Soldi e rugby “pane e salame”, sono davvero anime inconciliabili?

La nuova maglia degli All Blacks ha fatto gridare allo scandalo i puristi. Ma il movimento per crescere ha bisogno di risorse

COMMENTI DEI LETTORI
  1. Katmandu 19 Ottobre 2012, 10:07

    Bel articolo soprattutto nella parte si non cultura del marcheting che abbiamo nell’italia rugbystica ma non concordo sul fatto che non ci siano state discussioni sul cambio di regolamento e di materiali tecnici (perchè ce ne sono state esempio la maglia della scozia) e sul fatto di mettere sullo stesso piano il marketing perchè il paragone non regge proprio
    So che tutti sono affascinati dai soldi (soprattuto quando sono tanti) e credo che nel caso specifico gli ab’s hanno perso parecchio del loro “fascino” mettendosi la toppa dell’aig sul petto

  2. Silverfern 19 Ottobre 2012, 10:12

    La verità è che si vorrebbe, in questo mondo così schizofrenico e distruggi-simboli, che qualcosa rimanga romanticamente ancorato ad un ideale di simil-purezza; avendo già come “scomodo” vicino di casa il mondo del calcio in primis, con tutte le scempiaggini che ha subito.
    Purtroppo, come si suol dire, la gloria non la puoi mettere nel piatto, serve qualcosa di molto più concreto, che devi perforza comprare con denaro, e da lì comincia tutto.

  3. MarkElla 19 Ottobre 2012, 11:53

    caro Gian Andrea Cerone
    a parte il tuo incipit, in cui affermi che ciascuno è libero di pensarla a modo suo, dissento completamente su quello che hai scritto. Io intendo il rugby in una maniera diametralmente opposta, non solo, faccio della mia “non cultura” del marketing un motivo di vanto.
    Credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che quando uno sport diventa professionistico, anche il nostro amato rugby, la componente economica diventa imprenscindibile, senza una solida situazione finanziaria un club, ma più in generale l’intero movimento, è fortemente limitato se non impossibilitato nelle scelte immediate e nei traguardi finali. Mi sembra però che nella tua analisi ci sia un errore a monte che vizia tutto il ragionamento successivo, mi spiego:
    qui stiamo parlando della Nuova Zelanda il posto più ovalizzato del sistema solare, non del rugby Tortoreto (con tutto il rispetto per loro). La Nuova Zelanda non ha alcun bisogno di sviluppare un movimento, farlo crescere, e diffonderlo, quel movimento è la Nazione stessa, sono perfettamente sovrapponibili. Non si può dire che il rugby ha bisogno di gente che investe capitali e quindi giustificare lo scempio su quella maglia, perchè Christchurch è una cosa Rovigo è un’altra, Wellington non è Viadana.
    Certo che realtà come Calvisano o Prato hanno un bisogno vitale di sponsor per sopravvivere e portare avanti un progetto. E’ pacifico che a L’Aquila se gli imprenditori edili non fanno la classica colletta ribatezzata(in nome del marketing) “progetto cuore neroverde” ma sempre di colletta si tratta, la società neppure si iscrive in eccellenza, ma qualcuno ci vuole far credere che il movimento neozelandese avrebbe avuto problemi senza gli introiti AIG?? ma per favore!! Si prendevano la metà dei soldi e dicevano “signori la maglietta non si tocca!”
    La cosa che mi ha mandato in bestia è che gli Allblacks che si lamentano se in un campetto della periferia di Cardiff gioca una squadra di pensionati con una maglia nera, che si sentono feriti nell’orgoglio se l’Inghilterra decide che la sua seconda tenuta di gioco sarà nera (come avvenuto negli scorsi mondiali), così attaccati alla loro bellissima maglia, diventano d’un tratto laici e possibilisti di fronte a cifre seguite da svariati zeri.
    Certo che i soldi servono per portare avanti dei progetti e per finanziare strutture, certo che degli sponsor sono necessari per creare la solidità economica necessaria per operare in maniera incisiva, ma ci sono dei limiti che non vanno superati (a mio modestissimo parere), quella maglia per loro era un simbolo e se lo sono bello che venduto. Si venduto, qualcuno diceva “diamo un nome alle cose” perchè a girare intorno con le chiacchiere si fa presto a deformare l’evidenza.
    E poi mi fanno ridere questi guru del marketing che non capiscono nulla neppure di marketing, non mi riferisco certo a te ma hai geni della scritta sulla maglietta… Sai quanta gente come me (tanta fidatevi!!) che adora gli Allblacks e che ha 4/5 modelli della loro magliette non si comprerà questa con la scritta AIG per nessun motivo al mondo?? bel colpo davvero!! bella pubblicità!!
    cordialmente

