Inga Tuigamala, che non volle essere Lomu

Perché preferì i soldi del rugby league inglese alla maglia degli All Blacks, che non avrebbe più indossato

ph. PATRICK KOVARIK / AFP

Cosa separava Jonah Lomu dalla stragrande maggioranza del genere umano? La capacità di correre così veloce con tutti quei chili addosso, rappresentando per la palla ovale una cesura storica, un passaggio epocale verso un rugby rinnovato, che contemporaneamente faceva il suo ingresso definitivo nello sport professionistico.

Eppure, il nome di quell’innovatore avrebbe potuto essere diverso. Sempre isolano: così come Lomu crebbe a Tonga, dove vivevano gli zii, Va’aiga Lealuga Tuigamala era nato a Faleasiu, la città più importante dell’isola di Upolu, nelle Samoa Occidentali; come Lomu, la maglia che avrebbe indossato sarebbe stata nera, con una felce d’argento sul petto.

Come Lomu, Inga Tuigamala era fisicamente imponente, distribuendo su un metro e ottanta il suo quintale di peso. Ed era veloce, con un cambio di direzione fulminante, al quale era difficile resistere dato anche l’impatto della sua massa. Un talento che non tardò a sfuggire ai selezionatori neozelandesi, che l’avevano messo nel mirino a partire dalla fine degli anni Ottanta, osservandolo fare danni inenarrabili con la maglia di Auckland.

A 19 anni fu capace di segnare 22 mete in 11 partite, anche se principalmente con la seconda squadra del club, i Colts. L’anno dopo, il 1989, fu ancora più devastante: si narra che in una sfida contro Waikato fu capace di segnare o creare l’azione decisiva per nove mete, consentendo ai suoi di scavallare quota 100 punti in una sola partita.

Aggregato al tour europeo degli All Blacks già in quella stagione, avrebbe giocato solamente in partite non ufficiali in partite contro club britannici, destando perplessità fra i tifosi neozelandesi: tutti lo attendevano in campo in un test match. Un mistero svelato circa un anno fa, quando il New Zealand Herald ha pubblicato l’assurdo racconto di un dirigente neozelandese dell’epoca: “Togliemmo Tuigamala dai titolari perché non eravamo in grado di scrivere il suo nome sul foglio gara.”

L’esordio vero e proprio, Inga the winger lo fece nell’ottobre 1991, All Blacks numero 900, direttamente alla seconda edizione della Rugby World Cup, segnando subito agli Stati Uniti e poi all’Italia, pochi giorni più tardi. Non sarebbe però stato in campo nella sconfitta in semifinale contro l’Australia. Nei due anni successivi avrebbe accumulato un totale di 19 caps con la maglia nera, rappresentando un vero e proprio incubo per le difese che se lo trovavano davanti.

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Will Carling, il capitano dell’Inghilterra che nel 1993 riuscì a battere gli All Blacks, raccontò che placcare Tuigamala era come buttarsi sotto le ruote di un carro lanciato a tutta velocità. Insomma, quel samoano che giocava per gli All Blacks era un po’ Lomu, prima di Lomu.

E poi? Poi arrivò il rugby league. Tuigamala non era esattamente noto per essere un atleta modello. Restio alla preparazione atletica, aveva preso qualche chilo di troppo e il suo gioco ne era uscito indebolito, senza quella devastante velocità. Nel 1993, durante il tour europeo con gli All Blacks perse 12 chili, segno che in precedenza era stato in abbondante sovrappeso. Le sue prestazioni ne avevano risentito: con gli All Blacks non segnava da 17 mesi, e Auckland aveva deciso di lasciarlo a piedi alla fine della stagione: gli unici a far squillare il telefono parlavano un inglese molto diverso da quello kiwi, erano di un club chiamato Wigan, dall’altra parte del mondo, e di uno sport un po’ diverso, i rugby XIII.

In Inghilterra, la carriera di Inga the winger riprese quota, grazie anche a un regime professionistico che, fra il ’94 e il ’95 il rugby league aveva già consolidato. Quando l’union raggiunge i cugini, ecco che Tuigamala non esitò a tornare al gioco che lo aveva reso famoso, firmando per i London Wasps per la stagione 1996/1997 e con i Newcastle Falcons dal 1997 al 2002. Con entrambi i club avrebbe vinto la Premiership, seppur giocando più spesso centro e non ritrovando più quello smalto atletico che lo aveva fatto diventare un All Black: era diventato un bulldozer più adatto a spazi ristretti e cariche frontali, piuttosto che a zigzagare al largo seminando avversari grazie alla sua potenza centrifuga.

Il rugby internazionale, quello sì, lo ritrovò, ma stavolta con la maglia di Samoa. Erano tempi in cui si poteva rappresentare più di una squadra nazionale, e Tuigamala ebbe l’onore di vestire i colori del suo paese di nascita, collezionando 23 presenze e partecipando alla Rugby World Cup 1995 e 1999.

Una carriera di alti e bassi, sulle montagne russe, si è trasformata poi in una vita di montagne russe. Dopo il ritiro Tuigamala ha gestito principalmente due imprese: una di pompe funebri a Auckland, contribuendo alla sepoltura nel 2006 del re di Tonga Taufa’ahau Tupou IV; a Samoa, invece, si è occupato di far crescere giovani talenti nella sua palestra di boxe, sponsorizzando anche i loro incontri. Tutto molto lontano da un campo da rugby, dove avrebbe potuto essere l’uomo che cambiava il gioco, dove avrebbe potuto essere Lomu.

Lorenzo Calamai

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