Dall’head coach al Director of Rugby: 20 anni di evoluzione nelle parole di Andrea Masi

Inizia quest’oggi la collaborazione di Andrea con OnRugby. Si parte parlando di staff tecnici

andrea masi rugby

ph. Sebastiano Pessina

Per presentare uno come lui non servirebbero molte parole. Basterebbe citare qualche dato della sua carriera: 16 anni in nazionale (esordio nel 1999 a 18 anni nella sua L’Aquila), 95 caps all’attivo, 4 coppe del mondo disputate, uno dei pochi giocatori ad aver militato in Top14 (Biarritz e Racing Metro), Pro12 (Aironi) e Premiership (Wasps). Centro, ala, estremo e all’occorrenza anche apertura.
E poi, giusto per citarne una, quella meta del 12 marzo 2011 contributo fondamentale per una storica vittoria azzurra con la Francia, a coronamento di uno strepitoso Sei Nazioni che gli valse il titolo di miglior giocatore del Torneo.
Ma sarebbe riduttivo. Andrea Masi è molto di più. È l’emblema della serietà, come atleta e come uomo, della disponibilità, dentro e fuori dal campo, cose che lo hanno reso uno dei personaggi più apprezzati e amati nell’ambiente ovale.
Oltretutto è un amico di vecchia data di Onrugby, il primo azzurro che abbiamo intervistato. Nei prossimi mesi scriverà una serie di articoli per noi. E la cosa ci onora non poco.

 

 

Dall’inizio degli Anni Duemila, il rugby ha conosciuto una rapidissima evoluzione che ne ha radicalmente cambiato tantissimi aspetti. Tra tallonatori che corrono all’ala, ali usate come ball carrier da prima fase, seconde linee con gestualità da trequarti e piloni in grado di fare passaggi da venti metri, i giocatori hanno raggiunto un livello di completezza atletica e tecnica impensabile fino a quindici anni fa. Il gioco stesso ne ha profondamente risentito: man mano che progrediva in fisicità e potenza degli impatti, si è fatto anche più rapido e dinamico. Complice anche l’introduzione di modifiche al regolamento che strizzano l’occhio al lato più spettacolare, sono diminuiti i tempi morti ed è aumentato il minutaggio della ball in play. Rispetto al passato, si gioca di più e più velocemente.

 

Dietro a tutto ciò che si vede negli ottanta minuti in campo, c’è il lavoro che quotidianamente viene fatto dalle squadre in allenamento. E per far fronte alle richieste tecniche, tattiche, fisiche e atletiche del rugby moderno, le squadre si sono dovute attrezzare in maniera capillare dal punto di vista degli staff tecnici, la cui competenza rappresenta una componente fondamentale nella costruzione dei successi di un club o di una nazionale. Parallelamente all’evoluzione del gioco, di cui abbiamo brevemente parlato in apertura, anche la componente tecnica delle squadre ha attraversato un notevole cambiamento. Tutto ciò ha portato non solo le società a strutturarsi su tutti i più importanti fronti di gioco che compongono il rugby moderno (fasi statiche, attacco, breakdown, gioco al piede e via dicendo), ma anche ad una generale ridefinizione del ruolo stesso del capo allenatore. Dovendo coordinare uno staff sempre più numeroso e settorializzato per macro aree della preparazione (tecnica, fisica, atletica e mentale), la tradizionale figura dell’head coach è stata sostituita in tempi recenti da una delle figure più moderne e avanzate nel panorama sportivo mondiale: quella del Director Of Rugby. Ma andiamo con ordine.

 

L’esigenza di lavorare con uno staff diviso per competenze è emersa sin dai primi anni Duemila.
Per esempio, ricordo l’arrivo a Viadana dell’ex Springboks Pieter Muller, che nella seconda parte della stagione 2005/06 si occupò dei trequarti. Da quegli anni in avanti è stato un crescendo continuo fino ad arrivare in giro per l’Europa a staff di venti persone. Per far capire il livello di specializzazione e cura per ogni determinata fase del gioco, ai Wasps avevamo un allenatore per le exit strategy dai nostri 22.
Come giocatore, devo dire che avere a disposizione tecnici divisi per competenze e settori semplifica molto il lavoro e almeno nel mio caso non si sono mai create situazioni di confusione tattica, ma anzi ho avuto la possibilità di vivere sinergie di profonda struttura e organizzazione.

 

Da questo punto di vista, il passaggio a Biarritz dopo gli anni in Italia è stato in un certo senso un passo indietro. Arrivai all’inizio della stagione 2006/07 in un momento per loro incredibile: una squadra fortissima, campione in carica di Top14 e vice campione d’Europa. Ma per assurdo non ritrovai la medesima organizzazione che avevo lasciato in Italia ed è un qualcosa che ho riscontrato nella scuola francese. Lì c’è un campo allenatore che si occupa quasi a 360° del gioco, che ha voce in capitolo in touche, mischia, trequarti, avanti…Si occupa un po’ di tutto e ai giocatori viene lasciata molta libertà in campo: l’idea è avere più fantasia, meno struttura e in passato hanno ottenuto molti successi con questa “filosofia” di gioco, facendo del rugby francese uno dei più piacevoli da guardare e dei rugbisti francesi giocatori in grado di esprimere al meglio il loro talento, senza eccessive costrizioni.

 

Ma al giorno d’oggi questo modo di preparare e interpretare il gioco ne ha risentito. Come abbiamo scritto, si va verso un rugby sempre più strutturato, la pressione in campo è sempre più forte ed è bene allenare in modo completo ogni singola fase del gioco. La figura forte che emerge non è più quella del capo allenatore inteso in senso tradizionale, ma quella del Director Of Rugby. Dal Regno Unito si sta imponendo anche Oltremanica con il nome di Directeur Sportif: due esempi sono Fabien Pelous a Tolosa e Gonzalo Quesada allo Stade Francais. Ma quali sono esattamente le competenze e i compiti di un Director of Rugby?