    • gsp 19 Ottobre 2012, 12:48

      @mark, condivido alcune cose che dici e rispetto le altre.

      Pero’ mi permetto di dire che il rugby anche in NZ ha bisogno di capitali e di molti capitali. l’organizzazione del mondiale e’ costata tantissimo e c’e’ bisogno di fondi freschissimi. Anzi forse hanno piu’ bisogno di sponsor di Calvisano e L’aquila. purtroppo lo sport d’alto livelllo costa un sacco di soldi, anche quando hai un movimento come il nostro calcistico, dove nazione e sport s’identificano.

    • Luca da Monza 19 Ottobre 2012, 15:07

      di sicuro in Nuova Zelanda non sopravvivono vendendo magliette; detto questo, lo sponsor può non piacere, ma non è vero che solo perché si chiamano All Blacks non abbiano bisogno dei soldi come tutti per mantenere quel livello altissimo, tant’è vero che stanno cercando di vendere le franchigie federali alle città di appartenenza e privati. Non è neanche vero che nazione e rugby siano sovrapponibili, perché ci sono altre realtà sportive importanti, come il rugby league, il cricket e la vela, che al contrario del rugby è sport nazionale…

    • Stefo 19 Ottobre 2012, 20:01

      MarkElla senza intenti polemici ma sta tranquillo che quanto la AIG versa nella casse della NZRU copre piu’ che ampamente l’evenuale perdita per meno magliette vednute.

    • Gian Andrea Cerone 24 Ottobre 2012, 18:34

      Caro Mark Ella (fa effetto scrivere allo pseudonimo un mio “idolo”…),
      grazie dei tuoi commenti, di cui terrò debito conto quando Onrugby.it tornerà sul tema. In effetti il dibattito che ha seguito la pubblicazione del mio pezzo è stato interessante e per certi versi sorprendente. Sul fatto che ci siano guru del mktg che non capiscono nulla di mktg… comprendo le ragioni del tuo paradosso, ma qualcuno che ne capisce c’è. Soprattutto nei paesi anglosassoni dove le esigenze e ragioni del marketing rugbistico sono considerate alla pari di quelle che concernono l’aspetto tecnico e sportivo. La questione non si pone in termini di “invadenza” di campo ma in termini di stretta collaborazione tra le due anime del nostro sport. Ecco, equilibrio tra le due fasi di gioco è la miglior metafora che mi viene in mente. Ricambio la cordialità, alla prossima. GAC

  4. Marco.Frighetto 19 Ottobre 2012, 11:58

    Sarebbe possibile, cortesemente, avere un po’ di bibliografia sul Marketing Sportivo? Qualche indicazione che mi permetta di utilizzare qualche efficace strumento per la gestione di una ipotetica società? Grazie. MF.

