Dalla Serie C alla Serie A in due anni: cosa c’è dietro l’impresa dello Stade Valdotain

Centro sportivo, scuole, clubhouse, tanti giovani in campo e grandi allenatori: il presidente Francesco Fida racconta a OnRugby un progetto cominciato molto prima della promozione

Dalla Serie C alla Serie A in due anni: cosa c'è dietro l'impresa dello Stade Valdotain

Dalla Serie C alla Serie A in due anni: cosa c’è dietro l’impresa dello Stade Valdotain

Un club che fino a due anni fa non era mai stato in Serie B ha conquistato la Serie A: è lo Stade Valdotain, club della Val D’Aosta (regione con 123.000 abitanti e un capoluogo che ne conta poco più du 33.000) riuscito nell’impresa del “doppio salto”. Chiamarla “favola”, però, sarebbe riduttivo, perché dietro questo questa doppia promozione c’è un progetto che parte da lontano e che interessa non solo la parte puramente sportiva, come spiega a OnRugby il presidente dello Stade Valdotain Francesco Fida: “La cosa più bella è la sensazione grande felicita e soddisfazione che si respira. Probabilmente ancora non abbiamo realizzato tutto quello che è successo. A inizio stagione, insieme al direttore sportivo, ci chiedevamo addirittura se saremmo stati in grado di sostenere una Serie B. Il nostro è un club piccolo, siamo sempre stati un gruppo molto unito, pieno di passione ma che allo stesso tempo ha sempre cercato di muoversi a piccoli passi, in maniera ragionata, consapevole. Abbiamo sempre cercato di non fare il passo più lungo della gamba. Per fare un esempio, l’anno prima della promozione eravamo stati ripescati tra le promosse in Serie B e abbiamo rifiutato, per due motivi: il primo era perché non essendo mai stati in B in 50 anni di storia (il rugby ad Aosta arriva nel 1971, ndr) volevamo che fosse un traguardo vero, conquistato sul campo, non da ripescati, e poi perché economicamente non ci sentivamo pronti, non ci sarebbero state le condizioni per farla”.

Come si arriva a questo doppio salto? Quali sono le basi del progetto?

“Prima ancora che alla parte sportiva ci siamo dedicati a costruire la nostra ‘casa’. Quando 8 anni fa ci siamo resi conto di star crescendo ci siamo addentrati in un progetto pazzesco: recuperare un centro sportivo in totale stato di abbandono, e ci siamo riusciti, facendolo diventare la casa degli appassionati di rugby di tutto il territorio. Siamo al terzo mutuo che facciamo su quel centro sportivo, perché ci crediamo veramente tanto: i mutui sono a nome della società, ma tutti i dirigenti hanno messo delle garanzie personali per mantenerlo. E poi siamo riusciti a coinvolgere nel centro sportive altre associazioni sportive: mountain bike, basket, judo, beach volley, rollerblade. Poi 3 anni fa, quando il progetto è stato praticamente ultimato, siamo tornati a concentrarci di più sulla parte sportiva, investendo anche su delle figure chiave come gli allenatori, trovando delle figure che si dedicassero a tempo pieno a stare sul campo: da lì abbiamo fatto due campionati di Serie C in cui siamo arrivati a un passo dalla promozione, compreso quel ripescaggio rifiutato. Oltre a tantissimi volontari, abbiamo 3 persone competenti e presenti che si dedicano totalmente allo Stade Valdotain, quindi il passaggio successivo è stato dare sempre più professionalità al club”.

Una volta ottenuta la promozione in B, questa volta diretta, quali sono state le sensazioni?

