I Pumas che rovinarono la festa alla Francia

Il cammino dei francesi alla Rugby World Cup del 2007 era già stato disegnato nei minimi dettagli. E, come tutte le cose già progettate, non andrà come previsto

Agustin Pichot (ELECTRONIC IMAGE) AFP PHOTO AFP/GABRIEL BOUYS/eba/dlb/nk (Photo by Gabriel BOUYS / AFP)

L’Anonima Piloni vi racconta di quando i Pumas cominciarono a scrivere la loro storia ovale alla Coppa del Mondo del 2007. Tra compagni che non ce la fanno, capitani carismatici e francesi che non se l’aspettavano “Mira la cara de miedo de estos pibes, están petrificados. Hoy le ganamos”.

Agustín Pichot ha 33 anni, lunghi capelli fluenti e sta per intraprendere la sua quarta Coppa del Mondo. Per dire, lui c’era quando Diego Dominguez chiamò la palla nella sua lingua madre e marcò la meta più avvolta nel mistero della nostra storia ovale.

Pichot conosce benissimo ogni centimetro dello stadio, gioca in Francia dal 2003, ci giocherà fino al 2009, i ciuffi d’erba di quello stadio non hanno segreti per lui. Li ha sognati, li ha vissuti. Ha sognato pure gli spogliatoi, forse si è ripetuto più volte, tra sé e sé, le parole e le frasi giuste da dire ai suoi compagni. È il capitano designato della squadra, ma non lo noti solo dalla fascia al braccio o dall’autorizzazione a parlare con l’arbitro.

No, non è solo questo. Ha in mano idealmente i cuori di tutti i suoi compagni, dal più giovane al più vecchio. Tra questi ultimi, tra quelli che le cicatrici se le portano a spasso da un po’, c’è Mario Ledesma, tallonatore di Clermont e veterano di tre Coppe. Ha solamente un anno in più di Pichot, ma saranno i capelli radi, quella faccia cotta dalle collisioni delle prime linee o la bocca sottile e tirata come la corda di un violino, ma gliene daresti una decina in più.

Pichot ha appena visto i francesi uscire dal loro spogliatoio, sono davanti a lui. Si gira verso Ledesma. Li conoscono bene, tanti sono loro compagni di squadra, qualcuno lo affrontano da anni. Non sono i soliti francesi, non sono quelli che si aspettano. Sono duri, rigidi. Non si parlano. “Hanno paura, sono pietrificati. Oggi la vinciamo”.
Ledesma incassa.

Eh, ti pare facile.

I francesi inaugurano il Mondiale a casa loro, è appena terminata la cerimonia d’apertura. Hanno già un bel cammino disegnato davanti, hanno già previsto tutto: i primi del loro girone continueranno a giocare in Francia, i secondi dovranno sudare in quel di Cardiff. Hanno vinto gli ultimi due Sei Nazioni facendo vedere un gioco spumeggiante, spettacolare, con trequarti che vedi quando partono e quando arrivano, ma in mezzo non li becchi mai. Con avanti che muovono bene le mani e che non li sposti nemmeno se ti metti a pregare. E come fai a batterli questi?

Hanno paura però. Puoi essere grande, grosso, velocissimo e sgusciante, ma se vedi gli spettri è un problema serio.

Pichot lo sa, sa che quel match lo vinceranno i Pumas. Forse perché sa da dove arrivano quei suoi Pumas.

Da un ritiro a Pensacola, Stati Uniti, a mettersi fisicamente in bolla. Allenamenti massacranti, senza mai vedere un pallone da rugby. Poi a Newman, primo test-match contro la nazionale cilena, 70 a 14 in scioltezza. Poi l’arrivo in Europa, la sconfitta col Galles e la perdita di Martín Gaitán, centro di Biarritz, vittima di una insufficienza cardiaca, salvato con uno stent in spogliatoio. Poi il passaggio in Belgio con annessa vittoria sulla nazionale locale. Pichot ha vissuto tutti i momenti del suo gruppo, sa che i suoi possono farcela. Sa che Gonzalo Longo tornerà, ne è certo, ma che contro i padroni di casa non ci potrà essere.