    • Gian Andrea Cerone 19 Ottobre 2012, 15:04

      Buon giorno Marco,
      per quanto riguarda l’Italia per una specializzazione professionale nell’ambito della comunicazione sportiva ti consiglio un giro su http://www.sportbusinessacademy.it/sportmarketing_lafaculty.htm
      Per quanto attiene le bibliografie, in italiano ci sono dei buoni titoli editi da Sergio Cherubini e Alessandro Prunesti. Sono tuttavia libri utili per un approccio teorico che la pratica sul campo supera sempre. In inglese la letteratura è ricca di ottimi testi come la serie Sport Marketing di Bernard James Mullin, Stephen Hardy, William Anthony Sutton (basata su case histories USA). Trovi infine un’interessante selezione al seguente link: http://www.humankinetics.com/sport-marketing
      A presto, GA

      • Marco.Frighetto 19 Ottobre 2012, 17:56

        Quanto consigliato è proprio ciò di cui avevo bisogno. Non vorrei abusare ancora della sua disponibilità, ma esiste nulla in materia con indicazioni pratiche per redigere un ‘dossier di sponsorizzazione’? Grazie ancora, MF.

        • Gian Andrea Cerone 24 Ottobre 2012, 18:17

          Di nulla. Dipende cosa intende con “dossier di sponsorizzazione”… se con indicazioni pratiche intende un documento di riferimento da utilizzare per presentazioni alle aziende deve trovare qualcuno che si occupi di mktg sportivo che, benevolmente, le dia un modello base… Mi faccia sapere.
          Un cordiale saluto e alla prossima.
          GAC

  5. M. 19 Ottobre 2012, 12:14

    Dell’interessantissimo intervento del buon Andrea io sottolineerei la questione dell’attaccamento e del legame “marchio-squadra” – territorio. Il caso Zebre è emblematico: una squadra calata dall’alto in un territorio che ha da decenni una squadra (Rugby Parma, per non dire delle altre della città e del circondario) e che infatti, e non solo per i non-risultati, non ha alcun “link” né sportivo, né economico, nè emotivo con quel territorio. I risultati, tristemente, si vedono dalla presenze di pubblico, dal non-calore del tifo, dalla mancanza di sponsor ecc.

    • Hrothepert 19 Ottobre 2012, 14:40

      E dai con questa storia dell Zebre!! Ormai e trita e ritrita, siamo tutti daccordo sul fatto che è una realtà calata dall’ alto e priva di radicamento territoriale, ma è anche vero che a livello di marketing il Rugby Parma, così come il resto delle realtà del Rugby italiano (escluse le franchigie), è appetibile giusto per il “pane e salame” citato nel titolo!!

      • M. 19 Ottobre 2012, 18:09

        Il senso dell’intervento era diverso, ti invito a rivedere. Te lo riassumo: puoi fare marketing, vendere un marchio sportivo se tale marchio è radicato in un territorio o nella storia. Dato che le Zebre non sono né i Barbarians né i Lions era opportuno che la loro nascita avvenisse in un contesto rugbystico forte, con radici e in maniera partecipativa. Ciò non è avvenuto, con le conseguenze che vediamo.
        Te lo dico in altre parole: parliamo di marketing quando abbiamo il prodotto. Qua (Zebre) il prodotto non c’è, è un contenitore senza sostanza.

    • Gian Andrea Cerone 24 Ottobre 2012, 18:55

      Caro M.,
      grazie del tuo generoso commento al pezzo. Il tema del legame brand/squadra con il territorio è estremamente centrale per il mktg del rugby. E non parlo solo dei tanti “storici” e fortunati esempi italiani. Munster, Christchurch, Tolosa, Leicester sono case history eclatanti sulle quali ci concentreremo presto. GAC

  6. stefano nicoletti 19 Ottobre 2012, 13:25

    “Investire nel nostro sport”: esatto, queste parole sono il succo di tutto quello che c’è da dire.
    Senza investimenti pane e salame al campetto, ripresi dal solito amico con la fissa per le telecamere.

