A volte il rugby di base può imparare dall’alto livello, dice Tomaso Parrini, che allena il Rugby Belluno in Serie C

Arbitro e capitani – ph. Sebastiano Pessina
“In ogni ruck, in una frazione di secondo, l’arbitro monitora: i giocatori sono in piedi? Sono sugli appoggi? Il placcatore ha rilasciato il placcato? Quel giocatore era di lato? E la palla è disponibile? Fuorigioco? Era croc roll? E altre variabili, simultaneamente, mentre i giocatori si muovono a piena velocità. Questo accade costantemente per 70-80 minuti.”
“Un arbitro elabora decine di elementi nel ed attorno al breakdown. Lo fa bene, nessuno se ne accorge. Gioca un vantaggio perfetto: la folla applaude la meta, non il vantaggio. Gestisce un capitano con le parole invece che con i cartellini: invisibile. Poi un passaggio sembra marginalmente in avanti. Quello è ciò che ricordano.”
Lo ha scritto sui propri account social Tomaso Parrini, che dopo essere passato dagli staff tecnici delle giovanili di Verona Rugby e ASR Milano allena oggi la prima squadra del Rugby Belluno, nella Serie C veneta, e sta per iniziare una collaborazione con il Narbonne, squadra francese di Nationale 1.
Una riflessione che ha attirato parecchie attenzioni, quella sul ruolo dell’arbitro e sul giudizio netto e inappellabile che pubblico e giocatori hanno del suo operato. Centinaia di decisioni corrette in ogni partita, e poi si sottolinea solamente la piccola percentuale di errori commessi.
Avviene soprattutto nel rugby di base, dove le condizioni sono spesso ben diverse da quelle a cui si è abituati ad assistere in TV: nel rugby di alto livello gli arbitri sono professionisti che operano in una squadra composta da cinque persone, con ogni aiuto possibile da parte della tecnologia; in quello dei campi di provincia è una persona sola in mezzo a un campo, spesso “uno studente universitario che lo fa per 50 euro e per l’amore del rugby”, come scrive Parrini.
“L’arbitro ha questa grande possibilità rispetto a noi tecnici – ha detto il tecnico del Belluno interpellato da OnRugby.it – Noi alleniamo un gesto all’infinito per poi cercare di riportarlo in campo. L’arbitro invece è quella figura che permette ai giocatori di farlo di fronte a una pressione reale, quella della partita. È lui, quindi, che ha in mano la vera piattaforma su cui si basa la crescita di un ragazzo.”
“Da allenatore mi chiedo: come faccio a far crescere quel ragazzo? La risposta inevitabilmente è: nel gioco. Questo significa fargli vivere più cose possibili nel minore tempo possibile. Ecco, a sua volta, questo significa che dobbiamo volere partite dove la palla sia in gioco il più a lungo possibile. Tutta l’attenzione che invece allenatori, giocatori e pubblico pongono sul risultato e sulla singola partita costringe l’arbitro a una rigidità che lo porterà a fischiare ogni cosa. Se togliessimo un po’ di attenzione a questo, con chi è in campo abituato a pensare solo alla partita e i genitori solo a sostenere la squadra, chi fischia poi inconsciamente potrebbe avere una leggerezza benefica nel gestire la partita, prendendo decisioni coerenti con la sostanza del gioco.”
Insomma: fischiare di meno, lasciar giocare, specie se quel tocco in avanti è millimetrico e non così certo, e non cambia infine la sostanza della partita. Un modo per offrire qualcosa in più ai giocatori, specie i più giovani, per renderli rugbisti più competenti.
Un approccio propositivo per il rugby di base, che può in qualche modo prendere il rugby di alto livello come punto di riferimento. Quante volte, infatti, notiamo come i capitani cerchino di cooperare con gli arbitri, lavorando insieme al fine di raggiungere la miglior prestazione possibile in campo.
“Questo permette al giocatore – aggiunge Parrini – di interfacciarsi con lui non più come un nemico da convincere che il tenuto era un tenuto, che quello era in-avanti, che la meta era meta. Ma percepirlo invece come una persona che ti permette di chiarire i dubbi sul campo, e che consente di concentrarsi di più sulla propria prestazione, che poi alla fine è quello che importa a noi allenatori che facciamo formazione e al movimento intero.”
Lorenzo Calamai
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