Un’operazione di 6 ore all’anca, mesi passati con la paura di dover smettere, poi la ripresa e una lezione importante raccontata dal flanker al Guardian
Un dolore all’anca che in poche settimane si è trasformato in un dramma, con un’operazione di 6 ore e un percorso di recupero che non dava alcuna certezza di poter tornare a giocare a rugby: l’ultimo anno di Tom Curry, terza linea dei Sale Sharks e dell’Inghilterra, è stato questo, come raccontato dallo stesso giocatore in una lunga intervista al Guardian.
Tutto è cominciato con un problema all’anca al termine della Rugby World Cup 2023. Non sembrava così grave, ma una volta tornato ai Sale Sharks dai controlli è venuta fuori una diagnosi impietosa: impingement femoro-acetabolare, che avviene quando la testa femorale non è adeguatamente sferica e durante il movimento sfrega contro il bordo dell’acetabolo. Un infortunio che avrebbe potuto mettere fine alla sua carriera: “Il chirurgo mi disse che probabilmente sarei andato in pensione. Ho pianto, mi sono rannicchiato in me stesso come una palla, è stato surreale”.
“Il momento più difficile è stato quello dell’attesa dell’operazione. Non potevo fare niente, zoppicavo, avevo in testa il ritiro e mi sentivo inutile per tutti” ha raccontato Curry, che ha poi spiegato come abbia dovuto letteralmente “imparare a correre di nuovo”. Ricominciare da capo. Questo è stato il mantra di Tom Curry durante questo anno lunghissimo: “Ho provato a correre e non ci sono riuscito, poi ci ho riprovato, a Loughborough mi hanno insegnato davvero a correre di nuovo, ed è stato allora che è arrivato il sollievo”.
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Inoltre, a differenza di molti colleghi durante gli infortuni più lunghi ne approfittano per dedicarsi ad altro, Curry non riusciva non pensare al rugby: “Non capisco quando la gente dice ‘Ho trovato un hobby quando mi sono infortunato, ho imparato qualcosa’. Onestamente non potrei pensare a niente di peggio. Suonavo il pianoforte e pensavo: ‘Perché questo giova alla mia anca?. Ne ero ossessionato. La mia pagina Instagram, che in teoria dovrebbe essere una cosa divertente, era composta solo da esercizi per i fianchi. Sono andato a Malta per 3 o 4 giorni e lì facevo i miei esercizi per i fianchi. Non volevo staccare. Che senso ha staccare?”
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Alla fine è arrivato anche il ritorno in campo, nell’ultima partita della stagione dei Sale Sharks contro Bath, dove ha scaricato tutte le tensioni di quei mesi così difficili con il primo placcaggio. Una gran botta allo scozzese Josh Bayliss, “una catarsi” l’ha definita al Guardian: “Ti senti così represso, è come lasciarsi andare”. Poi è arrivata anche la convocazione in Nazionale: 3 presenze con l’Inghilterra contro il Galles e nella doppia sfida con gli All Blacks, tutte da subentrato. Ma soprattutto, è passata la paura di dover rinunciare per sempre a tutto questo.
Se c’è una cosa che Curry ha imparato da questa storia è rispettare di più il proprio corpo. Eddie Jones chiamava lui e Sam Underhill “Kamikaze Kids” proprio perché non avevano freni, ma questa cosa alla fine si è rivelata controproducente, mettendo a repentaglio la salute sportiva e non solo di Curry, che comunque dovrà sottoporsi prima o poi a un altro intervento chirurgico. Parlando del futuro, ha raccontato di come gli piacerebbe giocare da protagonista contro il Sudafrica a novembre, ma ha rapidamente glissato ridendo sulla domanda del Guardian “Stringeresti la mano a Mbonambi (dopo l’episodio di razzismo della semifinale mondiale, ndr)”.
“Sono cose che ti fanno sicuramente maturare. Voglio solo vivere la mia carriera e vedere cosa succederà” ha concluso Curry.
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