Questa squadra è competitiva, lo è al punto di giocarsela per davvero contro avversari di livello medio-alto e di non partire più da vittima sacrificale contro le 5 grandi

Italia-Sudafrica: perché la partita di Torino è una tappa significativa nel percorso di crescita degli Azzurri (ph. Sebastiano Pessina)
Poteva essere la giornata della storia. Ma per battere il Sudafrica – anche in 14 (chiedere alla Francia per maggiori informazioni) – serve ancora qualche altro passaggio nel lungo percorso di crescita degli Azzurri. Forse, semplicemente, non era ancora il momento. Ma dalla partita di Torino però tutti si aspettavano una cosa: che l’Italia continuasse sulla strada tracciata con l’Australia, che non facesse passi indietro né controprestazioni. La risposta in questo senso è stata assolutamente positiva: gli Azzurri sono scesi in campo per provare a vincerla, per fare la loro partita senza timori reverenziali né complessi di inferiorità, offrendo una prestazione competitiva.
Ci sono stati gli errori, certo, ma quante volte in passato ci siamo ritrovati a discutere di una partita col Sudafrica (e con questo Sudafrica, quello dei due Mondiali consecutivi, dei record, dei 45 giocatori dello stesso livello) dicendoci che poteva andare meglio, che forse poteva persino essere vinta? La risposta è “mai”. Ed essere qui a goderci una giornata di – sane – discussioni su quanto avrebbe potuto ottenere l’Italia anche contro gli Springboks è esattamente ciò che serviva.
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Gli alti e bassi fanno parte del percorso, e probabilmente ce ne saranno ancora: alle grandi vittorie contro Scozia e Galles sono seguite sconfitte evitabili come con le Samoa e prestazioni che rimandavano pericolosamente al passato con Argentina, Francia e Inghilterra. Nel mezzo però c’è stato di nuovo il Galles nel 2025, un colpaccio sfiorato con l’Irlanda, e poi la vittoria con l’Australia: una vittoria di forza, di maturità. Ecco, anche se potranno arrivare altre delusioni, l’importante sarà non fare più passi indietro: questa Italia è competitiva, lo è al punto di giocarsela alla pari contro avversari di livello medio-alto (Australia, Scozia, Galles, e l’anno prossimo ci sarà anche il test con le Fiji) e di non partire più da vittima sacrificale contro le 5 grandi, quelle che al momento sono superiori a tutto il resto.
La delusione (ma anche il tanto orgoglio) di Gonzalo Quesada in conferenza stampa, in questo senso, è indicativa: il tecnico sa che questa squadra può fare ancora di più, e merita di ottenere ancora di più. Paradossalmente, contro il Sudafrica l’Italia ha giocato il suo miglior rugby proprio nei 10 minuti iniziali, quelli in parità numerica. Poi, forse, è mancata quella capacità di azzannare la partita: gli Azzurri si sono fatti trascinare nell’imbuto dal Sudafrica, che non ha eguali quanto a capacità di rendere una partita brutta e sporca. I ragazzi hanno negato di aver avuto quella “paura di vincere” che richiama a memorie azzurre del passato più o meno recente, e probabilmente hanno ragione, ma forse nei momenti chiave hanno perso un po’ la bussola: perché un primo tempo dominato in quel modo è finito 3-10 per il Sudafrica, che ha sfruttato le uniche due occasioni avute in 40 minuti per marcare punti, lasciando a secco un’Italia che avrebbe potuto capitalizzare davvero tanto.
Sarebbe limitante e ingeneroso ridurre quel parziale agli errori dalla piazzola di Paolo Garbisi. Certo, 6 punti in più (e altri 2 nel secondo tempo) avrebbero fatto molto comodo, ma gli Azzurri hanno avuto tante opportunità per sfruttare la superiorità numerica, senza però riuscirci. Un po’ di scelte sbagliate – qualche calcetto troppo frettoloso, soprattutto nel primo tempo, quando si poteva insistere alla mano – e anche un po’ di timore, come dimostra la scelta di piazzare con il Sudafrica appena ridotto in 13 dal giallo a Van Staden.
D’altro canto, bisogna riconoscere al Sudafrica una capacità incredibile di portare gli avversari nell’imbuto con la loro salita difensiva e di non far sembrare di essere in 14: del resto la stessa fatica l’ha fatta anche la Francia che in 40 minuti di superiorità numerica con gli Springboks non ha cavato un ragno dal buco, tanto che Erasmus ha ammesso di aver fatto molta più fatica a Torino che a Parigi.
Insomma, senza timore di cadere nella retorica, quella di Torino è davvero una partita dalla quale l’Italia può imparare tanto. Perché quando giochi punto a punto contro i campioni del mondo, giochi per vincere, e alla fine sei anche arrabbiato perché non ce l’hai fatta, allora sei sulla strada giusta.
Francesco Palma
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