British & Irish Lions: il secondo test con l’Australia è stata la partita più bella dell’estate

Spettacolo, epica, tantissimo pubblico. Gli ingredienti di una partita da ricordare

British & Irish Lions: il secondo test con l’Australia è stata la partita più bella dell’estate

La seconda delle tre partite della serie tra British & Irish Lions e Australia è stata la migliore di questo mese di luglio.

Toglie lo scettro, probabilmente, alla prima gara tra Francia e Nuova Zelanda, ma soprattutto ci regala finalmente tutta l’epica e lo spettacolo che fin qui questa tournée dei Lions non era riuscita a generare.

L’incontro del Melbourne Cricket Ground ha avuto davvero tutti gli ingredienti per finire nei libri di storia del gioco: uno stadio enorme e speciale, invaso da 90mila spettatori; la squadra sulla carta più debole che incendia la partita e la guida per la quasi totalità; la più ampia rimonta della storia dei Lions e l’azione decisiva che arriva all’ultimo minuto della gara.

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L’arma in più dell’Australia

Anche dodici anni fa, nel 2013, i Lions favoriti si erano portati a casa il primo test contro i Wallabies con una vittoria striminzita che non aveva particolarmente conquistato i cuori dei tifosi. Come dodici anni fa, nella seconda partita l’Australia era stata in grado di alzare i giri del motore. Quella volta ai Lions non riuscì l’operazione rimonta e si andò a gara-3 per decidere la serie.

Stavolta ci sono voluti 79 minuti e 10 secondi per conquistare la partita, ma alla fine ci sono riusciti.

Il merito dell’Australia, rispetto al primo test, è stato quello di riuscire ad alzare il proprio livello di fisicità. Un impegno collettivo, certo, ma che ha decisamente beneficiato del rientro di Rob Valetini e Will Skelton, che hanno martellato la linea difensiva avversaria con un’infinita di cariche nel primo tempo.

Quella capacità brutale di ottenere metri e dare qualità al possesso si è combinata con l’indisciplina dei Lions, che hanno concesso nella parte iniziale del match diversi falli, dando ai Wallabies il controllo fisico ed emotivo della partita. Un dominio capitalizzato con le mete di Slipper, Gordon e Wright, con quest’ultima arrivata in seconda fase da restart, mettendo in imbarazzo la difesa dei Lions proprio grazie alla fiducia instillata dalla predominanza fisica sull’incontro.

Il momento chiave della partita

Per quanto le discussioni post-partita si possano concentrare su quell’ultimo punto d’incontro e sull’intervento in sostegno di Jac Morgan, per quanto giustamente si celebri la bella e importantissima meta di Hugo Keenan – che entra di diritto nel novero delle leggende dei Lions, lui che è arrivato al rugby che conta per via traverse dopo essere stato scartato ai tempi delle giovanili -, il momento decisivo della partita è rappresentato dai sette minuti finali del primo tempo.

Sul punteggio di 23-5, i Lions hanno ritrovato la parità numerica con il rientro dal sin bin di Tommy Freeman. Due errori australiani, forse i soli del primo tempo, hanno dato ai Lions accesso ai 22 metri avversari: prima Tom Lynagh ha sbagliato una presa al volo e ha concesso una mischia ordinata, poi Joseph Suali’i è stato pescato in fallo da Piardi a metà campo, e Finn Russell ha calciato il pallone dentro i cinque metri. Da queste due occasioni sono fruttati 12 punti, frutto delle qualità di Jamison Gibson-Park come playmaker dalla base e di un paio di belle cariche che hanno riportato in equilibro la bilancia della fisicità nella partita.

Tom Curry, marcatore della prima delle due mete, è stato peraltro uno dei migliori in campo per i Lions. Costantemente al lavoro, è stato uno di quelli in maglia rossa a distinguersi nel momento di massima difficoltà, peraltro salvando i suoi su un’occasione da meta australiana con un placcaggio fondamentale.

La differenza tra le due squadre

In fin dei conti quella di sabato è stata una partita dallo svolgimento classico quando si affrontano due squadre che hanno un gap importante tra loro. La squadra meno forte ha dato tutto, superando anche i propri limiti e alzando il livello fin quando possibile, ma con il progredire dei minuti ha visto calare la propria qualità prestativa, subendo una inesorabile rimonta da parte della più forte.

A evidenziare ulteriormente questa differenza c’è il diverso impatto delle due panchine sulla gara. Chi è uscito dal banco dei sostituti dei Lions ha avuto un impatto positivo: Jac Morgan è stato onnipresente e ultrafisico, Will Stuart ha portato la palla e si è caricato in spalla la mischia, Ellis Genge ha aggiunto durezza, anche James Ryan ha saputo mettersi in evidenza. Per contro dall’altra parte l’Australia ha avuto poco dai suoi, e il fatto che Skelton e Valetini avessero una autonomia assai limitata (entrambi rientravano da un infortunio) ha pesato molto.

Su questo si è aggiunto un ulteriore aspetto. Joe Schmidt aveva scelto una panchina 6-2, ma al 19′ si è infortunato l’ala Harry Potter. Al suo posto è entrato Tate McDermott, che ha giocato sessanta minuti fuori posizione, lasciando Jake Gordon a mediano per tutta la gara. Evidentemente per Schmidt era essenziale che Tom Wright, uno dei giocatori di maggior classe ed esperienza della squadra, specie in fase offensiva, rivestisse il ruolo di estremo. Altrimenti non si spiega la scelta di non far scendere in campo neanche per un minuto Ben Donaldson, che ha spesso e volentieri giocato estremo in carriera, spostando Wright nel ruolo di ala. Questa decisione ha impedito ai Wallabies il consueto inserimento di McDermott a mediano per dare la scossa di energia e ritmo nell’ultimo quarto di gara.

Un dettaglio che, certo, probabilmente avrebbe cambiato poco, visto che nell’ultimo quarto di gara il possesso dell’Australia è stato quantomai risicato.

Schmidt ora ha davanti a sé il compito di chiudere al meglio possibile la serie, ma soprattutto di pensare al prossimo futuro. Con questa gara i Wallabies hanno dimostrato di potersi avvicinare al livello dei migliori e di star costruendo qualcosa: lo ha evidenziato il modo di giocare a rugby in queste due gare, con un grande focus sulla tecnica individuale, sulle skills, sulle capacità di evasione e sulla qualità del punto d’incontro. È anche emersa però la scarsa profondità in rosa, sulla quale è necessario intervenire perché l’Australia possa onorare al meglio la Rugby World Cup casalinga del 2027.

Lorenzo Calamai

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