  7. And 19 Ottobre 2012, 14:33

    Io credo che il fatto che uno sponsor importane quale AIG abbia deciso di investire nel rugby siano una cosa ottima

  8. El bauco 19 Ottobre 2012, 17:28

    All’inizio degli anni 90 quando gl sponsor entrarono pesantemente sulle storiche maglie da rugby delle nazionali anglosassoni (ricordo Cellnet per l’Inghilterra e Famous Grouse per la Scozia) qualcuno si indignò di brutto anche li. L’allora Direttore del Rugby scozzese rispose laconicamente. “Tradition doesn’t pay the bill”

    • Katmandu 19 Ottobre 2012, 18:56

      Premetto che concordo col fatto che come si diceva in un film anni ’90 “non si può andare al mercato e pagare le zucchine con gli ideali” penso che almeno sulla maglia delle nazionali devono sparire gli sponsor per i club la cosa non mi tocca essendo una associazione privata
      Ora però faccio una provocazione si potrebbe dire che dato che AIG ha “marchiato” la maglia degli AB’s hanno messo il loro marchio su un simbolo giusto? Allora perchè dato che la francia (inteso paese) no fà un accordo con la philip morris (prima multinazionale che mi è venuta in mente) e non stampano il loro logo sul tricolore? Oppure in italia accostamo la costituzione a un brand tipo gazprom (altro nome a caso) o infine perchè il david che c’è a firenze in piazza non gli mettiamo una bella maglietta adidas addosso? Poverino avrà freddo a stare sempre fuori no? Le mie sono provocazioni ma dato che la maglia della nazionale rappresenta la nazione troverei giusto che sia libera da sponsorizzazioni poi l’abbigliamento lo puoi pure marchiare ma sul campo perché devi accostare il mio nome quale italiano a un gruppo bancario francese? Tutto quà

      • MarkElla 19 Ottobre 2012, 19:41

        sottoscrivo amico, parole sante

        e allora visto che l’Italia è indebitata fino al midollo per tirarci un pò su che facciamo?? sbattiamo la Coca Cola sul tricolore??

        forse qualcuno qui non ha capito che non si nega il valore dello sponsor, quelli come Katmandu e me credono semplicemente che vadano messi dei paletti al di fuori dei quali è di cattivo gusto uscire ancor prima che immorale

        • Katmandu 19 Ottobre 2012, 19:57

          Guarda chea questo punto l’italia ha tre colori si potrebbe “affittare”un colore a ogni sponsor o magari ci sarebbero bandiere più facilmente piazzabili perché in tinta unita tipo nz e australia e alcune meno attraenti per gli sponsor perché sono un tripudio di colore tipo rsa o uganda o brunei
          Ci sono cose che non si dovrebbero toccare 😉

  9. ulisse 20 Ottobre 2012, 09:06

    Ho trascorso circa un anno in Nz, facendo una piacevolissima esperienza alla Auckland Grammar School, come tecnico, e posso dire che il Rugby, da quelle parti, è del tutto non professionistico, eccetto ovviamente nell’alto livello (dalla competizione Provincial, sino ovviamente agli All Blacks). Tutti gli addetti ai lavori, dai Team Manager, agli Allenatori, passando per gli arbitri non percepiscono nulla, nemmeno a titolo di rimborso. In questo senso, il Rugby si muove esclusivamente grazie al Volontariato che in quel Paese ha solide basi ed una forte connotazione culturale. Basti pensare all’eccezionale mole di volontari che ha contribuito a far marciare speditamente e senza incidenti la rombante macchina della RWC 2011.
    Tuttavia, tutto ciò può accadere perché in Nz il Governo e gli organi periferici sovrintendono e gestiscono le strutture che sono utilizzate dai club e dalle società sportive per fare e promuovere l’attività sportiva, senza le quali nulla o poco sarebbe possibile.
    Qui in Italia, per tutta una serie di motivi, che sarebbe inutile elencare in questa sede, spesso non possiamo ricorrere a strutture pubbliche e quindi è necessario fare ricorso a quelle private, o sovvenzionare quelle pubbliche, andando a gravare notevolmente sui bilanci societari.
    Solo a titolo di esempio, poi, in Nz, la NZRU, organizza tutta una serie di attività per tecnici ed allenatori, come i corsi per l’ottenimento del brevetto federale o di aggiornamento tecnico, o ancora quelli, peraltro obbligatori, sulla sicurezza degli atleti, a titolo completamente gratuito, caricandosene i costi.
    Personalmente ho avuto la fortuna di assistere spesso agli allenamenti degli All Blacks, quando si trovavano ad Auckland, presso il club nel quale operavo, è posso affermare che una delle cose che mi ha colpito maggiormente, sia stata la mole impressionante di professionisti che giravano intorno alla squadra, fra tecnici, medici, fisioterapisti, magazzinieri, ed autisti. Basti solo pensare che ogni seduta di allenamento viene videoripresa da più operatori, con sistemi speciali, affinché si possano poi eseguire sedute di video analisi.
    E questo, è solo un piccolo esempio, e soprattutto è ciò che si può percepire dall’esterno, ma è facile supporre che un’Organizzazione che funziona così perfettamente e in modo così accurato, abbia necessità di notevole supporto. Ed evidentemente tutto questo a costi notevoli che una Nazione di quattro milioni e mezzo di abitanti (ma grande come l’Italia) difficilmente potrebbe sopportare, quindi non mi spaventa affatto, né mi offende, il fatto che sulla maglia nera possa essersi trovato lo spazio per un nuovo sponsor, in grado di perpetuare il lavoro di Hansen e del suo Staff.
    PS: Mi ha fatto molto piacere leggere il Tuo piacevole articolo Gian. Spero di rivederti presto, un abbraccio!

