11 aprile 1999: nulla sarebbe stato più come prima

Galles-Inghilterra fu l’ultima partita del 5 Nazioni. Uno scontro decisivo per assegnare il titolo, riscopriamolo

Neil Jenkins

Neil Jenkins – Ph O. Morin/AFP

Era proprio l’11 aprile, una domenica, di ventuno anni fa. Il rugby chiudeva una sua lunghissima partentesi storica e si preparava ad aprirne un’altra nel giro di dieci mesi: dopo 89 anni il Cinque Nazioni diventava ufficialmente qualcosa di passato, complice l’ingresso dell’Italia nel Torneo dall’anno seguente. Poteva però chiudersi in maniera logica e quasi noiosa la lunghissima storia del Five Nations? Prendiamo in prestito le parole del Times del giorno dopo: “Lo sport non avrebbe potuto fare di meglio, o offrire più colpi di scena, rispetto a quanto visto nell’ultima giornata del Cinque Nazioni”. Più chiaro di così… Andiamo allora a capire perché quell’ultimo turno fece piangere, di gioia o di dolore, una bella fetta di Ovalia. La situazione prima dell’ultima giornata era questa: Inghilterra in corsa per il Grande Slam, con tre successi compreso quello all’apparenza decisivo con la Scozia. Proprio il XV del Cardo era il più vicino inseguitore con due vittorie e una sconfitta e una differenza punti di +27, contro il +26 degli inglesi. Erano invece tagliate fuori dalla lotta le altre contendenti: Galles, Irlanda e Francia avevano raccolto una vittoria a testa e si dovevano solo occupare di evitare il cucchiaio di legno.

L’Irlanda poco poteva fare, dato che in quell’ultima giornata riposava, mentre la Francia (bi-Campione in carica con due Grand Slam consecutivi) apriva il turno ospitando a Parigi la Scozia: praticamente non c’è gara, gli scozzesi sono troppo superiori e già dopo 25 minuti il punteggio dice 12-33 con le mete di Tait e Leslie (2 a testa) e Townsend. Il secondo tempo diventa una lunga passeggiata fino al 22-36 finale, coi tifosi ospiti che dopo la fine della gara, con ancora speranze di successo finale, si misero a cantare a squarciagola “Bread of Heaven”. Canzone che con la Scozia ha poco a che spartire, ma che in Galles è un inno non ufficiale, e dunque il messaggio era chiaro: provate a fare l’impresa e battere gli odiati inglesi. Ecco le immagini di quel giorno da Parigi:

Andiamo così a quella domenica 11 aprile 1999, quando Galles-Inghilterra era in programma a Londra. Londra? Sì, perché coi lavori del Millennium Stadium che andavano verso la conclusione, i Dragoni giocarono quel 5 Nazioni (e quello precedente) nel vecchio e bellissimo Wembley. Erano in 76.000 sugli spalti a cantare “Bread of Heaven” con Max Boyce e Tom Jones incendiando l’atmosfera. Già di per se sembrava assurdo, giocare in casa ma ritrovarsi circondati dall’eterno nemico inglese, se poi lo stesso avversario era anche una corazzata…Clive Woodward, allenatore dei bianchi, racconterà di aver pensato quella mattina “Non mi aspettavo un risultato diverso dalla vittoria, mai avrei creduto di poter perdere quella gara”. Rivediamo l’ingresso in campo delle squadre e l’esecuzione degli inni nazionali:

I suoi ragazzi venivano da due secondi posti consecutivi (dietro la Francia) e sembravano cresciuti abbastanza per sbancare e fare il Grande Slam. Nel quindici titolare da notare la presenza del 19enne Wilkinson impegnato come secondo centro, e una mischia più simile a un carrarmato che altro (Dallaglio-Back-Hill in terza linea, Johnson in seconda e Cockerill Leonard in prima tra gli altri). I dragoni, capitanati da Rob Howley, buttavano nella mischia la potenza dei fratelli Quinnel, Gibbs e Thomas tra i trequarti, ma soprattutto la precisione di Neil Jenkins, uno dei numeri 10 più forti della storia di ovalia. Nonostante questo anche i bookmakers non davano speranze ai gallesi, sulla carta troppo fragili per resistere alla potenza avversaria. E in effetti bastano pochi minuti per la prima meta inglese, arrivata dopo una splendida azione in velocità chiusa da Luger. L’unico problema per Dallaglio e compagni si chiama indisciplina, un fattore che costa caro e permette a Jenkins di trovare per sei volte i pali portando a 18 i punti gallesi alla fine del primo tempo. A sua volta, per il Galles il problema si chiama Inghilterra, visto che oltre ai calci di Wilkinson arrivano altre due marcature pesanti: una dell’esordiente Halney e un’altra di Hill che sfrutta un errore nella raccolta del pallone avversaria. 18-25 alla pausa lunga e inglesi a 40 minuti dal trionfo, perché di questo si dovrebbe parlare. Ecco la sintesi del primo tempo:

Uno degli errori più grandi nel mondo ovale è quello di giocare con l’orgoglio gallese, e infatti in apertura di secondo tempo Jenkins si inventa un grande spin pass con l’ovale che arriva all’estremo Howarth che marca la prima meta dei padroni di casa, e la conseguente trasformazione porta il punteggio in parità a quota 25. Tutto da rifare dunque, e gli inglesi lo rifanno, andando a costruirsi due piazzati trasformati da Wilkinson che li mettono avanti sul 25-31 a 15 minuti dalla fine, quindi avrebbero la possibilità di piazzarne un altro ma scelgono di andare in touche. L’orgoglio gallese, enorme come sempre, permette ai rossi di resistere e contrattaccare, guadagnandosi una touche sui 22 ospiti: un solo blocco di salto e palla vinta, Howley allarga per Scott Quinnel usato come specchietto per le allodole. Non sarà infatti il gigantesca terza centro a sfondare, ma il centro Scott Gibbs, che riceve il passaggio a una velocità che sarebbe rilevata come irregolare anche dagli autovelox. Gibbs si lancia come una palla di cannone nella difesa inglese, rompe tre placcaggi e ne evita un altro, volando direttamente alle porte del paradiso. A cacciare il Galles “in heaven” ci pensa ancora Jenkins, che indovina la trasformazione del 32-31, sublimando la “connection” con Gibbs con cui aveva debuttato insieme nel 1991. Mancano pochissimi istanti alla fine, l’Inghilterra si rituffa in attacco ma non riesce a creare altro che un drop sbilenco di Catt.

Al fischio finale Wembley prende letteralmente fuoco, incendiato da 15 dragoni che hanno regalato al proprio paese una doppia enorme gioia: oltre ad aver battuto gli inglesi hanno permesso alla Scozia di vincere l’ultimo Cinque Nazioni della storia, visto il +41 di differenza punti dei celti contro il +25 dei bianchi. Grazie di essere esistito, Cinque Nazioni.

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