Franchigie, Eccellenza e movimento: l’altra Italia di Jacques Brunel

La seconda parte dell’intervista in esclusiva al ct dell’Italrugby. Ma oggi non si parla di nazionale

ph. Pino Fama

Ieri abbiamo pubblicato la prima parte dell’intervista esclusiva che ci ha rilasciato Jacques Brunel, ct della nazioonale azzurra. E se ieri vi abbiamo presentato le risposte sui temi azzurri, oggi le domande e le parole dell’allenatore vertono sui temi del nostro movimento

 

– Dieci mesi di Italia, dieci mesi in giro per conoscere il rugby Italiano. Franchigie, Eccellenza, accademie, club grandi e piccoli: come sta il nostro movimento?
“Da un po’ più di due anni il rugby italiano è strutturato con le franchigie che raccolgono i migliori giocatori. L’Eccellenza ha sicuramente perso qualcosa ma il campionato è stato molto equilibrato e ci sono dei segnali positivi. Ci sono quattro o cinque squadre che hanno qualcosa più delle altre. Mi è piaciuta davvero molto Mogliano, che ha fatto vedere un bel gioco. E anche Prato. Vediamo se si confermano quest’anno.
Dal prossimo torneo poi c’è l’obbligo dell’apertura italiana: è un cambiamento necessario, una chiave di volta importantissima. C’erano troppi stranieri in quel ruolo, e spesso giocatori italiani che erano cresciuti come 10 venivano utilizzati in ruoli diversi, come centri. Dobbiamo iniziare un percorso diverso, che dia alla nazionale e al movimento delle possibilità diverse, per domani e per il dopodomani”.

– Ha parlato delle franchigie. Vediamole allora, iniziando da Treviso, una squadra che ha iniziato un percorso di un certo tipo qualche anno fa e che ora sembra matura per fare il vero salto di qualità, soprattutto da un punto di vista mentale.
“Io spero che entrambe le franchigie vadano bene, anche se per le Zebre è tutto più difficile. Vorrei che entrambe dimostrassero il giusto spirito per vincere e per imporsi anche in campi ritenuti proibitivi fino ad oggi. Direi che Treviso è a un passo dall’arrivarci, sono anni che sta lavorando bene e ora mi sembra pronta per raccogliere questo genere di risultati”.

– Discorso inevitabilmente diverso per le Zebre. Squadra nuovissima, tanti i giovani che certi palcoscenici non li hanno quasi nemmeno annusati. Chiederle una valutazione, anche superficiale, ora sarebbe troppo presto e anche poco corretto nei confronti di chi sta cercando di mettere in piedi una squadra competitiva. E’ davvero troppo presto. Però lei “frequenta” molto la squadra: ritiene che al di là dei risultati la strada intrapresa sia quella giusta?
“Sì. Hanno delle difficoltà, è normale. Teniamo presente che stiamo parlando di una squadra che è nata dal nulla in poche settimane. Non solo c’erano da cercare i giocatori, ma c’era da mettere in piedi una struttura. E’ un lavoro complicato, che richiede tempo e pazienza. Per quanto riguarda la squadra mi è piaciuto lo spirito che hanno finora mostrato, nelle amichevoli estive e in queste prime partite di Pro12. Sì, la strada è quella giusta, ma è lunga, molto lunga”.

– Fare nomi è sempre un po’ antipatico per un allenatore, ma tra i tanti giovani ce n’è qualcuno che l’ha colpita particolarmente, per qualità tecniche e per quelle agonistiche.
“Sì, ci sono. Così, su due piedi, mi vengono in mente Van Vuren, Belardo, Ryan e Cristiano. Anche Chiesa ha mostrato uno spirito giusto, molto interessante. Deve crescere e dobbiamo capire quale sia il ruolo che più gli adatta. Ma sarà interessante vedere un po’ tutta la stagione. Io credo che i primi bilanci un po’ sensati si potranno tirare tra un paio di mesi, non prima”.

– Tra pochi giorni verrà eletto il nuovo presidente FIR. Ovviamente non le chiedo nulla di specificatamente “politico”. Ma negli ultimi mesi il livello dello scontro tra le varie anime del movimento italiano si è inevitabilmente alzato. Questo clima in qualche modo ha intralciato il suo lavoro?
“No, devo dire di no. Il lavoro di formazione e di conoscenza del vostro rugby è continuato senza intoppi. Le elezioni, per fortuna, non hanno avuto nessun tipo di influenza su questo tipo di percorsi. Sono andato nelle accademie, nei club, nelle franchigie… La nazionale deve avere un contatto con tutti i livelli del movimento, altrimenti non si va da nessuna parte”.

 

 A QUESTO LINK LA PRIMA PARTE DELL’INTERVISTA A BRUNEL

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