Sei Nazioni 2018: Scozia, il futuro non è più un’ipotesi

I Dark Blues chiudono al terzo posto un Torneo che può essere il trampolino di lancio per la RWC

ph. Reuters/Lee Smith

Terzo posto nella classifica finale (due posizioni davanti all’Auld Enemy), quinto posto nel ranking World Rugby, la Calcutta Cup in bacheca dopo dieci anni e tre vittorie su cinque gare. Solo a guardare questi numeri, il Sei Nazioni 2018 della Scozia può tranquillamente essere definito un successo.

E se si considera come la campagna 2018 era iniziata, con una pesante sconfitta a Cardiff, il risultato ottenuto quest’anno è ancora più positivo. Certo, Townsend nelle settimane prima dell’inizio del Championship aveva detto che non vedeva “per quale motivo la Scozia non potrebbe alzare il Trofeo al cielo di Roma all’ultima giornata”, ma le parole dell’head coach meritano una spiegazione: se i Dark Blues avessero giocato tutte le gare con l’intensità messa in campo per almeno un’ora contro l’Inghilterra, avrebbero davvero avuto più di una chance di contendere per il Titolo.

Il problema più grande della Scozia è stata l’incapacità di mettere in campo prestazioni sul livello mostrato in autunno contro Nuova Zelanda e Australia, prestazioni che avevano portato Toony a quell’affermazione. La Scozia ha aperto e chiuso il Sei Nazioni con due prestazioni piuttosto incolori – a Roma, ricordiamolo, i Dark Blues sono stati salvati dal piede di Laidlaw e da qualche drive e se va dato loro merito di aver capito, quando erano ancora in tempo, come uscire dalla situazione complicata in cui si erano infilati da soli con un primo tempo pessimo, non si può non evidenziare le troppe difficoltà mostrate all’Olimpico – e nel mezzo ha trovato due vittorie e una gara, contro l’Irlanda, che con un pò più di “esperienza” e cinismo avrebbe davvero potuto portarsi a casa.

Il 6 Nations è una competizione diversa dai test match e non credo che nel corso del Torneo siamo stati capaci di mettere in campo prestazioni costanti come contro la Nuova Zelanda o l’Australia. Per un’ora contro l’Inghilterra ci siamo riusciti, nel secondo tempo del match contro la Francia e per lunghi tratti contro l’Irlanda. Negli ultimi sei mesi abbiamo affrontato le quattro migliori squadre al mondo e questo ci ha permesso di crescere e fare esperienza, mettendo in campo prestazioni notevoli contro ognuna di loro – contro l’Australia, per me, è stata la prestazione migliore in assoluto,” ha detto Townsend durante la conferenza stampa post-partita all’Olimpico di Roma.

La Scozia adesso gioca davvero come una squadra ma ha dimostrato di soffrire l’andamento a “corrente alternata” di Finn Russell, il giocatore che, come pochi, sa davvero, quando è in giornata, ispirare tutti i suoi compagni. A Cardiff, l’apertura è stato davvero pessimo, contro l’Inghilterra sublime, e contro la Francia ha alternato cose belle a cose piuttosto brutte, tanto che Townsend, da sempre uno dei suoi mentori, è stato costretto a toglierlo spostando Laidlaw apertura, una mossa che avrebbe cambiato i destini del match e del Sei Nazioni della Scozia.

Gli errori generali commessi contro l’Irlanda sono costati carissimi e quella partita, più di ogni altra, è la cartina al tornasole per analizzare il Torneo della Scozia – e per prevederne il futuro prossimo: buone idee, difficoltà a metterle in campo, errori non forzati, un paio di mete concesse troppo facilmente, Russell che non riesce a rimettere in campo la meravigliosa prestazione mostrata contro l’Auld Enemy, Huw Jones incapace di finalizzare le occasioni avute.

Non a caso, nel post-partita di Dublino, Townsend aveva affermato che la Scozia è “tre, quattro anni in ritardo rispetto all’Irlanda. Non sto dicendo che ci metteremo così tanto a chiudere il gap con loro, ma che al momento la distanza rispetto a quello che sono stati in grado di ottenere, all’esperienza raccolta tra noi e loro è questa.” La Scozia sfiderà l’Irlanda nel girone della RWC2019 in quella che, molto probabilmente, sarà la gara che deciderà il destino della Pool e dovrà fare di tutto per chiudere, nei prossimi diciotto mesi, quel gap di cui parla Townsend.

Greig Laidlaw è la “sorpresa” più grande del Torneo della Scozia perchè l’ex-capitano, che aveva saltato i test match autunnali per un infortunio rimediato in Champions Cup con l’ASM Clermont, in novembre aveva visto in tv la crescita esponenziale di Ali Price che sembrava ormai padrone della maglia numero 9. Il calo del collega e, allo stesso tempo, il rientro in campo con due prestazioni di altissimo livello hanno riconsegnato a Laidlaw le chiavi della mediana e ridato equilibrio al gioco della Scozia.

I Dark Blues hanno recuperato numerosi giocatori nel corso del Torneo, evento piuttosto in controtendenza rispetto alle statistiche che, negli ultimi anni, hanno visto molti giocatori dare forfait proprio nelle ultime partite anche per la natura del Sei Nazioni, un torneo spietato con gare giocate sempre ad altissima intensità. Uno degli aspetti più positivi di questo Torneo è il fatto che Townsend, prima della trasferta di Dublino e, soprattutto, di quella di Roma (quando, con la sconfitta dell’Aviva Stadium, le residue e pochissime chance di vittoria finale erano ormai completamente sfumate) si è potuto permettere di fare scelte tecniche, avendo praticamente tutti i giocatori a disposizione.

Townsend ha saputo costruire sulle fondamenta gettate da Vern Cotter, che quando è arrivato nell’estate del 2014 alla guida della Scozia aveva trovato una squadra allo sbando dopo la gestione di Scott Johnson che, forse proprio perchè era stato scelto come interim head coach, si era focalizzato solo sul Sei Nazioni (2013 e 2014) senza portare nessun miglioramento sotto il profilo del gioco o delle convocazioni – come l’australiano si sia, poi, guadagnato la promozione a DoR del rugby scozzese resta, per molti, ancora un mistero.

Cotter, invece, ha lavorato duramente (e se non ci fosse stato Townsend, quasi sicuramente si sarebbe garantito la conferma della Scottish Rugby) in collaborazione con i due club professionistici e, aiutato anche dalla struttura delle accademie che è stata rifondata grazie al contributo, decisivo, di BT ha saputo far crescere, in breve tempo, la Scozia.

La Scozia non perde in casa nel Sei Nazioni da due anni (cinque successi consecutivi tra 2017 e 2018) ma continua a faticare a raccogliere un successo esterno (ad eccezione di gare contro l’Italia, ma sabato scorso a Roma i Dark Blues hanno dovuto faticare moltissimo) che non arriva dal 2010.

Otto anni di attesa per una vittoria lontana dalla Highland Cathedral contro le “vecchie” 5 Nations sono un’enormità e se la Scozia vorrà lottare per il Titolo dovrà, necessariamente, cominciare a vincere in trasferta. La Scozia ha però dimostrato di essere una squadra in crescita costante, che sa riprendersi anche dopo le giornate più brutte e che, se riuscirà a lavorare, ha tutte le carte in regola per alzare il Trofeo nei prossimi anni.

Matteo Mangiarotti

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