Alessandro Nardoni è nato a Firenze ma vive a Hong Kong da quando ha 12 anni. Rugbista professionista, ha appena esordito con la nazionale asiatica candidata a un posto in Australia nel 2027

Alessandro Nardoni – ph. Hong Kong China Rugby
Sabato 5 luglio a Incheon, la terza città più grande della Corea del Sud, la nazionale di casa ospiterà la selezione di Hong Kong per l’atto finale dell’Asia Rugby Championship 2025.
Gli ospiti sono decisamente favoriti per la vittoria della partita e del torneo, che vale la qualificazione diretta alla Rugby World Cup 2027 in Australia. Con l’allargamento del mondiale ovale a 24 squadre, infatti, Hong Kong è una delle squadre che potrebbe per la prima volta accedere alla competizione.
Fino a qui i Dragoni, come sono soprannominati, sono stati in grado di battere gli Emirati Arabi Uniti (43-10) e lo Sri Lanka (78-7). Nel corso dell’ultima, trionfale partita c’è stato anche tempo per l’esordio internazionale di Alessandro Nardoni, nato a Firenze 29 anni fa prima di trasferirsi con la famiglia a Hong Kong nel 2008.
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Alessandro, potresti essere il primo italiano a partecipare a una Rugby World Cup con una maglia diversa da quella azzurra.
“Non ci avevo minimamente pensato. In realtà c’è anche un altro ragazzo italiano in rosa già dallo scorso anno, Matteo Avitabile. È più giovane di me, ha fatto alcune partite e poi è stato un po’ sfortunato e non è rientrato nelle ultime convocazioni. Io ho appena esordito con la nazionale a XV, ma sono nove anni che faccio il professionista full time con la nazionale Sevens di Hong Kong. Nel 2016 feci tre mesi con la nazionale a XV, ma poi mi proposero di passare a giocare a sette perché per me potevano esserci più opportunità.”
Che cosa ha portato te e la tua famiglia a lasciare l’Italia per Hong Kong?
“Il lavoro di mio padre, nell’industria della pelletteria. Lo abbiamo seguito qui e io ho iniziato a giocare a rugby soltanto una volta che mi sono trasferito, da ragazzo. Nelle intenzioni doveva essere un modo per aiutarmi a fare nuove amicizie, creare legami in un posto nuovo, ma ad essere sinceri nel primo periodo l’ho odiato. Continuavo ad andare agli allenamenti solo perché mio padre insisteva. Poi ci siamo trasferiti da un quartiere ad un altro e ho cambiato squadra, sono stato accolto benissimo dai nuovi compagni e da lì è davvero incominciato tutto.”
E com’è andato il passaggio dal Sevens al XV?
“Non è stato troppo complesso. Di norma oltre all’attività della nazionale di rugby a sette gioco anche la stagione regolare di rugby a XV con la mia squadra di club, gli Hong Kong Scottish. Sono circa dieci anni che gioco con loro. All’inizio giocavo ala, poi flanker, poi mi è capitato di coprire vari ruoli per supplire a infortuni o assenze. Negli ultimi due o tre anni però ho giocato soprattutto centro, il ruolo che ho sempre voluto ricoprire anche per agevolarmi nel passaggio tra i due codici.”
La convocazione in nazionale però è arrivata solo adesso.
“Devo dire che per me era un po’ un peso il fatto che non mi avessero mai chiesto di allenarmi con la nazionale a XV, era sempre stata una mia aspirazione farne parte. Mi sono comunque concentrato sul Sevens, anche perché nel periodo del Covid ci sono state serie difficoltà economiche per la federazione con la squadra a XV. Tanti giocatori hanno perso il lavoro, mentre il Sevens è sempre stato più stabile e sicuro. Le cose poi sono cambiate all’improvviso circa tre mesi fa, quando l’allenatore della nazionale a XV [Andrew Douglas] mi ha chiamato e mi ha detto: non ti posso promettere nulla, ma so che sei uno che lavora sodo, perché non vieni ad allenarti con la squadra per l’Asia Rugby Championship?”
Com’è stato l’avvicinamento all’ARC?