    • mezeena10 20 Ottobre 2012, 09:24

      quoto! aggiungerei pero che i soldi della sponsorizzazione aig, ma non solo, andranno ad incrementare e potenziare quasi tutti i settori del rugby NZ e non solo l’elite! cioè oltre ABs e franchige, anche le varie unions e clubs..era necessario avere nuovi fondi, è gia qualche anno che in NZ si studiano nuovi modi per implementare le entrate..si era parlato anche di privatizzare 3 delle 5 franchige di super xv..insomma non mi piace da tifoso ABs, ma se è per il bene del movimento, lo si accetta! per continuare ad essere sempre i piu forti!!!

  10. borghy 21 Ottobre 2012, 22:53

    Bellissima discussione, mancavano le birre…..purtroppo. Complimenti a tutti, è stata ragionata ed interessante.

  11. loris 23 Ottobre 2012, 16:17

    Non mi occupo di marketing dunque esprimo la mia opinione da tecnico e volontario della palla ovale e nulla più.
    A me pare che l’interesse nel rugby in Italia, inteso come diffusione di conoscenza tecnica, interesse mediatico e cultura sportiva, sia talmente modesto che la possibilità che le aziende basino e sviluppino il proprio marketing, partendo dal’ immagine che il rugby può offrire, sia piuttosto remota. La Benetton non fa testo perché è l’unica che lo fa , anzi no, è da prendere ad esempio di come sia l’eccezione che conferma la regola, a meno di credere che nessuno abbia studiato il sistema Benetton per trarne spunto, io invece temo che le aziende facciamo molte ben i loro conti quando debbono investire del denaro e se non lo investono nel rugby significa che il rugby non è abbastanza remunerativo in termini di ritorno d’immagine.
    L’altra questione è proprio questa, vale a dire l’incapacità del mondo ovale Italiano di promuovere la propria immagine, certo è abbastanza tipico del nostro ambiente credere di essere bastanti a se stessi e non volere contaminazioni, ma non credo che sia legato ad un problema “etico”, semmai ritengo che sia forte la consapevolezza che la diffusione del rugby sia ancora così asfittica e a macchia di leopardo che gli stessi club ritengono uno sforzo inutile, o quantomeno prematuro, un lavoro di marketing “professionale” (che è diverso di cercare qualche sponsor), nessuno nell’ambiente si aspetta che una azienda investa nel rugby perché, dal punto di vista remunerativo, non ha senso e perciò chi lo fa lo fa solamente per passione e cultura personale e/o se le condizioni ambientali (stakeholders) lo consentono, vedi appunto il caso Benetton.

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