Un anno di Jaguares e jet lag (senza oversea). Ma è la strada giusta

Dalla Scozia il coach dei Pumas Hourcade parla a lungo del rugby argentino

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

EDIMBURGO – Daniel Hourcade, head coach dell’Argentina, arriva nella clubhouse della University of Edinburgh infreddolito, dopo aver condotto l’allenamento mattutino dei suoi Pumas sotto una pioggia a tratti molto forte e in condizioni climatiche che, con il freddo arrivato finalmente sulla Scozia, non sembrano essere quelle ideali per lui.

 

“La Scozia è un avversario molto duro, una bella squadra che mette in campo un tipo di rugby che per noi non è ideale – dice Hourcade – ma mentre noi cercheremo di giocare secondo il nostro game plan, a differenza di quanto fatto a Cardiff, dobbiamo anche tenere conto del meteo, un fattore che potrebbe essere decisivo“. Sabato sono previsti 2°C, quando la gara inizierà alle ‘cinco de la tarde’ e Hourcade, già scottato dal meteo scozzese, fa una smorfia di dolore quando vede sullo schermo del pc il grafico della temperatura. “Cercheremo di adattarci al meteo, cercando magari passaggi corti ma sempre cercando di essere dinamici e veloci”.

 

L’ultima gara giocata al Murrayfield, nel novembre 2014, ci ha dato una lezione molto pesante da cui abbiamo, però, imparato molto. In giugno di quell’anno abbiamo utilizzato la gara per provare nuovi giocatori, giovani, mentre qui ad Edimburgo, ripeto, abbiamo ricevuto una lezione. Venivamo dal successo contro l’Australia e pensavamo di aver già raggiunto il nostro massimo: la Scozia ci ha rimesso al nostro posto, ci ha dato una vera e propria sveglia. Da quel giorno, appresa la lezione, non prendiamo con leggerezza nessun avversario. È stato uno dei momenti decisivi della nostra storia recente“. L’Italia, avversario dei Pumas dopo la gara del Murrayfield, ha pagato a Genova un prezzo per quella lezione – così come la Francia due settimane dopo.

 

Dopo aver girato letteralmente il mondo da gennaio ad oggi, totalizzando qualcosa come centomila chilometri in aereo contando anche i numerosi spostamenti dei Jaguares nel loro primo anno di Super Rugby, i Pumas hanno avuto la possibilità di passare due settimane nello stesso fuso orario, un fattore che potrebbe influenzare, e in positivo, la loro prestazione di sabato prossimo al BT Murrayfield. “È stato un anno molto intenso, ma era quello che cercavamo, la possibilità di giocare sempre ad alto livello e di crescere, di fare esperienza. Dopo essere stati in Giappone, con molte ore di viaggio e il jet lag, abbiamo avuto adesso la possibilità di passare due settimane tra Cardiff e Edimburgo e ci siamo adattati bene”.

 

Hourcade crede che l’esperienza fatta dai ragazzi del suo gruppo coi Jaguares sia “molto positiva” e pensa che la politica della UAR di convocare solo giocatori che giocano nella franchigia di Super Rugby, alla lunga, sia quella giusta (solo Cubelli gioca a rugby all’estero, coi Brumbies in Australia).
“Quando si prende una decisione simile, prima si fanno molte analisi per cercare di capire se è la migliore possibile, a causa del suo impatto. Al momento, forse, non è la soluzione migliore ma credo sia la migliore per il futuro, perchè non potevamo più continuare nell’incertezza di poter contare o meno sui nostri giocatori, come succedeva prima. Quello passato è stato il nostro primo anno in Super Rugby, ci ha dato molte certezze ed è stato molto importante avere i giocatori tutti a disposizione, in Argentina. Prima di cambiare strategia, dovremo contare su una base più grande di giocatori, cosa che al momento non possiamo fare. Abbiamo molti buoni giocatori, nella base, ma molti di loro non hanno esperienza internazionale di alto livello. Una cosa che, col tempo, cambierà, ma ripeto in questo primo anno per noi era fondamentale poter avere tutti i giocatori con base in Argentina“.

 

“Quando abbiamo iniziato nel 2009 ad impostare il nuovo sistema di gioco, quello con cui ci troviamo molto bene adesso, è stato facile plasmare i giocatori che erano in Argentina e che si allenavano con noi, mentre le maggiori difficoltà le abbiamo incontrate coi giocatori che erano di base all’estero, in Europa, che erano i nostri titolari. Abbiamo dovuto lavorare molto per convincerli, per far loro accettare le nuove idee e non nascondo qualche paura iniziale, di poter giocare con questo nuovo tipo di gioco contro le nazionali più forti del mondo e, soprattutto, le nazionali dell’Emisfero Sud che hanno sempre giocato un rugby molto dinamico. Anche ai nostri giocatori piace molto il nostro nuovo stile di gioco e siamo riusciti a superare i timori iniziali, quando i ragazzi hanno capito che potevamo vincere e giocare bene“.

 

di Matteo Mangiarotti

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