Super Rugby Aotearoa: 5 spunti dalla terza giornata

Il gioco al piede dei Blues e il cinismo dei Crusaders, fra le altre cose

Ph.M MELVILLE / AFP

Quattrocentottanta minuti di Super Rugby Aotearoa sono ormai alle nostre spalle. Ogni weekend ha lasciato un mucchio di spunti e riflessioni da fare su quanto visto in campo. Ecco quelle relative alla terza giornata.

Uso del piede

Il particolare tattico più affascinante non solo della terza giornata, ma delle 6 partite viste finora è probabilmente l’utilizzo del calcio fatto dai Blues.

Epitome del loro approccio è Beauden Barrett, che nei tre incontri disputati ha offerto una vera e propria masterclass sul gioco al piede, utilizzando non solo ogni tipo di calcio possibile e immaginabile (grubber, up and under, lungo per guadagnare terreno) ma lo ha fatto per giunta utilizzando entrambi i piedi. Forse da lui ci aspettavamo un inizio più aggressivo, o più avventuroso. Invece con grande maturità, Barrett ha preso il comando delle operazioni tattiche offrendo tutta la sua qualità nel gioco al piede, non sempre la caratteristica che di lui abbiamo più ammirato in carriera.

Non solo, però: i Blues utilizzano saggiamente il piede in tante situazioni, prendendosi pochi rischi nella propria metà campo e andando a esplorare gli angoli sguarniti del terreno di gioco grazie alla chirurgica precisione di Otere Black.

Contro gli Highlanders abbiamo assistito a una ulteriore estremizzazione dell’approccio, con tanti grubber alle spalle della linea difensiva eseguiti da chiunque: Rieko Ioane, il tallonatore Parsons, addirittura il numero 8 Sotutu direttamente dalla base della mischia chiusa.

L’idea è di mettere costantemente sotto pressione gli avversari, costretti a giocare nel proprio territorio e a dover uscire dai guai, magari concedendo qualcosa. In più, teniamo conto che finora le rimesse laterali di ogni squadra hanno balbettato in tante occasioni, offrendo un ulteriore bonus a chi ha intenzione di usare il piede.

Rimonte mancate

Quella dei Chiefs contro i Crusaders è l’ennesima partita di questo torneo dove la squadra in vantaggio rischia di subire la rimonta da parte degli avversari, ma finisce in qualche modo per scampare il pericolo.

In questa terza giornata è successo in entrambi gli incontri: anche i Blues se la sono vista brutta prima che la seconda marcatura di Dalton Papali’i risolvesse le cose.

Dice molto, questo particolare, sul livello della competizione: nessuna partita è mai chiusa, spesso i risultati rispettano i pronostici, ma c’è davvero poco divario fra le squadre.

La classe del 2015

Cinque anni fa in Italia si giocava il World Rugby U20 Championship, il mondiale giovanile. Venne vinto dagli All Blacks, che schieravano una squadra piena di giovani talenti che oggi fanno la fortuna del Super Rugby Aotearoa.

Mitch Hunt era l’estremo di quella under 20, con Jack Goodhue all’ala e ai centri Anton Lienert-Brown e TJ Faiane, oggi giocatore prezioso per i Blues, quasi quanto quell’Otere Black che veste oggi la 10 di Auckland come ieri vestiva la 10 dei Baby Blacks.

A numero 9 Te Toiroa Tahuriorangi, mediano di mischia dei Chiefs questa settimana mandato a giocare con i club di base.

Nel pacchetto di mischia l’altro Goodhue, Josh, il flanker dei Chiefs Blake Gibson e Akira Ioane.

Una vittoria è una vittoria

E così sono 35 le partite consecutive, in casa, senza sconfitte per i Crusaders, che hanno battuto i Chiefs in un incontro più combattuto di quanto la prima ora di gioco lasciasse intendere. Peraltro, 34 vittorie e un solo pareggio nella lunghissima striscia dei campioni in carica, con l’ultima sconfitta che risale a quattro anni fa.

Una vittoria è una vittoria, come si dice, e per i Crusaders il 18-13 ottenuto fra le mura amiche varrà comunque quattro preziosi punti in classifica. Tuttavia, seppure ci sia del merito nella conquista del risultato positivo, la squadra di Razor Robertson non ha entusiasmato, ricadendo in maniera forse anche più grave negli errori che avevano caratterizzato già l’incontro di domenica scorsa, in cui si erano comunque piegati al rischio rimonta, salvo poi vedersi donare una meta risolutiva.

Gli errori degli avversari risultano cruciali: quando i Crusaders non sanno giocare particolarmente meglio degli avversari hanno la forza mentale di commettere meno errori di loro, di applicare una pressione continuativa che finisce per piegare le partite a loro favore. E’ successo anche oggi: le due mete della franchigia di Christchurch arrivano da un errore di valutazione di Damian McKenzie su un pallone aereo a metà campo, e da una fatale distrazione sempre nella stessa zona di campo di tutta la formazione Chiefs, che si fa sorprendere da una rimessa giocata veloce.

Molto altro, stavolta, i Crusaders non hanno saputo creare, e la costante indisciplina che li caratterizza già dal Super Rugby originale consente agli avversari di arrivare sempre attaccati nel punteggio ai finali di partita. Fortuna che la difesa rimane sempre di livello elitario, e sigilla l’agognata vittoria.

Il metro di giudizio

In Crusaders-Chiefs è tornato alla ribalta il tema del metro di giudizio arbitrale sui punti d’incontro. Il direttore di gara, James Doleman, è sembrato adottare una filosofia più lassista durante l’incontro rispetto ai colleghi, premiando la fluidità del gioco e fischiando un totale di 16 calci di punizione, una cifra sotto media nella competizione, quasi tutti nell’ultima parte della partita.

Il senso del giro di vite sul breakdown è esattamente opposto: serve continuità nelle decisioni e nell’arbitraggio del punto d’incontro per riuscire ad utilizzare il fischio dell’arbitro come deterrente e come strumento di modifica del comportamento dei giocatori. Obiettivo? Ruck più pulite, più sicure, più onestamente contese. Potremmo dover passare per un breve periodo di adattamento, con un gioco spezzettato a leggero detrimento dello spettacolo, ma è per raccogliere maggiori benefici in un futuro lontano poche settimane. D’altronde, non che Crusaders-Chiefs si sia comunque rivelato un partitone, come si saranno amaramente detti i coraggiosi seguaci italiani che si sono eroicamente svegliati a quell’ora improba. E allora: solidità, please.

Lorenzo Calamai

 

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