Ovale Internazionale: la parte più nascosta di Ovalia

Che cosa sta succedendo fuori dai salotti del rugby che conta?

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Dieci anni fa il rugby portoghese raggiungeva il suo momento di massimo fulgore, con la partecipazione alla Coppa del Mondo 2007 nel girone che annoverava Romania, Italia, Scozia e Nuova Zelanda. Il Portogallo era riuscito a strappare la qualificazione con una rocambolesca vittoria in aggregato per un solo punto contro l’Uruguay nell’ultimo spareggio disponibile per la qualificazione, per 24 a 23, e raggiunse l’onore delle cronache internazionali quando, dopo aver subito 108 punti dagli All Blacks, sconfisse gli stessi avversari in una partita di calcetto improvvisata dai giocatori nel dopopartita sul terreno dello Stade de Gerland di Lione.

Oggi i Lobos si stanno preparando ad affrontare una partita che potrebbe riportarli ad un successo, un decennio più tardi da quello ottenuto qualificandosi al più importante evento ovale del pianeta. Con la vittoria ottenuta per 31 a 7 sull’Ucraina lo scorso primo di aprile, hanno completato il Grande Slam del Rugby Europe Trophy, la seconda divisione del rugby europeo (il Sei Nazioni ‘C’, per capirci), ottenendo il diritto di sfidare ai playoff il Belgio, l’anno scorso neopromosso nella divisione superiore (quella di Romania e Georgia) e poi arrivato ultimo questa stagione. La vincente della sfida di Bruxelles del prossimo 20 maggio otterrà la partecipazione al Rugby Europe Championship 2018.

 

A Odessa, in uno stadio non esattamente esaurito in ogni ordine di posto, il Portogallo recitava la parte di Golia contro un Davide al quale era stata pure rubata la fionda. Nel corso del torneo, iniziato lo scorso settembre e che si concluderà definitivamente solo a fine aprile, la formazione lusitana ha vinto tutte le partite ottenendo anche il bonus, fatta salva la prima giornata contro la Svizzera, mentre l’Ucraina, attualmente trentacinquesima forza del ranking mondiale, ha fatto esattamente il percorso opposto, perdendo sonoramente tutte le partite.  Fra le sconfitte, anche quello che era una sorta di spareggio salvezza contro la Moldavia, che insegue al trentaseiesimo posto del ranking, ma che ha affossato la squadra del CT Valerii Kochanov per 54 a 15, otto mete a due.

Il rugby portoghese, invece, ha affrontato un lento declino: dopo aver mancato nel 2010 la qualificazione allo spareggio per la Coppa del Mondo, il terzo posto nel Championship dell’anno seguente è stata l’ultima fiamma della candela, che si è spenta definitivamente la scorsa stagione, quando il sesto posto con cinque sconfitte su cinque ha condannato i lusitani alla retrocessione nella divisione europea inferiore.

 

Uno dei giocatori militanti all’estero è Aderito Esteves, già stella del Seven lusitano e oggi ala del Tarbes, che naviga a metà classifica in Federal 1. Oltre alle 100 mete marcate con la nazionale a sette, Esteves ha racimolato anche 31 caps con i Lobos.

 

 

La partita

Nonostante il punteggio rotondo, il Portogallo non ha affondato l’Ucraina come ci si poteva immaginare e, anzi, ha chiuso il primo tempo in vantaggio solamente per 14 a 7, frutto delle mete di Francisco Pinto Magalhaes, capitano e mediano di mischia, e Afonso Rodriguez, al suo secondo cap con la nazionale.

Inizialmente l’aggressività della formazione di casa è riuscita a nascondere le lacune tecniche, e entrambe le squadre hanno scelto di giocare molto al piede, consapevoli dell’inaffidabilità delle reciproche rimesse laterali e quindi dei palloni che avrebbero potuto recuperare in una buona posizione di campo. Il Portogallo ha marcato per primo dopo poco più di dieci minuti, a seguito di un’azione insistita degli avanti coronata da un ingresso nelle vicinanze del raggruppamento del numero 9 Pinto Magalhaes. Dopo un facile calcio sbagliato dai padroni di casa, l’Ucraina ha perlopiù subito l’iniziativa avversaria, provando occasionalmente qualche azione d’attacco con un buon movimento di palla e uomini sui trequarti.

Neanche al trentesimo, però, il numero 11 Kosariev riusciva a trovare la via dei pali, da posizione centrale. Poco dopo, un break centrale del primo centro lusitano Vilela Pereira trovava impreparata la difesa dei padroni di casa, e Rodriguez andava poi a segnare indisturbato. La reazione dell’Ucraina è immediata: con una azione lunghissima e il pallone portato avanti letteralmente a forza di craniate, la squadra arriva a segnare sotto i pali con il flange Lytvynenko. La meta, trasformata, vale il -7 sul quale si va al riposo.

