Le prospettive del vicepresidente cremisi a OnRugby: 17 nuovi innesti, un percorso che parte dalle radici e un’idea di sviluppo per i giovani del campionato italiano

Fiamme Oro, il vicepresidente Niglio: “Vogliamo valorizzare i ragazzi italiani e del centro-sud. Per i giovani servirebbe un Draft come in NBA” (ph. Paolo Cerino)
Le Fiamme Oro cominceranno la stagione 2025-26 con ben 17 nuovi innesti. Molti provenienti dal “mondo Fiamme”, altri invece cercati e voluti seguendo dei criteri ben precisi, come ha spiegato a OnRugby il vicepresidente della squadra Tommaso Niglio. Già presentando la rosa per la nuova stagione Niglio aveva parlato di un “Modello Fiamme Oro” da seguire, a partire dalla valorizzazione dei giocatori italiani e in particolare del centro-sud, fino alla proposta (essendo anche Niglio vice-presidente della Lega Italiana Rugby) di un progetto che possa alzare ancora di più il livello del campionato di Serie A Elite.
Quali sono gli obiettivi per la prossima stagione?
“L’obiettivo è essere competitivi, e nelle nostre intenzioni il concetto di competitività passa dal miglioramento dei risultati dell’anno scorso: siamo arrivati in finale di Coppa Italia e a 2 punti dai playoff in campionato, e quest’anno vorremmo migliorare in almeno uno dei due aspetti. Il sogno è di migliorare entrambi, sarà molto difficile ma ci proveremo. Per questo abbiamo inserito in squadra giocatori giovani, sì, ma che hanno già dimostrato di poter essere competitivi in Serie A Elite poiché erano titolari nei club da cui provengono. In particolare ci siamo concentrati nei settori dove ritenevamo necessario alzare il livello, quindi i primi 5 uomini ma anche la terza linea. Abbiamo alzato la qualità anche nel reparto trequarti con l’inserimento di Sodo Migliori che è uno dei migliori prospetti italiani nel suo ruolo”.
La lunga lista di nuovi innesti delle Fiamme Oro si può dividere sostanzialmente in due: una parte formata da giocatori “interni”, che vengono dalle giovanili, e l’altra invece da acquisti esterni. Partendo dai primi, qual è il percorso di crescita dei ragazzi e come arrivano alla Serie A Elite?
“Da circa 20 anni abbiamo iniziato questo percorso di settore giovanile che prima non esisteva nella tradizione delle Fiamme Oro, e adesso raccogliamo i frutti, non solo tramite i giocatori che sono parte della squadra, perché abbiamo circa 30 giocatori nelle rose di squadre che vanno dalla Serie A Elite alla Serie C. Questo perché vogliamo alzare il livello della prima squadra, ma anche contribuire a far crescere tutto il movimento: lo facciamo con un sistema di reclutamento molto capillare sul territorio, che parte dalla zona di Ponte Galeria nella zona sud di Roma, e abbiamo una serie di rapporti con le varie società romane che ci consentono di poter strutturare il sistema in maniera così articolata. I ragazzi che fanno parte della prima squadra non arrivano solo dalle giovanili, dove già eccellevano, ma sono stati mandati a giocare in club di Serie A1 e Serie A Elite – e non solo – dove hanno dimostrato di poter essere al livello. Ad esempio, quest’anno ritroviamo Luca Bellucci (terza linea classe 2004 che ha giocato nell’Italia under 20, ndr) che ha iniziato a giocare con le Fiamme Oro, ha fatto tutta la trafila e poi ha fatto esperienza prima a Piacenza e poi in Nuova Zelanda, prima di tornare qui”.
Qual è il vostro modello?
“Abbiamo la convinzione che i giocatori italiani siano più affidabili ma anche più forti perché cresciuti in una scuola – quella del rugby italiano e quella federale – di altissimo livello. Quello che stiamo facendo oggi è proporre un modello alternativo a quello dominante che vede le squadre del nord attingere giustamente dal bacino lombardo-veneto e aggiungendo giocatori equiparati. Noi stiamo promuovendo un modello completamente diverso incentrato principalmente sul centro-sud: oltre ai giocatori interni provenienti dalle giovanili, quest’anno saranno ben 13 in squadra, nelle nostre fila abbiamo ragazzi che vengono dalla Toscana, dall’Umbria, fino alla Sicilia. Proprio perché il centro-sud al momento non ha altri club in Serie A Elite, e mi auguro che qualcuno ci arrivi presto perché il rugby italiano ha bisogno di una diffusione capillare, cerchiamo di dare una possibilità a tutti i ragazzi della zona di giocare ad alto livello. Una delle critiche che ci venivano mosse riguardava proprio il fatto che guardassimo solo a giocatori di altri club, in realtà non è così: abbiamo lavorato e stiamo continuando a lavorare a un progetto che non è solo di propaganda e sviluppo, ma è un modello che crediamo ci porterà a vincere, perché naturalmente a livello di prima squadra l’obiettivo è essere competitivi”.