Sa pure che quel coach, quel Marcelo Loffreda, forse ha avuto l’idea giusta al momento giusto. Al momento di scegliere il mediano di apertura titolare tra Federico Todeschini, eroe di Twickenham appena un anno prima, e Felipe Contepomi, numero 10 di Leinster e tra i più in forma della squadra, decide di puntare tutto su Juan Martín Hernández, estremo dello Stade Français.

Ha intuito che quel cristone di quasi due metri, solitamente a suo agio come estremo baluardo della squadra, potrebbe fargli molto comodo nella stanza dei bottoni. No, non è solo questione di una spingardata ambidestra da minimo 50 metri ad ogni colpo di tomaia. E non è nemmeno quella sua capacità innata di disegnare drop che sembrano arabeschi. No, non solo. Hernández vede una partita diversa da quella dei suoi compagni, è come se avesse uno spartito tutto suo. Non è un caso che quando mette a lustro quelle due penne stilografiche solitamente coperte da scarpe tacchettate dalla tribuna il pubblico intoni “Maradò, Maradò”.

Già, un numero 10 con quella capacità al piede, con quella visione e con quei colori tatuati l’hanno già visto.

Solo che quello faceva il fenomeno in un altro sport.

Il Saint-Denis, stracolmo, sembra portare in braccio i suoi giocatori. Applaude ad ogni possesso francese, spinge i suoi con un calore palpabile. Ne hanno tanto bisogno, lì in campo. Perché Pichot aveva ragione, i francesi sono pietrificati. Forse da un percorso che li vede favoriti obbligatori, o comunque obbligatoriamente sulla cresta dell’onda. Forse da un evento rivelatosi effettivamente troppo anche per loro. Non si sa, non è dato saperlo.

Sta di fatto che i Bleus, quando decidono di giocare a modo loro, non riescono a trovare breccia. Anzi, al primo possesso forzato vengono puniti, Contepomi calcia dentro i primi 3 punti. La tattica adottata dagli argentini non è ancora ben delineata in campo, ma bastano pochi minuti, giusto il tempo del pareggio di Skrela dalla piazzola.

I Pumas non hanno la caratura dei francesi.

Sono forti, in molti giocano a quelle latitudini, ma sulla carta non avrebbero il passo, soprattutto tra i trequarti, per reggere l’urto. Il French Flair, per dire, è qualcosa a cui non potrebbero resistere. Loffreda e il suo staff, allora, puntano tutto sulla pressione: una difesa asfissiante, una caccia all’uomo che per poco non mette nel sacco l’estremo Heymans. E poi su Hernández, che deve aver ricevuto l’ordine di calciare ogni possesso. E, forse, anche quello di far fare un po’ di casino al triangolo allargato francese: il numero 10 argentino sciorina, uno dietro l’altro, una serie di up’n’under che mettono in estrema ambasce Heymans, Dominici e Rougerie.

Certo, è una tattica rischiosissima, se questi ricevono bene e hanno due metri puoi solo dirgli ciao, ma se sotto il pallone si presentano sempre due terze linee argentine brutte, sporche e cattive, beh, di palloni puliti la Francia ne vede ben pochi. Al resto ci pensa la Bajadita, l’arte tutta argentina di spingere senza tallonare, ossia di trovarsi davanti la mega offerta della settimana, tre piloni al prezzo di due.

Ledesma, Roncero e Scelzo fanno diventare matti gli avversari, stessa cosa nei raggruppamenti, dove Leguizamón e i due fratelli Fernández Lobbe fanno il diavolo a quattro. Contepomi infila due calci abbastanza defilati, lo stadio non fischia più come all’inizio. Sul 9 a 3 lo spartito non cambia: i Pumas hanno praticamente venduto la propria metà campo, la Francia non riesce ad uscire dall’impasse. Poi però, quando Traille riesce ad arpionare l’ennesima candela di Hernández, sembra che l’incantesimo si possa rompere.

Traille attacca la linea e serve Martin. Il flanker transalpino ha come minimo tre compagni liberi all’estremo, ci sono tutti i crismi per la più comoda delle mete in mezzo ai pali. Lo passa quel pallone, ma sulla traiettoria si lancia Horacio Agulla, unico giocatore argentino nei paraggi. Agulla serve Manuel Contepomi, fratello di Felipe, anche lui centro. Siamo a metà campo. Potrebbe benissimo cercare un calcetto rasoterra per mettere pressione.