 

Semplice, ha la responsabilità totale della squadra! Per esperienza personale, Dai Young ai Wasps, non interviene sul campo ma piuttosto in sede di riunioni dove discute di questioni tecniche e tattiche con il suo staff di assistenti allenatori. Ma questo è solo uno degli aspetti del suo compito, che esige tre doti: leadership incredibile, gestione degli individui e presentazione personale. Nella pratica si declinano in forte personalità, capacità di ottenere il meglio da giocatori e staff tecnico, comunicazione impeccabile.

 

La sua totale conoscenza del gioco deve essere supportata anche da competenze umane e psicologiche: per questo lo ritengo il ruolo più difficile in assoluto, perché riassume aspetti tecnici e aspetti manageriali/organizzativi di gestione, organizzazione e motivazione del gruppo. Tutto ciò esige una formazione di altissimo livello e un costante aggiornamento sulle più avanzate metodologie di apprendimento e insegnamento. Per capire meglio, proviamo ad analizzare più nello specifico il lavoro di due grandi DoR: Conor O’Shea e Eddie Jones.

 

Conor O’Shea ha una laurea in Economia e Commercio all’Università di Dublino, un diploma in legge al Dublin Institute of Technology e ha conseguito un master in Scienza dello Sport alla United States Sport Academy. Si capisce che non siamo di fronte ad un capo allenatore in senso “tradizionale”, ma ad un livello successivo: tutte queste competenze danno un valore ulteriore e ben più profondo ai classici compiti dell’head coach. Del resto sotto il DoR ci sono tutti gli allenatori, i preparatori, il mental coach…E il suo lavoro è molto psicologico, deve andare in profondità nelle persone e nelle motivazioni di ciascuno. Oltre a tutto questo, Conor O’Shea incarna perfettamente anche la terza dote, quella della comunicazione impeccabile.

 

Nella conferenza stampa dopo la partita contro gli All Blacks, il tecnico irlandese ha detto di essere contento sia della prestazione sia di aver iniziato il viaggio in azzurro. In questo modo ha tolto pressione ai giocatori in vista delle sfide successive e dato un messaggio positivo. Dopo il Sudafrica, invece, ha ricordato che c’è molto da lavorare, cercando di smorzare l’entusiasmo perché noi italiani tendiamo ad infiammarci velocemente. E’ incredibile quanto potenti siano determinate parole utilizzate in determinati momenti, ma anche quanto queste possano influire sulla prestazione della squadra.
Dal punto di vista della gestione comunicativa, credo che nessuno sia più abile di Eddie Jones. Un vero e proprio stratega.

 

Facciamo un passo indietro. Non più tardi di un anno fa l’Inghilterra usciva dal peggior Mondiale della sua storia, per di più organizzato in casa. La pressione della stampa enorme, come solo i media inglesi sanno fare.
La scelta della RFU è stata quella di chiamare Eddie Jones al posto di Stuart Lancaster. Credo che la grossa differenza Eddie Jones l’abbia fatta proprio togliendo peso e responsabilità dalle spalle dei giocatori, dando un’immagine diversa della squadra. Ho notato che da quel momento agli atleti è stata lasciata pochissima attività media, adesso è raro vedere un giocatore inglese intervistato: Eddie Jones si è assunto tutto il peso della sua gestione, liberandone i giocatori che vanno in campo con meno pressioni esterne. Nomi alla mano le qualità della rosa sono quelle del Mondiale, ma ora è cambiata la mentalità con cui si esprimono e le prestazioni ne hanno risentito in positivo.
Da questo punto di vista, Eddie Jones è uno stratega che non lascia nulla al caso, anche quando parla pubblicamente. Le battute sono sempre profonde, le critiche servono a togliere pressione per esempio dalla sua prima linea e metterla agli arbitri…Sono sicuro che è tutto preparato e in questo è formidabile.

 

Tornando invece a Conor O’Shea, per molti la scelta della Federazione è stata quella giusta e non posso che concordare. La Nazionale e in generale il movimento Italia avevano bisogno di qualcuno che portasse positività e un’immagine diversa, più moderna e innovativa. O’Shea si è confermato da subito un grandissimo comunicatore, del resto l’enorme rispetto di cui gode in tutto il mondo ovale lo precedono. Su di lui ho sentito solo parole positive, tutti ne parlano benissimo ed è stimato. Ho sentito alcuni ragazzi della Nazionale, mi dicono che è arrivata una ventata di aria fresca, positività e gioia di stare assieme: sono felici di andare in ritiro e questo è fondamentale. Del resto il compito del DoR è anche questo, creare un ambiente piacevole affinché sia un piacere vivere di rugby: nella prossima puntata parleremo proprio dell’importanza di favorire la formazione di un ambiente positivo e stimolante in cui esercitare la propria professione di rugbisti.

 

Ma attenzione, i risultati non arriveranno subito. Servono tanto tempo e pazienza e fa bene Conor O’Shea a ricordarlo. Siamo un popolo poco paziente ma dobbiamo saper aspettare: i frutti si vedranno dal Sei Nazioni 2018. Però oggi abbiamo uno staff tecnico tra i più competenti al mondo: persone come Catt e Venter chiunque le invidia. E se c’è una cosa che ho imparato nella mia carriera è che il lavoro duro e ben organizzato paga.

 

Andrea Masi

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