Edoardo Todaro ha spaccato la Premiership: “Qui da quando ho 14 anni. Under 20 o Maggiore? Se Quesada chiama…”

Da Milano a Northampton quando era un ragazzino, poi 3 mete in 3 partite all’esordio in Premiership: l’azzurrino può sognare in grande e si racconta a OnRugby

Edoardo Todaro ha spaccato la Premiership: "Qui da quando ho 14 anni. Under 20 o Maggiore? Se Quesada chiama..." (ph. Sebastiano Pessina)

Edoardo Todaro ha spaccato la Premiership: “Qui da quando ho 14 anni. Under 20 o Maggiore? Se Quesada chiama…” (ph. Sebastiano Pessina)

Tre partite, tre mete: Edoardo Todaro ha iniziato la Premiership (o PREM, come da nuova denominazione) in modo devastante. Il trequarti dell’Italia under 20 (estremo, ala e centro) cresciuto nell’Academy dei Northampton Saints a soli 19 anni ha già esordito in prima squadra prendendosi di forza una maglia da titolare e andando a segno due volte contro Exeter e di nuovo contro i Tigers, con tanto di player of the match. Todaro, cresciuto tra Cus Milano e ASR Milano e trasferitosi a Northampton a soli 14 anni, è già un punto fermo della Nazionale under 20, sogna l’esordio nella maggiore e intanto si gode il frutto di tanti sacrifici. Non è stato facile cambiare vita così giovane: a 14 anni i ragazzi normali affrontano le sfide dell’adolescenza, le prime esperienze, la scuola, Edoardo invece era già a sgomitare per conquistare un posto tra i grandi del rugby. E ci sta riuscendo.

Edoardo, partiamo dal presente: 3 mete in 3 partite in Premiership a 19 anni, player of the match contro Leicester, se qualche mese fa ti avessero detto una cosa del genere ci avresti creduto?

“No, assolutamente no. Per me tutto questo è ancora un sogno, anche se comunque è successo in maniera graduale. La prima gioia era arrivata quando ero stato scelto per giocare in PREM Rugby Cup (la coppa nazionale, ndr), una grande soddisfazione ma comunque un livello più basso rispetto alla Premership. Col passare delle giornate avevo immaginato che potesse accadere qualcosa di importante, anche perché avevamo tante assenze nel ruolo di ala, ma nell’ultima partita mi ero fatto male al ginocchio ed ero uscito all’intervallo. Sapevo di avere un’opportunità di importante, fortunatamente l’infortunio non era grave e quando nel meeting con lo staff è stata annunciata la formazione e ho visto il mio nome ho provato una grande emozione. Forse è meglio che sia stato tutto graduale, senza un impatto troppo forte. Ho intuito una settimana dopo l’altra che poteva arrivare questa occasione”.

Due mete all’esordio in una partita folle contro Exeter, in vantaggio 33-7 e poi rimontati sul 33-33. Come l’hai vissuta?

“Quando mi è arrivato il pallone della prima meta ho pensato solo a schiacciarlo, poi è esploso tutto: gli abbracci dei compagni, il boato dello stadio, è stata una bella emozione. Ho cercato però di vivere tutto in maniera molto naturale. Alla fine purtroppo non c’è stato molto da festeggiare: era una partita da vincere e ce la siamo rovinata da soli, buttando via dei punti importanti, l’abbiamo vissuta quasi come una sconfitta”.

Contro Gloucester (vittoria 37-35) hai giocato di nuovo titolare, e contro Leicester (vittoria 32-26) hai segnato la tua terza meta in Premiership: come ti sei adattato così velocemente a un livello così alto?

