Dominio inglese (ad ogni livello), Dragoni risorti e le ombre dell’Olimpico

La quarta giornata del Sei Nazioni ci lascia un paio di verdetti e un paio di statistiche da invertire. In attesa della Scozia

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ph. Reuters

Si è giocata tra venerdì e sabato la giornata numero quattro del Sei Nazioni 2017. Turno importante doveva essere e turno decisivo si è rivelato: la vittoria del Galles contro l’Irlanda ha spianato la strada al secondo successo consecutivo dell’Inghilterra. Per Hartley e compagni c’era solo da sbrigare quella che si è rivelata essere la pratica Scozia.

 

 

Inghilterra, il bis è servito

Il dominio del rugby inglese in senso globale si racchiude in qualche numero. Secondo Sei Nazioni consecutivo, quinto Sei Nazioni Under 20 delle ultime sette edizioni e Under 20 campione del mondo per la terza volta negli ultimi quattro Mondiali di categoria, nazionale Femminile campionessa del mondo in carica, Saracens campioni d’Europa. A testimonianza del dominio di un movimento che per numeri e profondità non ha eguali e in attesa della sfida forse più impegnativa dell’ultimo anno, quella di sabato contro l’Irlanda a Dublino.

La squadra di Eddie Jones ha mostrato a se stessa e al mondo che quello con l’Italia è stato “uno strano incidente di percorso” nella sua marcia trionfale. Come dimostra il punteggio di 61-21 infatti, la Scozia, che si presentava a Twickenham con qualche ambizione di vittoria, è stata spazzata via senza alcun patema d’animo, anzi. La coppia di centri Farrell-Joseph, con il primo vero e proprio ispiratore delle tantissime azioni inglesi e l’ultimo autore di tre mete personali, ha dominato al pari del duo Launchbury-Itorje che, fra seconda e terza linea, è attualmente in grado di spostare a favore della Rappresentativa della Rosa più di una fase di gioco statica. La profondità di squadra è impressionante, così come la forza mentale che Eddie Jones ha eretto nella testa dei suoi giocatori.

I presupposti per il secondo Grande Slam di fila non mancano e pure le motivazioni saranno certamente al massimo, visto che sabato all’Aviva per i campioni in carica si potrebbe prospettare un pomeriggio da assi pigliatutto. In caso di vittoria arriverebbero Triple Crown, come detto il Grand Slam ed infine la vittoria consecutiva numero 19 (per onor di cronaca, la conta inizia con l’Uruguay) che consentirebbe agli inglesi di scavalcare gli All Blacks nella classifica all time dell’imbattibilità lanciando, peraltro, un messaggio non troppo celato verso la World Cup 2019.

 

 

 

Il Galles: do or die, e do è stato

Riscatto doveva essere e riscatto è stato. Dopo le sconfitte contro Inghilterra e Scozia, il Galles ha ritrovato il sorriso con una vittoria molto importante contro l’Irlanda. Un successo importante non solo ai fini del ranking e che potrebbe tenere i Dragoni dentro la Top Eight in vista del sorteggio iridato di maggio, ma anche per come è maturato e per le prestazione di alcuni singoli giocatori, che dopo partite non di altissimo livello hanno ritrovato performance importanti. E che metteranno sicuramente pressione in chiave Lions.

L’Irlanda da parte sua può recriminare. Per il dato di tre mete a zero a fronte di un secondo tempo con il 62% di possesso e il 64% di territorio; per il clamoroso errore di Henshaw che vanifica una maul che avrebbe riaperto partita e torneo; per l’in avanti di Furlong sul calcio stoppato a Biggar. Ma di fronte c’era un Galles che ha giocato il suo personale do or die match. Prestazione di assoluto livello di alcuni degli interpreti che più erano rimasti in ombra nel torneo: Webb, Warburton, North (che è un classe 1992, giusto per ricordare) ma anche Halfpenny. E poi Biggar, messo nel mirino delle manovre irlandesi da prima fase, due volte intercettato da Sexton, ma capace di reagire con una prestazione superlativa nella ripresa. Per non parlare del pack di mischia: Tipuric, Warburton e Alun Wyn Jones hanno messo assieme 59 placcaggi, mentre Moriarty ha fatto da carrier in 16 occasioni. Ma dove il Galles ha vinto la partita è stato probabilmente in difesa. Più volte abbiamo parlato della capacità dell’Irlanda di costruire un multifase vario e mai uguale, ma la bravura dei Dragoni (e del defence coach Shaun Edwards) è stata quella di annullare le opzioni a Sexton, marcando i ricevitori e gestendo in maniera egregia i loop e raddoppi fatti dall’apertura di Leinster per cercare di aggirare l’uscita sparata della linea difensiva. Una partita preparata bene e giocata ancora meglio.

 

 

 

Placcaggi e cinismo, in Scozia per ritrovarsi

Rispetto alla prova di Twickenham, gli ottanta minuti dell’Olimpico contro la Francia rappresentano certamente un passo indietro. Eppure gli Azzurri erano partiti bene, con un primo quarto di assoluto livello condito dalla meta di Parisse e in generale: una prima frazione di gioco trascorsa per il 67% del tempo nella metà campo francese; 51 possessi giocati nei 22 metri avversari a fronte dei 22 francesi nell’arco degli 80 minuti. Ma il dato inconfutabile delle mete dice 4 marcature i Bleus e 2 gli Azzurri. Con un numero praticamente uguale di palloni portati in mano (124-138), l’Italia ha guadagnato 350 metri e la Francia 856. Ciò si spiega con due mancanze: il placcaggio e la capacità di convertire in punti il gioco prodotto.

La percentuale di placcaggi riusciti, 69%, è davvero bassa per il livello internazionale. Ciò ha permesso alla Francia di correre tanto, battere 55 difensori e realizzare 21 offload. Per quanto riguarda invece la mancanza di cinismo in zona rossa, di cui ci hanno parlato anche gli Azzurri in mixed zone a fine gara, il problema probabilmente è soprattutto (e sempre) uno: quante volte durante la stagione i giocatori delle franchigie si trovano in condizione di dover marcare mete ai propri avversari? Poche, o comunque certamente meno rispetto alle squadre che affrontiamo nel torneo.

Ora sotto con la Scozia, tornata da Londra dopo il secondo peggior passivo di sempre in 134 anni di torneo e che dovrà dimostrare, ancora senza Laidlaw, di avere la forza mentale per reagire. La sensazione è che per la squadra di Cotter quella di sabato sia una vera e propria prova di maturità. E un po’ di pressione addosso a loro non può che farci piacere…

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