O per guadagnare tempo, una delle due.
Sente invece delle urla provenire da dietro, lui lascia andare l’ovale verso destra.
Dietro di lui si palesa, inaspettato, Ignacio Corleto, professione estremo, che disegna una curva da duecentista e va a schiacciare quasi in bandierina.

Ecco, se già qualche secondo prima l’atmosfera non era quella auspicata per un giorno di festa come quello, ora la paura è parecchio palpabile. I francesi si guardano, poi guardano quegli alieni vestiti di bianco e azzurro. Non riescono a capire dove sia l’errore, dove abbiano sbagliato qualcosa. No, non così, non oggi. Skrela centra due volte i pali, tra i due tentativi Contepomi raccoglie tre punti praticamente dal garage di casa sua, a fine primo tempo i Pumas sono avanti per 17 a 9.

Certo, non possono durare ancora per molto a quel ritmo, ma la Francia del Sei Nazioni, quella che si è disegnata una Coppa del Mondo vicino a casa, non può essere sotto. Non senza dare prova della forza dei propri muscoli, non senza uscire dal proprio guscio di paura, guscio bellamente arredato nei primi 40 minuti di partita.

Qualche anno dopo proprio i francesi diranno che certe partite, certe situazioni, diventano una questione di uomini con la U maiuscola, e forse già all’inizio della ripresa danno modo di far capire che il vento è cambiato. I Pumas sembrano accusare il colpo, effettivamente non potevano durare troppo, ma i francesi per un quarto d’ora non riescono a far breccia. Poi, d’improvviso, parte una maul travolgente.

Devasta tutto quel che si ritrova davanti, fa 30 metri prima che gli argentini, non si è mai capito come, la fermino in prossimità della linea di meta. Il Saint-Denis ruggisce, sostiene e porta avanti i suoi. L’arbitro leva il braccio, è vantaggio francese. Altro scossone del pubblico. I galletti provano a far uscire la palla, i Pumas si difendono stringendo i denti. Le fasi si susseguono, il vantaggio finisce.

Poi Christophe Dominici, folletto francese, prova l’avventura solitaria. Viene placcato, poi Ledesma si abbassa, sembra una versione muscolata del Pio XII descritto da Francesco de Gregori in “San Lorenzo”. L’unica differenza sta nel fatto che mentre il rampollo di casa Pacelli spalancò le ali, il buon tallonatore di Clermont cala le pale dello scavatore.
Tenuto grande come una casa.

Sipario.
“Mira la cara de miedo de estos pibes, están petrificados. Hoy le ganamos”.
Sì, la vincono loro, e la vincono qui.

Pichot e le sue urla, Ledesma e il suo grugno da papà della morosa che mai vorreste incontrare(il papà, non la morosa). Tutti i Pumas piangenti durante l’inno, e fidatevi che sono tanti. La vincono loro, perché Parigi tutta, francesi e non, rimane ipnotizzata di fronte a cotanta resistenza, a tale abnegazione davanti alla sofferenza. Parigi tutta, figuratevi quelli in campo: Skrela e Michalak sbagliano un calcio a testa, calci facili, che sbagli solo quando si spegne la luce.

Ci provano in tanti a suonare la carica, pure Chabal, l’orco cattivo, che tra tutte quelle facce bianche e azzurre sembra un capitano di ventura, ma finisce per essere il più ossequioso dei chierichetti. Skrela porta i suoi a meno 5, ma l’ultimo serrate muore lì, pochi metri fuori dai 22 francesi. I Pumas si abbracciano tutti, da capitan Pichot, che arringa tutti e che ha in mano idealmente i cuori dei suoi compagni, dal più giovane al più vecchio, da quello del Mago Hernández, a quello di Ledesma, a quello di Nacho Corleto autore della meta.

Di tutti quelli in campo.

Di Martín Gaitán, un cuore salvato in extremis e sempre con loro.
Dei tifosi sugli spalti, da quelli che ci credevano a quelli che sono usciti dal loro personale ateismo ovale.

Forse perché non sapevano da dove arrivassero quei Pumas.
E forse perché non sapevano ancora dove sarebbero arrivati.

Cristian Lovisetto – Anonima Piloni

 

Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.

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