Il figlio di Dai

Chi è Thomas Young, il flanker gallese dei Wasps che si è preso la scena in Italia-Galles e sgomita per trovare un posto ai mondiali in Giappone

ph. Reuters

Questa storia comincia dall’afta epizootica.

Come? Beh, diciotto anni fa l’afta epizootica, una malattia di alcuni animali altamente infettiva e pericolosa per gli allevamenti, infestava la Gran Bretagna. In primavera, vennero emanate alcune limitazioni sui viaggi, in particolare quelli aerei, per evitare il contagio del virus di cui l’uomo, pur non soffrendone, potrebbe essere portatore.

Ne fece le spese il Sei Nazioni, alla sua seconda edizione del nuovo corso: le partite dell’Irlanda contro le altre home unions vennero spostate in autunno. Fu così che Dai Young, pilone e capitano di Cardiff e Galles, si trovò a uscire per primo dal tunnel del Millennium Stadium di Cardiff solo il 13 ottobre 2001, mentre lo stadio gli tributava il dovuto applauso per il suo cinquantesimo cap internazionale.

Non fu un buon pomeriggio quello, né per Dai Young né per il Galles, che incappò in una brutale sconfitta interna per 6-36 ad opera di un giovane Brian O’Driscoll e dei suoi compagni. Un pomeriggio rimasto comunque indimenticabile, invece, per Thomas Young,che con i suoi due fratelli scese ad accompagnare sul campo il padre, con una piccola maglia rossa del Galles e il pallone ovale tra le mani. In alto a sinistra, sul petto, la maglietta sfoggiava il simbolo della Welsh Rugby Union. Quello stesso simbolo che Thomas Young teneva fra il cuore e la sua mano destra durante l’esecuzione di Land of my fathers allo Stadio Olimpico di Roma diciotto anni più tardi, in un pomeriggio di febbraio, prima del suo esordio nel Torneo più vecchio del mondo.

Sotto gli occhi di Gatland

C’è un terzo elemento che si inserisce in questo gioco di corsi e ricorsi storici di Sei Nazioni, padri e figli. Il suo nome è Warren Gatland, e in quel giorno d’ottobre del 2001 si trovava in tribuna, a sorvegliare dall’alto la prestazione della sua Irlanda, l’unica squadra capace di fermare l’Inghilterra dalla realizzazione del Grande Slam.

Solo dopo una fugace parentesi nella patria Nuova Zelanda con Waikato e i Chiefs, Gatland sarebbe tornato nelle isole britanniche, stavolta come head coach del Galles, consacrandosi come uno dei migliori tecnici del mondo ovale. Ed è qui che la sua storia si incrocia di nuovo con quella della famiglia Young: allo Stadio Olimpico, sabato scorso, Gatland concede la prima, vera opportunità al (non più così) giovane Thomas, che ha disputato i suoi precedenti due test in ambito internazionale contro Samoa e Tonga nel 2017, quando ad accompagnare i Dragoni in tournée era il coach ad interim Robyn McBride. E’ la seconda volta che Gatland lo vede scendere in campo, dall’altro della tribuna, ma stavolta fanno il tifo per la stessa squadra.

 


La presenza in campo a Roma è dovuta a due ragioni concomitanti: numerose assenze nel reparto di terza linea e una partita che permette a Gatland di continuare a costruire quella profondità della propria rosa che lo staff tecnico valuta decisiva in ottica Rugby World Cup. Thomas Young risponde presente alla chiamata: 15 placcaggi senza errori (migliore dei suoi); 32 interventi in ruck, di cui 8 su palloni detenuti dagli avversari, andando a rallentare ogni possibile pallone degli Azzurri; 1 turnover forzato, 1 meta, 80 minuti in campo, per buona parte di essi il migliore.

L’audizione può dirsi superata, ma potrebbe non bastare per imbarcarsi sull’aereo insieme ad altri trenta giocatori gallesi con destinazione Giappone. D’altronde i posti su quel volo sono limitati, e Thomas Young deve fare i conti con una concorrenza eccezionale che risponde a nomi del calibro di Toby Faletau, Josh Navidi, Ross Moriarty, Dan Lydiate, Ellis Jenkins, il minore dei fratelli Davies, Justin Tipuric, Aaron Shingler e pure il suo compagno di reparto di sabato scorso Aaron Wainwright. Sono dieci nomi per non più di sei posti.

