La Nuova Zelanda apre il cuore ma non il portafoglio

Nell’impossibilità di competere con i soldi europei, si fa leva sull’orgoglio e sull’onore della maglia All Blacks

ph. Marcos Brindicci/Action Images

Mettere insieme le necessità delle due parti coinvolte, giocatori e franchigie, e la stabilità finanziaria.A lanciare l’allarme è Brian Roche, chairman degli Hurricanes. “Una forma di contratto vincente dovrà pur essere trovata, che non leda gli interesse dei giocatori, né delle franchigie e nemmeno della federazione”. Senza che in Nuova Zelanda venga trapiantato il modello di altri sport per cui chi ha più soldi compra i migliori, senza tenere conto di cultura, tradizione e legame con la propria provincia: Roche si augura che siano motivazioni come la qualità dello staff e l’orgoglio per la maglia a spingere i giocatori a scendere in campo per i suoi Hurricanes, e non ragioni economiche. Ma come funziona in Nuova Zelanda la questione franchigie dal punto di vista economico? Dunque, i cinque team ricevono un monte ingaggi, da spendere per pagare una rosa di massimo 32 giocatori, con un limite sia minimo che massimo di salario per stagione (da 44.000 a 111.000 Euro). Il problema sono soprattutto le sirene europee. Steve Tew, chief executive della New Zealand Rugby Union, si è detto consapevole che in un mercato aperto, democratico e capitalista come questo è impossibile competere con la maggior liquidità europea. E dunque, anche Tew si è abbandonato ad un romanticismo che nessuno laggiù si augura sia anacronistico: “Tutto ciò che possiamo fare è creare un ambiente in cui i giovani vogliano crescere e giocare, puntando a diventare degli All Blacks“.

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