“L’impatto fisico e tecnico è stato molto forte. Avevo giocato nell’Academy e con l’Italia al Mondiale under 20, ma chiaramente la Premiership è completamente di un alto livello: dal punto di vista fisico si sente sotto ogni aspetto, dalle ruck all’impatto palla in mano, e anche la velocità e il livello tecnico sono impressionanti, non ero abituato. Come mi sono adattato? Non ci ho pensato troppo in realtà. Ho pensato solo a dare il meglio di me: gioco a rugby da quando avevo 7 anni, lo sento ‘dentro’ e ho pensato a divertirmi e per fortuna è andata bene. Dopo ogni partita acquisisco sempre più sicurezza, mi rendo conto di migliorare ogni weekend e stare a contatto con così tanti campioni è un grande aiuto. Lo staff è sempre stato gentile e disponibile con me, così come i ragazzi, e avere qualche italiano tra i compagni aiuta. Fin dalla prima partita Danilo Fischetti mi ha aiutato a rimanere tranquillo e concentrato, e anche con Manfredi si è creato subito un bel rapporto”.

Ai Saints stai giocando principalmente come ala, anche se in Under 20 sei stato un utility back giocando anche centro ed estremo. Qual è il ruolo in cui ti senti più a tuo agio e quello dove ti piacerebbe importi?

“Non so se a lungo termine il mio ruolo sarà quello di ala, anche se devo dire che mi sto trovando molto bene perché ho tante opportunità di giocare col pallone: mi diverto, ho spazio e modo di imparare ancora. Forse a lungo termine mi sento più un estremo, ma ci sarà tempo per capire e decidere”

Tornando indietro, tutto nasce dalla decisione di trasferiti in Inghilterra a 14 anni. Quando è arrivata l’occasione?

“Sono nato a Milano e avevo sempre giocato lì tra Cus e ASR. Era un periodo particolare perché a causa della pandemia stavamo giocando poco. L’occasione si è creata tramite Andrea Pozzi, che allenava già in Inghilterra, e il mio allenatore al Cus Paolo Ragusi: ho deciso di prenderla al volo, anche se il processo di selezione è stato davvero duro e stressante, per molto tempo non ho avuto la certezza che sarei andato a Northampton. I miei genitori sono stati fantastici e tutta la mia famiglia mi ha supportato e ha reso possibile tutto questo: lasciar andare via un figlio a 14 anni non è per niente facile, ma loro sono stati i numeri uno. Non smetterò mai di ringraziarli”.

Come funziona il processo di selezione?

“Oltre alla valutazione rugbistica, tecnica e fisica, loro valutano molto anche la tua attitudine scolastica. Per essere ammesso all’Academy dei Saints ho dovuto superare degli esami scritti e orali di inglese, matematica e logica. Per giocare lì bisognava andare bene a scuola: in Inghilterra danno grandissima importanza a questa cosa. Poi è chiaro che a un certo punto bisogna fare una scelta e prediligere di più una o l’altra cosa: dei compagni di squadra magari hanno scelto materie più semplici, altri più complicate, ma in ogni caso è necessario ottenere dei buoni risultati a scuola per poter restare e giocare a rugby. Questo è imprescindibile per loro”.

Andavi bene a scuola?

“Sì, devo dire che sono sempre andato bene. Mi piacevano molto le materie economiche, infatti fra poco inizierò l’università e studierò proprio questo. Ho trovato la mia strada anche nello studio”

Com’è stato ad adattarsi in un Paese nuovo a 14 anni? Hai mai pensato di mollare tutto?

“Il primo anno è stato più difficile di quanto pensassi, anche se tutti sono stati davvero gentili e disponibili. Le difficoltà però c’erano: la lingua, una vita indipendente, una cultura diversa, e poi mi mancava l’Italia, i miei amici, la famiglia, il cibo. Ho sentito molto la mancanza di casa. Alla fine del primo anno ho anche pensato di tornare in Italia, ho avuto questo dubbio, ma col passare del tempo mi sono sentito sempre più a casa ed è andato tutto a gonfie vele. Certo, non è sempre facile e quest’anno diventando un giocatore di rugby a tempo pieno lo spazio per la vita privata è diminuito, ma cerco sempre di ritagliarmi tempo e spazio per vedere gli amici che ho conosciuto in questi anni di scuola e per sentire gli amici e i parenti che sono in Italia, poi vengono anche a vedere le mie partite quindi sono molto felice delle persone che ho intorno a me”.

Ti manca il cibo italiano?

“Eh un po’ sì. Sono un amante della pizza e soprattutto della mozzarella di bufala: quando torno in Italia i miei genitori me la fanno sempre trovare in frigo”.