“Abbiamo giocato dei test non ufficiali contro i Brumbies Development, squadra giovanile della franchigia australiana del Super Rugby Pacific, e una contro una selezione di sviluppo del Giappone, con tanti dei giocatori che poi hanno giocato questo weekend contro i Maori All Blacks. Poi è iniziato il Championship con la vittoria contro gli Emirati Arabi Uniti.”
Com’è andato l’esordio contro lo Sri Lanka?
“Devo dire che ero un po’ nervoso. Lo Sri Lanka non è la squadra più forte dell’Asia Rugby Championship, ma ha alcuni trequarti agili ed efficaci. Sentivo comunque un po’ di pressione addosso perché era la mia prima presenza e per tutta la settimana in spogliatoio ci siamo detti che giocando in casa, di fronte al nostro pubblico, dovevamo fare una bella performance. Però è andato tutto bene, quando sono entrato in campo mi sentivo, infine, tranquillo. Sono riuscito a dare energia alla squadra nel tempo a disposizione e alla fine erano felici tutti, compagni e allenatore. E anch’io.”
Quindi a Hong Kong è la federazione che ingaggia direttamente i giocatori?
“Sì, la stragrande maggioranza dei giocatori dei club sono giocatori part-time che hanno anche altri lavori. Prima della pandemia era stata creata una sorta di franchigia professionistica, i South China Tigers, per giocare contro una serie di altre squadre asiatiche [nel Global Rapid Rugby], ma poi è fallito tutto. Adesso il rugby a XV sta tornando a essere effettivamente professionistico. In questo momento siamo tra i venti e i venticinque giocatori full time per la nazionale. Se la settimana prossima contro la Corea del Sud andrà tutto bene, magari la federazione riuscirà ad arrivare a trenta, trentacinque giocatori per la nazionale a XV.”
Che ruolo ha il rugby nel panorama sportivo di Hong Kong?
“Il Sevens qui è una cosa grossa. Il torneo annuale è il più famoso al mondo, ogni anno ci sono quarantamila, cinquantamila persone allo stadio. È un evento di grande richiamo, che si inizia a sentire settimane, mesi prima: la gente inizia a parlarne, è una grandissima festa, tante persone ci vanno senza sapere niente di rugby solo per l’atmosfera incredibile che si crea. Adesso però con la possibilità di qualificarci alla Rugby World Cup ci sarà sicuramente anche una bella spinta per il rugby a XV. E comunque da sempre c’è tanto rugby: minirugby, rugby giovanile, partite e tornei ogni settimana. Prima delle difficoltà legate alla pandemia il campionato a XV era arrivato a un alto livello, con giocatori che venivano dalla Nuova Zelanda e dall’Australia. La cultura ovale qui è abbastanza forte.”
Come vivete il fatto di poter essere la prima nazionale di Hong Kong a qualificarsi a un mondiale?
“Ovviamente siamo molto, molto entusiasti, c’è tantissima carica. La nazionale è fatta da ragazzi di origine scozzese, australiana, inglese. C’è un po’ di tutto, siamo un bel mix. Persone molto appassionate di rugby che magari non hanno avuto l’opportunità di giocare nei loro paesi, è vero. Ma anche ragazzi che, malgrado le loro origini, vivono qui ormai da tantissimo o addirittura sono nati qui. Se ci penso, alla fine io sono nato in Italia, ma ho vissuto la maggior parte della mia vita a Hong Kong, adesso.”
Sabato vi aspetta l’ultima fatica, contro la Corea del Sud a casa loro. Dovrebbe essere l’avversaria più pericolosa, ma siete comunque favoriti, si può dire?
“Sì. La Corea ha giocatori che militano nel campionato giapponese e il loro campionato nazionale è di buon livello. Però abbiamo fiducia nei nostri mezzi: non vogliamo andare là guardandoli dall’alto in basso e prendere la partita sottogamba, ma sappiamo che se giochiamo la nostra partita, al meglio delle nostre capacità, allora riusciremo a ottenere il risultato che vogliamo e a qualificarci.”
Lorenzo Calamai
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