Palloni da inseguire, baseball e basket: la via statistica al rugby

La statistica “legge” sempre di più il nostro sport. Ma in quale maniera? Ce lo dice Antonio Raimondi

Poco tempo fa, l’amico e collega Flavio Tranquillo, via Facebook, ha segnalato un link davvero interessante. Il titolo era tutto sulla palla a spicchi e non su quella ovale, ma come spesso accade, guardare a realtà differenti, apre a nuove conoscenze. Il titolo dell’articolo era Basketball Isn’t a Sport. It’s a Statistical Network (qui trovate il link). Riferisce di una ricerca che secondo alcuni potrebbe rivoluzionare il modo di analizzare lo sport. Nel caso specifico i ricercatori guidati dal professore e appassionato di basket Jennifer Fewell e dal professore di matematica Dieter Armbruster hanno trovato un modello ideale per spiegare i risultati dei play off NBA del 2010, semplicemente tenendo sotto controllo il pallone. Per analizzare le partite di basket, Fewell e Armbruster hanno usato una tecnica chiamata network analysis, nella quale i giocatori costituiscono nodi e interscambio, e i passaggi i percorsi. Le rilevazioni riassunte nel diagramma dei flussi, permette l’analisi e la creazione di modelli di gioco vincenti (senza entrare nel dettaglio, vi rimando se avete sufficiente curiosità all’articolo scientifico a questo link).

 

In questo periodo, tra i tanti film in programmazione su SkyCinema, c’è l’Arte della vittoria, tratto dal libro “Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game” bestseller di Michael Lewis. Il film racconta di come Billy Beane, manager degli Oakland A’s, una delle più piccole, in termini economici, squadre della Major League of Baseball, abbia utilizzato l’analisi statistica per provare a competere contro le più ricche squadre della MLB.
I punti di partenza di questo gettone, presi in ambiti differenti dal rugby, rappresentano bene il momento di sviluppo che sta vivendo il nostro sport: nel primo caso, quello del basket, c’è l’inizio di uno studio che potrebbe provocare un cambiamento epocale, nel secondo invece c’è la dimostrazione pratica di come l’analisi statistica delle performance possa essere un potente strumento che un allenatore (o un manager) ha a disposizione per fare le proprie scelte e gestire una squadra.
Il rugby, ultimo arrivato tra gli sport professionistici, oggi risponde sempre più all’esigenza di trasformare i soldi in vittorie sportive. Potrebbe sembrare un concetto un po’ crudo, ma è la realtà delle cose. Avere più strumenti in grado di valutare la potenzialità delle scelte che si stanno facendo, potrebbe ridurre sia il nostro margine d’errore, sia, come la storia di Billy Beane insegna, il gap economico che può esserci con gli avversari. La forza delle idee contro la forza dei soldi e poco importa che una volta dimostrato il successo di un modello, poi possa essere comprato. Oggi gli Oakland A’s stanno facendo ancora fatica a reggere il confronto, perché lo stesso modello è stato adottato da realtà più ricche.

 

Stiamo parlando naturalmente di sport professionistico, ma con le nuove tecnologie, a relativo basso costo, la rilevazione dei dati è alla portata di tutti. Proprio per questo, come già sottolineato nel “Giù il Gettone” dedicato al GPS nel rugby (qui il link), chi vuole usarli ad un più basso livello, deve calibrarne l’utilizzo, per evitare degli eccessi e magari perdere di vista delle priorità, tenendo conto che i numeri ricavati devono anche essere analizzati e servono quindi delle competenze.
Ci sono differenti livelli di utilizzo dello strumento dell’analisi statistica. I numeri a disposizione sono tanti e non si limitano al conteggio degli eventi che accadono in campo, tipo numero di mischie, placcaggi eccetera, ma possono comprendere anche misurazione dei movimenti, degli impatti, consumi energetici.
Quello che conosciamo di più, o comunque ci viene proposto più frequentemente dai media, è un livello di “enterteiment” che dà degli indicatori generali al fine di avere “prove” a sostegno dell’analisi proposta. Siamo abituati a vedere in diretta le percentuali di possesso e territorio. In passato si credeva che questi due dati, erano indicatori che facevano capire la differenza fra chi vinceva e chi perdeva, oggi sappiano che non sono più così determinanti.

 

A questo livello i dati presi in considerazione sono in genere pochi, anche per motivi di tempo o di spazio. Spesso hanno bisogno di ulteriore approfondimento e interpretazione, per trovarne un senso compiuto. Per esempio, se guardiamo ai numeri globali di Italia–Galles, gli indicatori generali presi dal foglio ufficiale delle statistiche RBS 6 Nations distribuito alla stampa, non ci aiutano a spiegare il risultato negativo della nostra Nazionale. L’Italia ha avuto più possesso e più territorio (56% e 58%) più ball carrier (103 contro 75) 11 rimesse laterali vinte (100% mentre il Galles ha avuto una percentuale dell’85%) e uguale percentuale del 100% nella mischia ordinata.
Serve un’analisi più approfondita, mediata dall’esperienza. Riflettiamo sul dato della conquista in mischia ordinata. Detto così, potrebbe addirittura far pensare ad un’ottima prova del nostro pack. Invece, avendo più dettagli a disposizione, vediamo che dei dieci calci di punizione concessi dall’Italia, cinque sono arrivati da mischia ordinata (tutti su introduzione gallese), da lì è arrivato il cartellino giallo al nostro capitano Castrogiovanni e in più abbiamo concesso anche un calcio libero, alla prima mischia della partita per ingaggio anticipato. Scavando, scavando, interpretando i numeri, si inizia ad avere un quadro più preciso.
Il caso della mischia ordinata in realtà è così eclatante, che non c’era neppure bisogno dei numeri, per fare la valutazione e capire che è un’area di gioco che gli azzurri dovranno sistemare per poter essere competitivi contro l’Inghilterra a Twickenham.