La ripresa si distingue per l’imprecisione di entrambe le squadre e per il gioco spezzettato, fino a che, intorno all’ora di gioco, l’Ucraina non rimane in 14 per dieci minuti, a causa di un cartellino giallo per fallo professionale in occasione di uno dei pochi attacchi convincenti della nazionale portoghese. Se i padroni di casa resistono alla prima inferiorità numerica, la seconda, praticamente consecutiva, è loro fatale: un calcio di punizione battuto veloce da Pinto Magalhaes dietro la metà campo si trasforma in un’occasione da meta, segnata da Gonçalo Foro, il veterano della squadra già presente anche dieci anni fa alla coppa del mondo. La meta abbatte le speranze e le forze dell’Ucraina, fino a quel momento ottima nel resistere agli avversari, più esperti e dotati tecnicamente. Negli ultimi minuti il Portogallo segna ancora con Lino e Penha e Costa. Finisce 31 a 7, con un risultato eccessivamente punitivo per i padroni di casa che avrebbero meritato l’onore delle armi contro un Portogallo sornione e poco convincente.

 

Gli highlights non danno solo un’idea del corredo tecnico un po’ scarso delle due squadre, ma anche del contesto particolare dello Spartak Stadion di Odessa, con qualche spettatore che si gode la partita seduto sulle panchine dell’adiacente campo da calcetto

 

 

Ultima frontiera

Una partita di questo calibro non è molto diversa dallo spettacolo al quale possiamo assistere ogni settimana sui campi della nostra serie A. Ci sono talenti fisici e atletici forse migliori, alcune individualità apprezzabili, ma ciò è bilanciato da macroscopici errori tecnici.

Eppure stiamo parlando delle nazionali numero 23 e 35 del ranking mondiale. Se prendiamo gli altri due sport di squadra più seguiti, il calcio e la pallacanestro, ai corrispondenti gradini troviamo Islanda e Irlanda del Nord nel ranking FIFA (entrambe reduci da un grande Europeo) e Angola (una delle migliori squadre africane, regolarmente presente a Olimpiadi e mondiali) e Italia nel ranking FIBA, squadre che se la possono battere con l’élite del rispetto sport.

Questo ci dà una dimensione di quanto oggi il rugby sia uno sport per pochi, pochissimi eletti, viste anche le abissali differenze che si riscontrano fra le prime venti squadre del ranking, quelle che prevedibilmente dovrebbero partecipare alla prossima coppa del mondo.

 

Guardando a Rugby Europe, la ex Fédération Internationale de Rugby Amateur – Association Européenne de Rugby (FIRA-AER) che nel 2014 ha cambiato nome per rendersi più riconoscibile e snellire una nomenclatura che ormai apparteneva alla generazione ovale precedente, quello che colpisce è la diffusione del dilettantismo: delle 47 federazioni facenti parte di Rugby Europe, 8 non fanno parte di World Rugby, mentre ci sono 5 nazioni che stanno facendo richiesta di ingresso, fra cui l’Armenia, precedentemente sospesa per inattività. Tra queste, solo le federazioni del Sei Nazioni vantano un campionato domestico professionistico, mentre Spagna e Germania stanno crescendo, ma sappiamo quant’è difficile continuare a farlo fino ad arrivare nei salotti buoni.

 

Oggi World Rugby conta 103 membri, di cui quattro quinti appartenenti ad un indistinto terzo mondo ovale le cui possibilità di mobilità verso le classi sociali più abbiente sono irrisorie. La missione della federazione internazionale dovrebbe essere quella di diffondere il verbo rugbystico e ampliare sempre di più i confini del gioco, ma la realtà delle cose è che chi è riuscito ad ottenere una fetta di benessere non ha nessuna intenzione di aprire le porte di El Dorado a tutti gli altri. L’entrata dell’Italia nel Sei Nazioni prima e nel Pro12 poi, l’ampliamento del Super Rugby e del Rugby Championship sono buone iniziative, ma coinvolgono solamente paesi che fanno parte dell’aristocrazia di questo sport.

Se vogliamo un rugby che aumenti il suo livello di competizione, che sia più incerto e quindi anche più attraente, che rappresenti davvero le parole The World in Union, il motto della Coppa del Mondo, ci vuole un impegno di lungimiranza da parte delle federazioni che oggi detengono non solo i primi posti nelle classifiche, ma anche le leve decisionali delle istituzioni. Sacrificare qualcosa oggi nell’interesse altrui è in realtà un modo per assicurarsi di fare il proprio interesse, con in testa una visione prospettica che mette il prosperare di questo splendido gioco al centro delle necessità individuali e collettive.

 

di Lorenzo Calamai
Ovale Internazionale

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