Laboratorio Rugby Championship

Come sono andati alcuni degli esperimenti che le squadre ci hanno fatto vedere nel primo turno del torneo australe

ph. REUTERS/Agustin Marcarian

Rugby Championship, ultima frontiera. La prima giornata dell’abbreviata edizione 2019 del torneo internazionale dell’Emisfero Sud ha segnalato, come previsto, la volontà delle squadre di sperimentare e mettere alla prova i propri meccanismi e i propri giocatori in vista dell’appuntamento con la Rugby World Cup oramai distante appena un paio di mesi.

Tra le due partite disputatesi sabato pomeriggio la più interessante dal punto di vista dell’apertura sul futuro è stata Sudafrica-Australia, dove entrambe la squadre hanno provato a far vedere qualcosa di diverso e particolare sia nella struttura offensiva che in quella difensiva. Si tratta di qualcosa di ancora grezzo, cosa che ha inciso sull’esecuzione e l’efficacia dei piani messi in atto, rendendo la partita a tratti spezzettata.

Più regolare è stata invece la gara di Buenos Aires, dove forse il risultato era peraltro una preoccupazione maggiore per entrambe le compagini scese in campo. La Nuova Zelanda doveva essere una squadra depotenziata e in qualche modo sperimentale, e lo ha dimostrato con grappoli di errori non comuni per la squadra in maglia nera. L’Argentina ha fallito nel centrare un obiettivo a portata. Solamente essere arrivati a portata di tiro rispetto a un bersaglio del genere rimane un successo di per sé, ma senza dubbio ai Pumas, la formazione con meno sorprese di questo primo turno, è mancato quel pizzico di smalto che li avrebbe portati sulla copertina di tutti i media sportivi.

Herschel Jantjies alza la mano

Il man of the match dell’Ellis Park è stato senza dubbio Herschel Jantjies, l’esperimento numero uno di Rassie Erasmus alla ricerca della prima alternativa a Faf de Klerk. Prova riuscita in pieno e nel migliore dei modi: due mete, rapida d’ingegno ben abbinata a quella delle corte leve, Jantjies è stato il migliore in campo per i suoi e ha completamente legittimato la sua candidatura a vestire la maglia numero 21 quando le cose si faranno importanti.

Il giocatore degli Stormers, classe 1996, è fondamentalmente esploso quest’anno, con 12 presenze da titolare nel Super Rugby e 5 mete marcate. Proprio le caratteristiche offensive sembrano essere quelle più interessanti: ha una rapidità fuori scala, come dimostrato in occasione della seconda meta all’Australia, e il fiuto per le occasioni importanti, compresa la capacità imprescindibile per un numero 9 di oggi di correre le linee di sostegno interne per i compagni che bucano la linea.

In difesa è stato ben protetto e mai particolarmente coinvolto, ma quando c’è stato da mettere a terra l’avversario è sempre riuscito ad arrangiarsi nonostante le dimensioni ridotte. Particolarmente significativa l’accoglienza dei compagni al suo arrivo in panchina dopo il cambio, festeggiato da staff e giocatori e soprattutto dal capitano Siya Kolisi, in eccezionale veste di water boy. Kolisi si è coccolato il pupillo della sua franchigia, che nel frattempo si è stampato in faccia il sorriso di chi sa di aver sfruttato l’occasione che gli è stata data.

Piano a correre con la fantasia, però: al suo posto è entrato nel finale di partita Cobus Reinach, un altro degli esperimenti di Erasmus. Reinach non giocava in nazionale dal 2015, e a 29 anni ha vissuto una sorta di secondo esordio, bagnato peraltro dalla meta marcata negli ultimi minuti.

Come il presunto titolare degli Springboks de Klerk, Reinach gioca in Inghilterra, e dall’Europa ha fatto giungere la propria candidatura a far parte del mondiale. E’ stato il miglior marcatore di mete della Premiership di quest’anno, un traguardo eccezionale per un mediano di mischia. E’ stato uno dei principali protagonisti dell’ottima stagione dei Northampton Saints, e ora si giocherà con Jantjies quel posto da backup di lusso.

