Il Seven, un ricchissimo fantasma che si aggira per l’Italia ovale

Antonio Raimondi ci porta nel mondo del rugby a 7, in fortissimo sviluppo ovunque. Ma non da noi

ph. Anthony Phelps/Action Images

C’è un fantasma che si aggira nel nostro paese ovale: è il rugby a sette, strategico per l’International Board, fenomeno folkloristico da noi. Alzi la mano chi si è accorto che nello scorso fine settimana si è disputata in Australia la prima tappa del Sevens World Series. Per intenderci, niente in contrario ai vari festival del “sette” italiano, spesso contribuiscono al finanziamento dell’attività di club virtuosi, ma non possiamo nasconderci il ritardo che abbiamo nella pratica e nello sviluppo del rugby che riporterà la palla ovale all’Olimpiade. Le nostre due nazionali, maschile e femminile, sono fuori dalle sedici che nel 2013 parteciperanno alla Coppa del Mondo a Mosca, inoltre gli uomini sono fuori dal circuito del Sevens World Series.
C’è da lavorare e pure in fretta, se non vogliamo perdere ulteriormente contatto con un fenomeno che è ritenuto il veicolo di più grande importanza per lo sviluppo del rugby a livello mondiale. Non a caso l’International Board aveva messo tra gli obiettivi principali l’ingresso ai Giochi Olimpici. Raggiunto il traguardo nel 2009 con la decisione del CIO di inserire rugby e golf nel programma olimpico a partire da Rio 2016, ora l’obiettivo è lo sviluppo che dovrà portarci ad avere nel mondo sei milioni di praticanti rugbisti. Inoltre, fatto non trascurabile, porterà nelle casse dell’International Board non meno di 6,2 milioni di sterline nel 2017 e altrettanti nel 2021.

 

I posti nel torneo olimpico sono pochi, soltanto ventiquattro (dodici squadre donne e dodici uomini), e forse questo potrebbe distogliere dalla voglia di inseguire un traguardo molto difficile da raggiungere. Siamo probabilmente già in ritardo per conquistarci un posto per Rio 2016, anche se in realtà il processo di qualificazione, ancora alla verifica del CIO, inizierà nella stagione 2014-2015. Possiamo pensare che i campioni del 2020 oggi hanno dodici o tredici anni e allora iniziando subito, qualche speranza è giusto averla. E’ una programmazione che non è più rimandabile, il resto del mondo ovale (nuovo e vecchio) corre velocemente e restare fermi, significa andare indietro e trovarsi nelle retrovie: le principali manifestazioni multi sport come i Giochi del Commonwealth, i Panamericani, i Giochi Asiatici e anche i Campionati del mondo Universitari hanno inserito la versione ridotta del rugby nei loro programmi.
La “motivazione” dei cinque cerchi, ha portato investimenti da parte dei comitati olimpici nazionali di paesi rugbisticamente sottosviluppati come Brasile, per obbligo di paese ospitante nel 2016, Olanda, Spagna, Cile e Cina. Sotto la stessa spinta, la Russia, a Mosca, ospiterà la World Cup Sevens nel 2013. La federazione russa ha pure incassato il sostegno convinto del governo. Il Vice Primo Ministro Alexander Zhukov ha dichiarato che presto il rugby potrebbe diventare lo sport nazionale russo. Negli Stati Uniti i rugbisti avranno ora l’accesso alle strutture del Comitato Olimpico, in Canada è già arrivato anche un sostegno economico diretto.

 

Da noi, al di fuori dei tornei estivi, l’unico campionato nazionale di Seven maschile è quello che ogni anno assegna il titolo di campioni universitari . Una buona tradizione si è costruita attorno al Seven di Roma, che attrae una élite mondiale, anche se ancora è al di fuori del circuito più importante. Qualcosa in più si muove in ambito femminile. La realtà da inseguire è davvero seducente: le Seven World Series hanno oggi un valore commerciale di 30 milioni di sterline ed hanno incrementato il numero di presenze alla stadio, superando le cinquecentomila nella passata stagione e una diffusione di 147 paesi, attraverso la copertura di 34 broadcaster. Nel programma del neo Presidente FIR Gavazzi c’era anche un capitolo riservato al Seven, per il quale si prevedono la costituzione di un dipartimento federale, corsi di formazione per allenatori e circuiti nazionali per giocatori e giocatrici seniores e under 19 e l’implementazione di un gruppo di giocatori di interesse nazionale. Per noi sarà una corsa ad inseguimento su chi si è mosso prima. Il sentiero è stretto, ma come sempre in questi casi devono unirsi la volontà di inseguire l’obiettivo e il cambio di mentalità. Occorre un indirizzo deciso e preciso da parte della federazione e la collaborazione da parte di tutti. Se globalmente il Sevens è visto come la chiave per aumentare il numero di praticanti, analogamente potrebbe diventare fondamentale per aumentare la diffusione in Italia.
Ma non solo, magari potrebbe aiutarci a tamponare l’emorragia di abbandoni nella fascia di età tra i quattordici e i venti anni. Attenzione, il Seven, come è nell’idea dell’ International Board, è un’opportunità di crescita e non una minaccia per il rugby a XV. Il sogno è quello di avere la Nazionale ai giochi olimpici. Come si dice, sognare non costa nulla e non serve a nulla, se non si lavora per propiziare la realizzazione del sogno. Prima dei giochi olimpici, ci sono traguardi intermedi come quello di entrare tra le quindici nazioni partecipanti alle Seven World Series. Noi e l’Irlanda siamo le uniche del Sei Nazioni e del Rugby Championship fuori dall’élite del circuito mondiale. Dentro ci sono però Portogallo e Spagna per restare all’Europa. Se ci riescono loro, perché noi non possiamo? Per non parlare del Kenya, diventato una delle potenze del rugby a sette.

 

Siamo all’anno zero, per una sfida sicuramente stimolante. Serve costruire un modello di crescita sostenibile, metterlo in opera, verificarne passo a passo tutti gli obiettivi intermedi. Un impegno enorme, non bisogna nasconderselo, per quali benefici? Proviamo a farne un elenco: incremento del numero di praticanti e sviluppo anche in zone d’Italia oggi toccate marginalmente; formazione di giocatori per l’alto livello anche per il “quindici”, da Lomu a Messam, provate a controllare quanti All Blacks sono passati dal gioco a sette; crescita del valore commerciale del prodotto rugby Italia; nuovi sponsor e copertura mediatica. Non possiamo permetterci di tenerci un “sette” fantasma.

di Antonio Raimondi

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