In teoria avresti davanti un altro anno di Italia Under 20, ma dopo queste prestazioni ti stuzzica l’idea di fare subito il “salto” tra nella Nazionale maggiore? Hai parlato con Quesada?

“La maglia dell’Italia è un obiettivo per chiunque giochi a rugby e per chiunque faccia sport, è sempre un sogno che rimane nel cuore. Con il coach ho parlato dopo alcune partite del Mondiale under 20 ed è stato molto bello”.

E se ti dicesse “niente Under 20, vieni direttamente con noi”?

“Beh, sarebbe il problema che ogni giocatore al mondo vorrebbe avere (ride, ndr). Credo che comunque il sogno della Nazionale maggiore vincerebbe”.

Negli ultimi anni sempre più italiani si stanno trasferendo all’estero, dopo anni in cui il rugby azzurro è stato “snobbato” dai grandi campionati. A cosa è dovuto questo cambiamento secondo te?

“Posso parlare per la mia esperienza personale. A Northampton non c’è mai stato alcun tipo di pregiudizio sulla provenienza rugbistica, hanno sempre e solo badato al talento: non mi sono mai sentito ‘secondo’ rispetto a un inglese. Credo che semplicemente il rugby italiano negli ultimi anni sia cresciuto tantissimo e di conseguenza tanti club importanti hanno messo gli occhi sui nostri talenti”.

Al Mondiale under 20 l’Italia ha ottenuto il miglior piazzamento della sua storia (7°) anche se non tutte le partite sono state esaltanti: per te è stato un torneo soddisfacente?

“Personalmente lo ricordo come un periodo bellissimo anche se molto faticoso. Siamo partiti bene con la Nuova Zelanda e poi vincendo con l’Irlanda, anche se con Georgia e Australia siamo calati e non abbiamo fatto il massimo, per poi vincere bene con il Galles alla fine. Il Mondiale under 20 è un torneo particolare perché si gioca ogni 5 giorni e a 19-20 anni non è facile mantenere una certa costanza di rendimento. Il nostro obiettivo però era ottenere il miglior risultato italiano di sempre, e ci siamo riusciti, siamo molto contenti.

Qual è il giocatore che più di tutti ti ha colpito di questa Under 20? Quale quello che ti ha sorpreso più in positivo?

“Siamo davvero un bel gruppo e ci sono tanti ragazzi con grande futuro. Se devo fare dei nomi ti dico Nelson Casartelli, Federico Zanandrea e Alessandro Drago, ma ce ne sono davvero tanti e non vorrei dimenticare nessuno. Per quanto riguarda il giocatore che secondo me è migliorato di più dico Enoch Opoku. Al Sei Nazioni magari faceva ancora un po’ di fatica a sfruttare al massimo la sua grande fisicità, al Mondiale invece è stato strepitoso, ha avuto una crescita impressionante nel giro di pochi mesi”.

C’è un italiano al quale ti ispiri?

“Menoncello è senza dubbio il più forte che abbiamo. A inizio 2025 però con l’Under 20 abbiamo avuto l’occasione di allenarci con la maggiore, e mi sono reso conto di quanto Nacho Brex fosse sottovalutato. Ha un’intelligenza incredibile, non sbaglia mai una scelta né in attacco né in difesa. Andando più indietro, ovviamente, il mito di tutti noi era Sergio Parisse: è un giocatore simbolo”.

Tra gli internazionali?

“Da piccolo ho iniziato ispirandomi a Owen Farrell, era il mio idolo. Poi cambiando modo di giocare sono cambiati anche i riferimenti, adesso vedo soprattutto McKenzie, anche perché è un utility back come me”.

Pur non essendo un mediano al Mondiale ti abbiamo visto anche piazzare. È una cosa sulla quale ti piacerebbe continuare a lavorare?

“Fin da piccolo mi è sempre piaciuto calciare e ho sempre allenato questa caratteristica. Ultimamente ho avuto meno tempo per lavorare dalla piazzola perché in vista dell’esordio ci siamo concentrati su altre cose, anche se ne ho parlato con i Saints e mi piacerebbe continuare su questa strada, anche se al momento non è una mia priorità”.

Francesco Palma

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