Dalla sua Reinach ha la maggiore esperienza e la solidità fisica, essendo più o meno un ibrido fra un cinghiale e un comodino. A Jantjies lo accomuna il talento per la marcatura e la scaltrezza. Il mediano degli Stormers sembra però quel tipo di giocatore capace di entrare nell’ultimo quarto di gioco per dare la scossa alla partita, con un impatto importante. Il seguito del torneo ci dirà di più sulla competizione tra i due.

Centri in chiaroscuro per Cheika 

Prima di tutto, una tesi: la composizione della linea dei trequarti rappresenta un dilemma, ma non un problema per Michael Cheika e l’Australia. I Wallabies devono piuttosto preoccuparsi della limitata qualità del proprio pacchetto di mischia, specie di quello sceso in campo sabato pomeriggio in Sudafrica. Pochi degli avanti in green and gold sono usciti dall’Ellis Park con un 6 in pagella, sia nelle prestazioni individuali che in quelle collettive.

La quantità e la qualità delle alternative nella linea arretrata, invece, è tale da rendere l’operazione dello staff tecnico solo una ricerca della miglior combinazione possibile nella strutturazione del triangolo allargato e della coppia dei centri. Nella sconfitta di Johannesburg, Cheika ha proposto l’inedito abbinamento fra Samu Kerevi e Tevita Kuridrani, due giocatori finora ritenuti alternativi nella posizione di secondo centro.

L’esperimento è riuscito a metà: Kerevi è stato il migliore in campo dei suoi, minaccia costante in attacco grazie ai suoi begli angoli di corsa e alla capacità di portare avanti la palla; Kuridrani è stato totalmente incolore, con appena 6 palloni toccati e 3 placcaggi tentati in un’ora di gioco.

Le alternative sui centri non mancano, con una grande quantità di combinazioni possibili: James O’Connor, Matt Toomua, Christian Lealiifano e Kurtley Beale possono tutti disimpegnarsi nel ruolo. Quello che è interessante capire, e che diventerà più chiaro andando avanti nel Rugby Championship è su quale strada voglia indirizzarsi lo staff tecnico australiano: inserire un playmaker aggiuntivo con O’Connor o Toomua, spostando Kerevi a numero 13 è l’impostazione che fino ad oggi è stata preferita; insistere con due centri più fisici come Kerevi e Kuridrani potrebbe diventare efficace con l’aggiunta di Beale a estremo, capace di giocare da primo uomo in piedi arrivando da dietro, come visto fare dal Sudafrica; spostare Beale a 12 è un esperimento che ha pagato discontinui dividendi, ma che quando il giocatore dei Waratahs è in forma consente di abbinare visione di gioco e capacità di distribuzione ad uno dei corridori più entusiasmanti del panorama ovale.

Quello è che sicuro è che in questo momento sulla cerniera dei centri i Wallabies non possono prescindere dalla presenza tecnica, fisica e carismatica di Samu Kerevi. Da qui, si va alla ricerca dell’abbinamento migliore per la Rugby World Cup.

La difesa degli Springboks

Lo scorso 3 luglio Steve Hansen ha annunciato i 39 convocati degli All Blacks per il Rugby Championship. In quella sede, ha parlato delle difficoltà della sua squadra quando si trova di fronte ad una linea difensiva particolarmente aggressiva nella salita, comune denominatore delle sconfitte neozelandesi del recente passato.

Rassie Erasmus stava evidentemente ascoltando col calendario in mano, ben cosciente che sabato 21 settembre si giocherà a Yokohama la prima partita del mondiale dei suoi Springboks, proprio contro gli All Blacks. Nonostante le due squadre siano nettamente favorite per il passaggio del girone, il debutto iridato è particolarmente significativo per l’abbinamento nei quarti di finale. Chi infatti arriva secondo potrebbe doversela vedere contro l’Irlanda, pronosticata vincitrice della pool A.