Per quanto riguarda gli innesti esterni c’è un nome che chiaramente svetta su tutti: quello di Luca Andreani, ex capitano dell’Italia under 20 e reduce da 4 anni alle Zebre, con le quali ha giocato l’URC. In generale, come scegliete i giocatori esterni?
“Il criterio che accompagna la scelta dei giocatori si basa anche e soprattutto sulle qualità umane e sulla compatibilità all’interno del gruppo. Non badiamo solo a quanto il singolo sia forte tecnicamente, ma anche a come può integrarsi col resto della squadra, perché questo resta lo sport di squadra per eccellenza. Andreani è un giocatore di altissimo livello, sicuramente di livello superiore rispetto alla Serie A Elite e viene da una realtà come quella delle Zebre dove ha potuto confrontarsi con squadre internazionali, ma noi lo abbiamo scelto prima di tutto per le sue doti umane, oltre che per quelle tecniche. Luca, oltre ad essere un giocatore forte, è un ragazzo dai solidi principi morali e che è già diventato un punto di riferimento all’interno del gruppo. E come lui tutti i giocatori integrati nella rosa sono stati scelti secondo questo criterio, con un occhio al centro-sud: noi abbiamo una rosa di 43 giocatori in cui 37 provengono dal centro sud. Gli altri 6 sono delle eccezioni arrivate alle Fiamme perché hanno dimostrato di essere prima di tutto persone di un certo tipo, oltre ad essere atleti di altissimo profilo”.
Anche il tecnico, Forcucci, proviene dal mondo delle Fiamme Oro. Qual è stato il suo percorso e cosa vi aspettate da lui?
“Siamo molto contenti di avere un tecnico con un passato importante nelle Fiamme come il suo. Di Forcucci la prima cosa che salta all’occhio è la serenità con cui gestisce il gruppo: quest’anno ci saranno delle novità importanti dal punto di vista del gioco. È un tecnico all’avanguardia e una risorsa per il rugby italiano, che sta esprimendo degli allenatori che sono stati i migliori negli ultimi anni: nell’ultima finale scudetto sulla panchina di Rovigo e Viadana c’erano Giazzon e Pavan, e prima ancora a Rovigo c’era Lodi, la finale di Coppa Italia l’abbiamo fatta noi con un tecnico italiano. Forcucci ci darà tante soddisfazioni, da giocatore ha imparato da tutti i tecnici che si sono susseguiti sulla panchina delle Fiamme e che ringrazio: Guidi, Presutti, Casellato, Green. Tutti allenatori che hanno permesso a Daniele di acquisire delle competenze che gli permettono di essere oggi il nostro capo allenatore. È un tecnico giovane, noi gli siamo vicini in tutto e per tutto perché non bisogna avere fretta, ma allo stesso tempo siamo consapevoli di avere una squadra che può farci togliere delle soddisfazioni: a Daniele chiedo di continuare a lavorare con la serenità che lo ha sempre contraddistinto, perché è la pietra angolare del nostro progetto”.
Siamo in un periodo particolare per il campionato italiano, che sta cercando una sua identità. Il nuovo progetto del Galles, se verrà approvato, prevede proprio la presenza di 2 franchigie, di un campionato nazionale che fa da “ponte” e di un’accademia federale. Praticamente stavolta sono loro a copiare noi. Secondo lei quale dovrebbe essere il ruolo della Serie A Elite all’interno del movimento?
“Lo sviluppo del campionato italiano passa dall’innalzamento del livello qualitativo del gioco, dello spettacolo e dell’offerta, e questo può avvenire guardando al patrimonio dei giocatori. Abbiamo ragazzi che a un certo punto della loro carriera sono costretti ad abbandonare la Serie A Elite perché giustamente intraprendono percorsi lavorativi o di studio decisivi per la loro vita e che non sono compatibili con un livello di impegno così alto. Lo sviluppo passa da un modello sostenibile, e in questo caso parlo anche da vicepresidente della Lega Italiana Rugby: al ragazzo bisogna offrire un percorso di vita che contempli al suo interno la possibilità di giocare a rugby ad alto livello. Un giocatore che si sa comportare, che si allena bene e che arriva ad alti livelli sarà probabilmente un esponente di rilievo di una classe dirigente: non è un caso che nel mondo anglosassone nei colloqui di lavoro la prima cosa che viene chiesta riguarda il tipo di sport praticato e a quale livello, perché unire esigenze lavorative, di studio e rugby ad altissimo livello non è una cosa da tutti e possono farlo solo persone con delle spiccate qualità”.