Come detto, avevamo delle perplessità. Mi chiedevano: “Francesco, sei sicuro, l’anno scorso abbiamo rifiutato perché non eravamo pronti?”. Io lì ho deciso di lanciarmi: l’avevamo rifiutato un anno e va bene, ma poi avevamo dominato, avevamo conquistato la Serie B sul campo, dobbiamo farlo per loro, non possiamo non iscriverci. Abbiamo cercato di andare non solo sul territorio ma anche verso la parte politica, alla Regione, chiedendo un aiuto economico a tutti per poter affrontare il campionato: la Regione ha visto cosa avevamo fatto nei 10 anni precedenti sul territorio, ci ha dato fiducia e per 3 anni ha deciso di sostenerci poiché promuoviamo la regione Val D’Aosta negli altri campi e nelle altre regioni d’Italia. Inoltre stiamo continuando ad andare nelle scuole per coinvolgere non solo i ragazzi, ma anche i professori, perché è anche dai docenti che deve partire l’imprinting, e sono loro stessi a portare poi il rugby nelle classi dove i nostri allenatori vanno a fare da tutor. Chiaramente la nostra paura, da neopromossa, era di non essere pronti”.

E invece cos’è successo?

“Grazie ai ragazzi e al lavoro incredibile dei tecnici siamo stati fin da subito competitivi. Ci tengo a citare l’allenatore della prima squadra Luis Otano, tecnico argentino con un amore incredibile per questo sport: è un burbero sempre col sorriso sulle labbra, e soprattutto ha una grande capacità di ascoltare gli altri. Faccio un esempio, all’inizio lui non voleva assolutamente altre persone sul pullman delle trasferte, oltre ai ragazzi, tantomeno le fidanzate. Gli dicemmo che noi lo facevamo sempre, lo convincemmo e lui disse “va bene, ma se non mi piace non si fa più”. Alla fine sul pullman ci sono le famiglie intere (ride, ndr), mogli, figli, genitori, amici. A Capoterra siamo andati in 97 tra pullman, traghetto per arrivare a Porto Torres, poi altro pullman per arrivare a Capoterra. Questo per far capire la sua capacità di ascoltare e di capire come in questo club l’affetto e la vicinanza delle persone siano una delle chiavi: è sempre stato aperto ai compromessi. L’altro allenatore, anche lui argentino, è German Parra, che sta facendo un lavoro incredibile anche con i più piccoli: in under 6 abbiamo 20 iscritti tra bambini e bambine. L’altro allenatore è Stefano Ferrucci, che ha giocato con me e quando ha smesso ha iniziato ad allenare prima le giovanili e poi la prima squadra, oltre a seguire ancora l’under 18: è un tecnico fatto in casa, proprio quello che stiamo cercando di fare, costruire un futuro”.

È nato tutto quindi dalla base che avete costruito?

“Sì. Abbiamo iniziato a macinare prestazioni su prestazioni alle fine, ragionando partita dopo partita, ci siamo ritrovati primi in classifica. A fine stagione i ragazzi erano veramente stanchi: siamo riusciti a far arrivare allo Stade 3 ragazzi da fuori per darci una mano, ma ovviamente – siccome i nostri giocatori studiano e lavorano e pagano la quota per giocare – per cui non potevamo pagare delle persone da fuori per fare quello che gli altri facevano gratis. Allora siamo riusciti a trovare un compromesso, pagando loro l’affitto della casa e le spese, trovando loro un lavoro e viceversa facendoci aiutare da loro nelle giovanili”.

Con una rosa corta quanto è stato importante l’apporto dei giovani?

“Fondamentale. In questa stagione abbiamo fatto esordire ben 9 ragazzi dell’under 18, con il permesso dei genitori, e tutti hanno dato il loro contributo. Avevano tutti una grande voglia di dimostrare, e molti di questi anche se non erano il lista gara hanno voluto fare il viaggio di 18 ore all’andata e 18 ore al ritorno a Capoterra, pur di esserci. Questo dimostra una grande serietà”.

Ci racconta la partita decisiva per la promozione?

