavorato, l’allenamento è impostato per livelli, con un tecnico ogni 10-12 ragazzi, come da noi al Valsugana. Aggiungo che il metodo di allenamento deve considerare sempre lo sviluppo psicologico e motorio del bambino, rispetto al quale va adattato non solo il metodo, ma pure il rapporto fra allenatore e atleta.

Dopo più di un anno di collaborazione con il Valsugana, come giudichi le stato di salute del minirugby in Veneto?
In questa regione quasi tutte le squadre possono schierare qualche giocatore di qualità e aggressivo, ma le competenze di base non sono diffuse uniformemente, perché forse il percorso formativo degli atleti è discontinuo e incompleto. Poi c’è un problema di controllo della velocità, specialmente in situazione di contatto, dove molti giocatori tendono a fermarsi anziché accelerare.

Quali soluzioni proponi per vincere queste resistenze al contatto?
Bisogna lavorare sulla costruzione tecnica e motoria dell’atleta, partendo dal fattore affettivo, cioè della gestione del contatto con la palla, con il terreno e poi l’avversario. Superato questo step, si passa al livello successivo, cioè all’1 vs 1: evitare e affrontare. Dopo il secondo step i ragazzi imparano a giocare con il sostegno, prima quello laterale, poi quello assiale. Tutto questo passa anche attraverso l’insegnamento delle skill di base, cioè passaggio e placcaggio.

Questa formula sta funzionando?

Per soppesarne bene l’efficacia è necessario aspettare un ciclo almeno quadriennale. I primi risultati si vedono già ora nella capacità di alcuni giocatori di evolvere, sia sul piano tecnico sia su quello tattico, ma si tratta di atleti particolarmente dotati e veloci nell’apprendimento. Per un bilancio complessivo occorre un altro triennio. Aggiungo poi che la riuscita di questo progetto passa attraverso la collaborazione di tutti gli allenatori, nel senso che questo modello sarà efficace solo se perseguito in tutte le categorie.

Su questo fronte cosa stai facendo?
Attualmente il coinvolgimento e la partecipazione degli allenatori avviene attraverso incontri a cadenza settimanale, per affrontare problemi di programmazione delle attività, discutere insieme i problemi da risolvere in campo e verificare l’avanzamento dei lavori. Anche Polla Roux è molto attivo in questa direzione, grazie alle iniziative della “Coach Academy” del Valsugana, rivolte proprio alla formazione dei tecnici, e a un nuovo sistema di valutazione dell’operato di ogni allenatore del club.

La tua prossima mossa?

L’ho appena giocata! Sono di ritorno da un viaggio in Sudafrica, dove ho seguito un corso della Investic International Rugby Academy a Durban, dedicato alla costruzione dei giocatori juniores. E adesso mi sto attivando per riversare all’interno del club quanto imparato da grandi maestri come David Campese e altri ancora. Anche la condivisione è una preziosa risorsa per la crescita degli allenatori e quindi dei giocatori, al Valsu funziona così.

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