Contro l’Australia, il Sudafrica ha mostrato una difesa particolarmente aggressiva, molto densa vicino al raggruppamento e pronta a scattare in avanti per mangiare tempo e spazio agli avversari. Non sempre la strategia difensiva degli Springboks è andata a buon fine: nella prima meta dell’Australia, gli avversari riescono ad aggirare il muro sudafricano grazie ad un offload a contatto di Sekope Kepu, che riesce a dare continuità alla manovra.

Se però il primo ricevitore del pallone viene immediatamente impattato e messo a terra, la fisicità dei sudafricani consente loro di non concedere avanzamento agli avversari e spesso anche di rallentare la successiva uscita del pallone grazie alle capacità di inquinare il possesso al breakdown. Un primo vero test lo potremo vedere sabato prossimo, nel match fra All Blacks e Springboks valido per la seconda giornata del Rugby Championship.

Jordie Barrett, ala tattica 

Rispetto al match di Johannesburg, quello di Buenos Aires ha presentato qualche spunto in meno. Uno dei più interessanti era quello inerente a Jordie Barrett, al suo primo test con la maglia numero 11. Nel’unica altra occasione in cui Barrett era stato schierato ala, ma con la 14, gli All Blacks hanno regolato 66-3 l’Italia nel test match dello scorso novembre a Roma.

Questa volta il più giovane dei Barrett ha funzionato non solo da secondo estremo al fianco di Ben Smith, un contrattaccante migliore a cui Hansen preferisce concedere maggiore spazio possibile mettendolo a numero 15, ma anche da arma tattica grazie al suo piede potente e preciso.

Seguendo una filosofia tipicamente All Blacks, il giocatore è stato utilizzato sfruttando le sue peculiari abilità, piuttosto che secondo un copione preconfezionato basato sul numero di maglia vestito.

Ecco allora un Jordie Barrett spesso utilizzato come primo uomo in piedi nella metà campo difensiva, in particolar modo per utilizzare il piede a risalire il campo.

L’esperimento, stavolta, riesce però a metà: la prestazione del giocatore degli Hurricanes è venuta infatti a mancare non tanto nella sua parte balistica, quanto nell’eccesso di errori gestuali commessi. Il 22enne degli All Blacks è stato messo spesso sotto pressione dagli avversari, e dopo qualche difficoltà non è più riuscito a reagire, inanellando una serie di sbavature che ne hanno macchiato la partita.

Per Hansen rimane interessante poter piazzare un giocatore con un profilo tatticamente di alto livello da uno dei due lati del campo, un po’ come avveniva con Cory Jane nella versione 2011 dei campioni del mondo. Barrett però forse è un profilo che non si adatta benissimo a tale posizione, che sappiamo non essergli troppo gradita e forse neanche tanto congeniale.

Le quotazioni di Ngani Laumape

Sarebbe un gesto coraggioso per Steve Hansen schierare Ngani Laumape come primo centro titolare alla Rugby World Cup, semplicemente per il fatto che, quando è stato disponibile uno fra Sonny Bill Williams e Ryan Crotty, il tecnico dei neozelandesi ha quasi sempre preferito non farlo. Oggi, però, Ngani Laumape è la realtà più solida che gli All Blacks hanno a numero 12, come ha dimostrato sabato pomeriggio l’ex giocatore di rugby league.

Laumape ha un profilo molto diverso rispetto soprattutto a Crotty, che è un centro molto cerebrale capace di fungere da playmaker. Il centro degli Hurricanes è un giocatore penetrante, che magari non ha le qualità nel dare continuità al pallone di Sonny Bill Williams, ma che quest’anno ha dimostrato di poter essere semplicemente inarrestabile, trascinando avversari aggrappati, vivi e resistenti in giro per il campo fin dall’inizio della stagione di Super Rugby.

Se Crotty riuscirà a rimanere lontano dagli infortuni abbastanza per giocare la Rugby World Cup, una coppia formata da lui e Laumape potrebbe essere perfettamente complementare, con il giocatore dei Crusaders a colmare le lacune di distribuzione e gioco tattico del possibile compagno di reparto.

Lorenzo Calamai

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