Italrugby, scuola, giovani e cose da Mondiali: la versione di BergaMirco

Intervista esclusiva per onrugby.it. Il biondo trequarti spazia a 360° dal campo al Racing, dalla nazionale ai social network

ph. Sebastiano Pessina

Mirco Bergamasco è uno degli azzuri più conosciuti, anche al di fuori della cerchia di chi il rugby lo segue abitualmente. Il trequarti del Racing Metro ha rilasciato a onrugby.it una lunga intervista: tanti i temi toccati, ma da Mirco arrivano indicazioni particolari e non scontate su alcuni dei motivi strutturali per cui la palla ovale trova dalle nostre parti più difficoltà ad esprimersi che non ad esempio nella “sua” Francia. E sui Mondiali di Nuova Zelanda rivela che…

 

La tua ultima stagione non è stata delle più semplici, hai avuto problemi fisici, ora come stai?
“Bene, sto bene. Lo scorso anno mi sono operato in un periodo particolare, mi ha tagliato fuori per un pezzo importante della stagione, ma nella parte finale sono rientrato e ho potuto dare il mio contributo soprattutto al club fino ai barrage del Top 14. Non ho fatto il tour con l’Italia e questo mi è spiaciuto ovviamente, ma mi ha dato la possibilità di iniziare la preparazione con il gruppo sin dall’inizio, di lavorare duro e ora sto benone”.

Anche per il Racing Metro, la tua squadra, la scorsa stagione non è stata semplice. Risultati sul campo non all’altezza delle vostre aspettative e una situazione interna complicata, con lo scontro tra molti giocatori e l’allora allenatore Pierre Berbizier.
“Sì, ma ora il clima è buono, c’è grande solidarietà tra noi giocatori, siamo un bel gruppo, lavoriamo tanto e bene. E poi siamo partiti bene: abbiamo vinto quattro partite delle sei finora giocate in campionato, due in trasferta. Dobbiamo migliorarci, ma il passo è quello giusto”.

La nazionale si raduna a Bologna per uno stage senza allenamenti sul campo. Il ct Brunel ha convocato 31 giocatori e ne ha invitati 8, e cioè gli infortunati già nel giro azzurro più il gruppo di atleti che giocano in Francia. Non ci sono invece gli italiani d’Inghilterra. Un raduno particolare, dove il gruppo guidato da Brunel analizzerà quanto è stato fatto nel primo anno della sua gestione. Verrà insomma fatto un po’ il punto della situazione. 
“Mi sembra una buona cosa. Vedersi, parlare, stare insieme è sempre molto importante. Capire cosa abbiamo fatto, cosa dovevamo fare e cosa ci aspettiamo dai prossimi mesi. Ci sono tanti giovani, il gruppo si forma e si amalgama. A partire da novembre ci aspettano partite importanti e difficili. Sarà utilissimo anche per me: alla fine, per colpa degli infortuni, non è che io sia stato molto con il gruppo. Anzi.”

Parliamo proprio dei test-match di novembre. Si inizia con Tonga, squadra sulla carta alla nostra portata, per poi trovarci di fronte a due montagne come Nuova Zelanda e Australia: i più forti al mondo e una formazione che forse è in difficoltà, ma dal talento enorme.
“Tutti parlano di Australia e – soprattutto – All Blacks. E’ normale, ma noi davvero dobbiamo pensare per prima cosa a Tonga: magari non godono di grande fama ma sono fisici, imprevedibili e possono davvero dare fastidio a chiunque. Chiedetelo alla Francia. Dobbiamo rimanere umili, fare un passo per volta. Poi certo, giocare contro Nuova Zelanda e Australia sarà difficilissimo, ma è un sogno e un onore per ogni giocatore”.

Marzo 2012, all’Olimpico per la sfida alla Scozia ci sono 70mila tifosi.
“E’ stato bellissimo, avere così tanti tifosi vicino è uno stimolo in più, avere la possibilità di dimostrare a tutti loro l’attaccamento alla maglia, che hanno fatto bene venire allo stadio. Però devo essere sincero: non sono rimasto stupito di quel risultato, di quel pubblico fantastico. Siamo un gruppo giovane e il divario con le altre nazionali si sta accorciando. Certo, da bravi italiani vogliamo tutto e subito, non abbiamo pazienza. Eppure anche gli altri ci hanno messo anni ad ottenere risultati. La Francia prima di vincere quello che poi sarebbe diventato il Sei Nazioni ci ha messo mezzo secolo. Bisogna avere pazienza. Poi è chiaro, firmerei col sangue per vincere il Sei Nazioni già il prossimo anno ma so che è quasi impossibile. Posso però mettercela tutta per far sì che un giorno qualcuno dei giovani che ora è con noi lo possa davvero vincere. Sarebbe un po’ anche mio”.