 

C’è poi un livello più elevato di applicazione dell’analisi statistica, che più difficilmente arriva al grande pubblico. Gli allenatori hanno a disposizione un volume di dati impressionante. I nuovi strumenti tecnologici permettono di tenere sotto controllo e misurare centinaia di parametri differenti. Oggi siamo in un momento di transizione, nel quale c’è ancora un po’ di diffidenza nei confronti dell’analisi statistica e magari anche difficoltà a comprenderne l’utilizzo più evoluto.
Chi ha visto il film L’Arte della vittoria ricorderà le resistenze dell’allenatore e degli scout della squadra, abituati ad un altro modello di giudizio, che oltre tutto vedevano messo in discussione il proprio ruolo. E’ una trasformazione che ha bisogno di tempo, immaginiamo che quando al comando delle squadre, arriverà la generazione che si è formata professionalmente nell’era degli smart-phone e dei tablet, rischieremo il problema opposto, cioè l’uso indiscriminato.
Per il momento possiamo registrare che sono in aumento i club che ricorrono agli analisti al fine di interpretare in modo corretto la grande mole di numeri a disposizione e creare dei modelli di valutazione, che possano aiutare nelle scelte. Questo ci porta di nuovo al discorso iniziale dell’arte di vincere. Billy Beane ha il merito di aver creduto nella sabermetrica, termine coniato da Bill James, uno dei primi teorici e per lungo tempo principale sostenitore della stessa. Un termine che deriva dall’acronimo SABR, che sta per “Society for American Baseball Research” (Società americana per la ricerca sul baseball). Alla base c’è l’idea di creare uno schema capace d’interpretare in modo oggettivo la realtà del gioco.

 

Ad esempio nel baseball, uno degli strumenti di valutazione più contestato dai sabermetrici è la media battuta: più è alta, migliore è il giocatore e maggior è il suo valore sul mercato. La media battuta è però un dato parziale. Per i sabermetrici conta di più misurare e valutare l’abilità di un giocatore di far segnare alla sua squadra più punti di quell’avversaria. L’obiettivo è valutare un giocatore sulla base delle stagioni passate e predire quale potrebbe essere il suo rendimento in quelle successive. Quel modello, che rompeva con i paradigmi precedenti, ha permesso l’individuazione di giocatori sotto stimati, ma che restituivano valore all’investimento, perché più adatti al raggiungimento del successo.
La sabermetrica è ancora in pieno sviluppo, ma intanto ha aiutato gli Auckland A’s ad arrivare al record di venti vittorie consecutive e ai play-off con budget molto inferiore a quello degli avversari. Inoltre ha consentito ai Boston Red Sox, che hanno successivamente adottato lo stesso metodo di analisi, di esorcizzare la maledizione del bambino (Babe Ruth) e tornare a vincere nel 2004 il titolo MLB, dopo un’attesa durata ottantasei anni.

 

Guardando alla sabermetrica con l’occhio di chi si interessa al rugby non è facile immaginare un sistema di valutazione dei giocatori simile da applicare al nostro sport. Nel baseball la prestazione individuale è più determinante, ma probabilmente è solo questione di tempo, magari di sviluppo tecnologico. Ad esempio Opta, una delle società leader del settore delle statistiche, ormai da almeno un paio di stagioni, ha sviluppato un indice di rendimento, che misura la prestazione dei giocatori.
L’applicazione più evoluta e interessante dell’analisi statistica è rivolta allo sviluppo di quei fattori di successo direttamente controllabili. In sostanza analizzo la situazione, individuo gli indicatori di performance (i famosi KPI che chi lavora nelle grandi aziende ben conosce) e lavoro in allenamento per migliorare questi fattori e aumentare le probabilità di successo. E’ un approccio ancora più interessante, che può essere applicato a qualsiasi livello, a patto di avere le capacità di individuare gli indicatori di performance adeguati al proprio livello.

 

E’ fondamentale, che ad ogni livello, l’allenatore sappia guidare lo sviluppo dell’analisi statistica, perché deve essere trattata come uno dei tanti strumenti a disposizione. Lo stesso ruolo dell’allenatore è in costante mutamento, e anche davanti a questo cambio epocale, la sua esperienza, la sua conoscenza resteranno fondamentali. L’analisi statistica servirà ad aiutare, con l’evidenza dei numeri, le decisioni riguardanti la scelta dei giocatori, le tattiche, le formazioni da mandare in campo, la preparazione delle partite e le priorità dell’allenamento. L’analisi statistica non vincerà nessun torneo, ma può dare un contributo determinante alla crescita, sia individuale sia di squadra, che aumenta le possibilità di successo.

 

di Antonio Raimondi

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