Cosa hanno in comune Francesco Molinari, Jonny Wilkinson e Jonathan Sexton?

Uno dei migliori performance coach al mondo, Dave Alred, che ha aiutato l’italiano a vincere l’Open Championship in Scozia

francesco molinari

ph. Reuters

Sui green di Carnoustie, in Scozia, domenica Francesco Molinari è diventato il primo italiano a vincere uno dei quattro Major di golf – i tornei più importanti al mondo -, il prestigioso Open Championship (noto anche come British Open). Per il torinese è stata la vittoria più importante in carriera, frutto di un continuo miglioramento del suo gioco negli ultimi anni che lo hanno portato nel 2018 a trionfare già in altri due eventi (è stato anche il primo italiano a vincere sul PGA Tour, il circuito americano).

Molinari, 35enne torinese, non ha alcun legame diretto con il rugby, ma ne ha diversi invece uno degli artefici della sua recente ascesa che lo ha proiettato tra i più forti giocatori del pianeta. Da due anni a questa parte, nello staff dell’italiano è presente un performance coach molto noto nel Regno Unito e in Irlanda per i suoi trascorsi con uomini di rugby, ovvero Dave Alred.

Inglese nato a Londra, è considerato uno dei migliori al mondo nel suo ruolo e uno dei pionieri nell’applicazione della psicologia alla prestazione del singolo nello sport, in cui ha ottenuto alcuni importanti successi nel suo lavoro. All’inizio degli anni duemila, per esempio, Alred ha seguito da vicino Jonny Wilkinson nella sua evoluzione e contribuendo a formare il giocatore diventato poi decisivo nella Coppa del Mondo 2003 con l’Inghilterra, con il celeberrimo drop di destro. Nel golf, invece, Alred è stato fondamentale per l’inglese Luke Donald, arrivato in vetta al ranking mondiale proprio nel periodo in cui era seguito dal suo connazionale (il 2011).

“È stato una grande aggiunta alla squadra – aveva detto Molinari sabato, come riporta il Telegraph – Probabilmente non avevo mai avuto una personalità del genere. I risultati e la differenza si vedono. Sta facendo un ottimo lavoro sull’approccio mentale relativo al mio gioco, mi aiuta davvero molto”.

Il Telegraph ha poi intervistato lo stesso Alred, che ha rivelato alcuni dettagli delle sue convinzioni e del metodo utilizzato con gli sportivi allenati. Uno dei princìpi cardine, per Alred, sembra essere la necessità di “allenarsi male”, perché negli errori e nel disagio si compiono dei progressi. “Bisogna passare dagli errori nell’allenamento, perchè poi in gara si possono gestire. L’obiettivo è lavorare sulla resilienza di un giocatore e costruire da lì. Nel momento in cui qualcuno si trova a proprio agio in qualcosa, ecco che io voglio rendere scomoda quella situazione. Più lo è, più il tuo cervello è impegnato, maggiore sarà il tuo focus su di esso e maggiore sarà anche l’apprendimento”.

Alred, impegnato al momento anche con Jonathan Sexton e George Ford nel rugby, si sofferma poi su un esempio utilizzato in tutti gli sport con i quali si ritrova a lavorare. “Perché invece di dire «facciamo 10 putt o 10 calci», non vediamo quanti ne servono per imbucare 10 putt o centrare 10 volte i pali? […] È molto importante che i giocatori comprendano questi meccanismi. Io non spiego soltanto; gli dico perché stiamo facendo così, come si sentirà dopo e quali benefici porterà. Educhi quasi i giocatori ad essere a disagio – ha continuato Alred – Prendiamo Sexton: direbbe che quando è agitato o confuso durante la settimana, calcerà magnificamente durante il weekend”.

Lo swing nel golf o un piazzato nel rugby, insomma, hanno di fatto la stessa preparazione mentale. Lo stesso Alred, del resto, tempo fa si definiva una via di mezzo tra un mental coach e un performance coach. “La pressione è tutto ciò che interferisce con le capacità di un giocatore di essere totalmente concentrati su un determinato processo. […] La pressione è essenzialmente il processo: se la allontani da esso, diventi distaccato”.

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