“Avevamo perso la penultima partita con l’Ivrea, e questo aveva complicato le cose perché dovevamo andare a Capoterra – una trasferta sempre ostica – per vincere, e non bastava. Vincendo con 4 punti saremmo finiti primi a pari merito con il Cus Genova e avremmo dovuto fare lo spareggio, mentre solo facendo 5 punti avremmo conquistato la promozione diretta. Come detto, i ragazzi erano veramente stanchi, per cui insieme agli allenatori è stata presa una decisione molto coraggiosa, considerando il valore dell’avversario: nonostante fossimo 5-3 all’intervallo con una sola meta segnata, non piazzare e cercare di fare 4 mete per poter guadagnare la promozione diretta, sapendo che un eventuale spareggio col Cus Genova, con le poche energie rimaste, sarebbe stato davvero difficile. Considerando che col Capoterra, e ce lo aspettavamo, è stata una partita punto a punto, vinta alla fine 22-16, la scelta è stata molto rischiosa, ma vincente: i ragazzi se la sentivano e hanno portato a casa 4 mete. E poi l’ambiente era incredibile, un grande pubblico con i nostri 100 e i tanti tifosi loro, il campo era bellissimo e la loro società è stupenda: Capoterra fa davvero capire quanta passione ci sia nel rugby italiano, perché per fare quello che fanno loro, con trasferte incredibili ad ogni giornata, ci vuole veramente tanta passione”.

E poi c’è stata la festa finale…

“Alla quarta meta c’è stata un’esplosione di gioia incredibile. C’era la consapevolezza di aver meritato tutto questo, poi personalmente ho vissuto quella giornata in maniera davvero particolare. Al fischio finale sono corso in campo ad abbracciare tutti, e tutti piangevano tranne me… ma perché avevo già pianto tutta la mattina! Ho passato un’ora e mezza in camera a piangere come un bambino, come a buttare fuori tutto, non riuscivo a controllare queste emozioni: evidentemente ho scaricato tutta la tensione in quel momento, e uscito da lì ero sfinito (ride, ndr). Alla fine, quando la partita è finita ed era il momento giusto per piangere, io ridevo solo come un matto. E poi quando siamo tornati in Val D’Aosta c’erano tutti, anche la Rai. È stato incredibile. Il merito è prima di tutto dei ragazzi, degli allenatori e del direttivo”.

E adesso ci sarà un ulteriore passo avanti. Come si affronta un campionato come la Serie A?

“Bisogna continuare a lavorare seguendo la nostra filosofia dei piccoli passi e il nostro obiettivo di avere una filiera completa. Ad oggi l’under 16 e l’under 18 le facciamo in franchigia con l’Ivrea, una grande società, ma ovviamente essendo a 70 km di distanza è impegnativo anche per i ragazzi, i genitori, gli allenatori. Il nostro sogno è continuare a crescere bene e consapevoli che dobbiamo avere tutte le giovanili complete, con allenatori di livello. L’obiettivo, quindi, continua ad essere non solo sportivo e ma progettuale. Chiaramente ho parlato con i tecnici, in particolare Luis Otano conosce molto bene questi livelli, e sappiamo che dovremo fare un ulteriore salto in avanti: come direttivo partiremo con l’idea di cercare dei giocatori che seguano la nostra filosofia, aiutandoli a trovare un lavoro qui e ad immedesimarsi nel nostro territorio. Se non ce la faremo cercheremo di trovare un budget per fare una squadra competitiva. Ovviamente continueremo con i nostri 3 tecnici, sui quali abbiamo riposto totale fiducia. La Serie A per noi era qualcosa di impensabile, ma ci piace tantissimo l’idea di affrontarla. E poi continueremo con tutti gli altri progetti. In questi anni abbiamo cercato di regalare del bel rugby agli appassionati della palla ovale valdostana, ospitando a settembre per il “week end ovale” squadre “amiche” del Top 10: Colorno – sempre presente nelle 3 edizioni – Fiamme Oro, Cus Torino, Vicenza e Petrarca. Speriamo di essere all’altezza e di far continuare a far divertire e sognare i nostri tifosi e i nostri ragazzi: la loro felicità per me è la prima cosa”.

Francesco Palma

 

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