Dopo il Mondiale 2015 con ogni probabilità molti dei “senatori” azzurri di oggi cederanno il passo. Come vedi i più giovani del gruppo azzurro, possiamo essere ottimisti?
“Guarda, una decina di giorni fa ero all’evento di presentazione delle nuove maglie Adidas della nazionale e c’erano un po’ di giovani delle Accademie e di alcuni club. Io non so come sono con la palla in mano, ma a quell’età  – 18 o 19 anni – noi fisicamente eravamo meno forti. Insomma, il materiale c’è. Bisogna crescere con calma, a partire dalle società, i giovani devono essere seguiti, altrimenti non si va da nessuna parte. Noi vecchietti possiamo essere un esempio, ma il futuro non è nostro. E poi vivendo in Francia certe cose si notano di più”.

Quali?
“La scuola. Forse per qualcuno la prendo un po’ alla lontana, ma non è così: da noi si gioca solo a pallavolo, basket e calcetto. Io sono stato fortunato, avevo alle medie un professore che ci ha fatto provare di tutto, ma era un’eccezione. In Francia puoi provare qualsiasi cosa e poi non vieni abbandonato. Un esempio: ti fanno provare i 400 metri e poi devi raggiungere degli obiettivi durante l’anno scolastico. Ci sono insegnanti e allenatori che ti seguono. C’è una cultura sportiva diversa, aperta a tutte le discipline. Spero che anche in Italia si capisca che lo sport è importante. Chiaro, non deve togliere spazio a materie più importanti, ma ti fa stare bene con il tuo corpo, libera la mente e ti aiuta a studiare meglio”.

Facciamo un salto indietro nel tempo: ormai è passato quasi un anno da quella Italia-Irlanda di Dunedin alla RWC2011. Cosa è successo in Nuova Zelanda? C’è stato un blocco mentale, un calo fisico o cosa? Perché quella difesa così attendista?
“Credo che Nick Mallett ci abbia fatto fare un grosso salto di qualità. Personalmente poi sarò sempre grato a Nick perché è stato il primo a darmi fiducia anche come calciatore, mi ha difeso quando mi hanno criticato. Però a partire dal raduno di preparazione al Mondiale è successo qualcosa: si è fidato solo del pacchetto di mischia, ha riposto tutta la sua fiducia negli avanti mentre noi trequarti siamo stati messi da parte, ci ha fatto capire che eravamo marginali. A quel punto tutta la tattica si è basata e appoggiata sugli avanti: ma non si vince o si perde in 8, lo si fa in 15. Se poi qualcuno in prima linea si fa male o non riesce a rendere come vorrebbe, crolla tutto. Ha riposto la sua fiducia in alcuni giocatori e non nel gruppo. L’atmosfera si è un po’ guastata”.

Può avere influito il fatto che si sapesse che se ne sarebbe andato?
“No, non è stato un problema. Alla fine sono i giocatori che vanno in campo. Voglio essere chiaro: non ci sono stati scontri, litigi o problemi particolari. Solo un’atmosfera diversa”.

E Brunel invece come è? 
“Parla moltissimo con noi. Secondo me ha fatto un ottimo lavoro. Poi lavora molto con i giovani, ha allargato molto la rosa e questo significa più competizione. Insomma, quella maglia ce la dobbiamo sudare tutti”.

Un’ultima cosa: sei molto attivo sui social network, Twitter in particolare. Qual è il tuo rapporto con queste nuove tecnologie?
“Buono, positivo. E’ una possibilità di restare in contatto con i tifosi, condividere emozioni e non solo. Io penso che Twitter ad esempio, per la sua velocità, possa essere un veicolo di diffusione anche di discipline sportive considerate minori. Pensa alle Olimpiadi e ancora di più alla Paralimpiadi. Io, per quel poco che ho potuto, ho cercato di informare i miei follower su questi eventi. Cerco di parlare di sport ed eventi che hanno poco spazio. Noi rugbisti siamo fortunati, ma non dimentichiamoci quale era la situazione 10 o 15 anni fa. Dobbiamo tenere ben presente come eravamo. Se posso dare una piccola mano agli sport meno seguiti io lo faccio”.

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