Quale potrebbe essere un modello sostenibile di Serie A Elite?
“Bisogna creare dei percorsi per i ragazzi in cui non si parli di un professionismo ‘spinto’, che in questo momento a livello domestico riguarda una nicchia ridotta. Lo sviluppo del campionato può passare da un altro modello che è quello statunitense: alla fine di ogni campionato i migliori giocatori provenienti dalle giovanili vengono scelti dai club, con una priorità che varia in base alla posizione in classifica invertita. Ad esempio, la prima a scegliere dovrebbe essere la neopromossa Biella, poi Vicenza che è arrivata penultima e così via, in modo da permettere a tutte le squadre di rinforzarsi, riducendo le differenze e mantenendo un modello economicamente sostenibile. Praticamente, senza voler essere troppo evocativo, una sorta di ‘Draft NBA’: tutti i giocatori che provengono dalle accademie e che non sono ancora pronti per le franchigie – ma che per passare dalle accademie hanno comunque delle qualità sopra la media – possono essere messi a disposizione delle società con priorità alle formazioni in quel momento più deboli. In questo modo avremo dei ragazzi di 18-20 anni italiani che possono rinforzare i club riducendo le differenze. Chiaramente in questo modello la Federazione dovrebbe recitare un ruolo importante di collaborazione insieme alla Lega, ma credo possa essere un’idea importante”.
L’idea della Serie A Elite come “canale di passaggio” in effetti si rifà a quello che aveva detto qualche mese fa Gonzalo Quesada, anche se in quel caso il tecnico parlava dei giocatori che uscivano dall’Italia under 20: i più pronti dovevano andare direttamente nelle franchigie, gli altri nel campionato italiano ma con un minutaggio adeguato affinché possano crescere…
“Esatto. Per rendere poi operativo tutto questo serve creare un canale di reclutamento che permetta alle società di scegliere i giocatori senza dover poi depauperare le loro risorse economiche, ma è un percorso che va fatto con i giocatori italiani. Quando parlo di questa sorta di Draft è perché in questo modo si può garantire anche minutaggio ai ragazzi. Ad esempio: se ai Rangers Vicenza serve un pilone, e ci sono – facciamo un esempio – 18 giocatori usciti dalle accademie a disposizione della Serie A Elite, loro prendono un giocatore in un ruolo in cui sono scoperti e quindi sappiamo che il ragazzo – se meriterà – avrà l’occasione di giocare. E così avremmo dei costi sostenibili anche per i club. Questo è il modello che la Lega dovrebbe proporre alla Federazione, e la Federazione dovrebbe essere ricettiva”.
In questo discorso ritorna molto spesso il tema della presenza dei giocatori italiani…
“Lo sviluppo dei giocatori italiani è un’esigenza chiave. Prendiamo degli esempi pratici: Bertaccini e Belloni sono stati convocati in Nazionale quando militavano ancora in Serie A Elite, e secondo me ci sono altri 2 o 3 ragazzi che potrebbero fare lo stesso passaggio diretto. Ma se questi giocatori non giocano, per scelta legittima dei club che preferiscono in un ruolo giocatori più affidabili che arrivano da una federazione estera, quei ragazzi come faranno a mettersi in luce? Questo è ciò che ci farà fare la differenza nella valorizzazione del campionato”.
Ha citato due giocatori che hanno fatto il passaggio diretto dall’Elite alla Nazionale, una cosa che non accadeva dai tempi di un giocatore che lei conosce molto bene: Carlo Canna. Quanto un giocatore di esperienza internazionale come lui ha contribuito alla crescita delle Fiamme Oro dal punto di vista tecnico?
“Carlo Canna per me è l’esempio perfetto di come dovrebbe essere un giocatore delle Fiamme Oro. Arriva al campo per primo e va via per ultimo, nel giorno facoltativo è sempre ad allenarsi per migliorarsi ancora. È un esempio e un modello per il mondo delle Fiamme Oro ma per tutto il rugby italiano, contribuisce alla crescita di tutti i ragazzi che abbiamo preso in questi anni: giocare con Carlo per tanti ragazzi è un incentivo a scegliere le Fiamme perché uno come lui ti aiuta a crescere. È un valore aggiunto dal punto di vista sportivo e umano e sarà sicuramente – quando sceglierà di smettere, io mi auguro il più tardi possibile – avrà dei ruoli importanti nell’ambito delle Fiamme Oro Rugby. È stato ed è il giocatore più importante che abbiamo avuto, non solo sotto il profilo tecnico”.
Francesco Palma
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.