Ecco quindi che quelle parole di Yusuf, scritte quando ancora si faceva chiamare Cat Stevens, suonano più adatte in bocca a Warren Gatland, piuttosto che a Dai Young: “It’s not time to make a change / Just relax, take it easy / You’re still young, that’s your fault / There’s so much you have to know“.

Cardiff

La carriera di Thomas Young è legata a doppio filo a quella del padre Dai, più di tante altre parabole di padri e figli.

Dai Young è stato a lungo capitano della squadra di Cardiff, la capitale gallese. Suo figlio è cresciuto fra Cardiff RFC e Pontypridd, prima di approdare alla prima squadra dei Cardiff Blues, allora diretta proprio dal padre. E’ alla fine della stagione 2010-2011, però, che Dai Young lascia il Galles e i Blues, per diventare il capo allenatore degli Wasps.

Per il figlio arrivano periodi grigi: i suoi anni di gioventù si esauriscono rapidamente, in otto sparute presenze in quattro anni nella capitale gallese. La carriera del terza linea sembra finire quando ancora doveva cominciare per davvero. Nel 2014, i Blues terminano in anticipo il suo contratto per consentirgli di emigrare in Inghilterra, dove finirà la stagione con Gloucester, accumulando appena tre presenze.

E’ allora che rientra in gioco Dai Young, che sceglie di dare una chance al proprio rampollo. “Mi ha dato una opportunità quando le cose non stavano andando bene e sono gli sono grato per questo – ha detto Young alla vigilia della sua presenza contro l’Italia all’Olimpico – Sarà una cosa che terrò a mente per tutto il fine settimana.”

Un’opportunità colta al volo: come George Ford ha dato il meglio di sé quando allenato dal padre Mike, anche Thomas Young è rivitalizzato sotto la direzione tecnica del padre, che mantiene comunque un adeguato distacco professionale. Dal 2014 in poi Young acquisisce sempre maggiore rilevanza ai Wasps, coadiuvando le grandi abilità nel breakdown al vizio della meta: è un giocatore intelligente, forte, con una grande ritmo e capacità di fare cose per il campo, anche se non è un terza linea particolarmente fine dal punto di vista strettamente tecnico.

Intanto in Premiership

Alla vigilia della partita contro l’Italia era stato proprio McBryde a pronunciarsi su Young: “si merita una chance” ha detto l’assistente di Gatland. Una tesi sostenuta a più riprese da più parti, tanto che diversi tifosi del Galles avevano recentemente espresso perplessità circa le assenze del giocatore dalle convocazioni del tecnico neozelandese.

 

Questo perché Thomas Young è stato la stella più brillante dei Wasps in questa stagione difficile per il club di Coventry, agli ordini del padre Dai, che è il director of rugby della squadra giallonera. Una squadra che a fine stagione perderà diversi pezzi pregiati, come Elliot Daly e Willie le Roux, per citarne soltanto due. E durante quest’anno qualche sconfitta di troppo ha ulteriormente minato la serenità in casa Wasps, con la squadra ora quinta in classifica.

Nelle ultime due giornate di campionato, i Wasps hanno reagito alle difficoltà, cogliendo altrettante vittorie e riportando il bilancio vittorie-sconfitte della Premiership in positivo. Gran parte del merito va proprio al figlio dell’allenatore: ieri, contro un Bristol insidioso e motivato fra le mura amiche, e solo una settimana dopo la performance dell’Olimpico, il 26enne gallese ha messo a segno una meta, 15 placcaggi, 13 cariche, 2 breaks e ha battuto 2 difensori, per una prestazione a tutto tondo che ha messo in luce una volta di più le sue caratteristiche da terza linea tuttofare, valendogli inoltre il man of the match dell’incontro. E di nuovo le voci degli addetti ai lavori che lo vogliono ancora con la maglia dei Dragoni si sono sollevate.

Adesso viene il momento delle scelte difficili, per tutti. Verrà a breve il momento in cui Warren Gatland dovrà scegliere quali saranno i segugi su cui deciderà di puntare per l’assalto al Sei Nazioni prima, con la battaglia di Twickenham che si profila all’orizzonte, e alla William Webb Ellis Cup poi. Verrà presto il momento di scegliere anche per lo stesso Thomas Young, il cui contratto con i Wasps scade nel 2020 e che, se vuole giocarsi le sue possibilità con la maglia del Galles nei suoi anni migliori, dovrà pensare di abbandonare la nave timonata dal padre come stanno facendo in tanti, e tornare in patria per dare l’assalto alla prestigiosa maglia numero 7.

Lorenzo Calamai

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