L’altra Ovalia: la giovane storia dell’Afghanistan Rugby Federation

La palla ovale ha recentemente iniziato a rotolare anche a Kabul. A raccontarcelo è chi le ha dato il primo calcio

afghanistan

ph. ARF

Il possibile record degli All Blacks, la Coppa del Mondo, la Champions Cup e lo spettacolo del Super Rugby. Ma Ovalia è molto, moltissimo di più. La parte “emersa” dell’iceberg ovale è solamente la punta, se pensiamo che circa le stesse 25 squadre occupano stabilmente le prime posizioni del ranking maschile. Sotto di queste si evolve e vive tutta la parte “sommersa”, formata da altre 77 federazioni affiliate: per la cronaca, gli ultimi cinque posti del ranking sono occupati da Samoa Americane, Vanuatu, Grecia, Finlandia e Indonesia. Ma non è finita, perché esistono federazioni di recente fondazione che ancora attendono l’affiliazione al Board mondiale. Tra queste c’è l’Afghanistan Rugby Federation: affiliata al Comitato Olimpico Nazionale Afgano nel dicembre 2010, è ufficialmente in attività dal 20 maggio dell’anno successivo, giorno in cui ha ottenuto il riconoscimento da Asia Rugby attraverso cui prepara ora il grande passo nell’Ovalia ufficiale internazionale. Dietro tutto questo c’è l’impegno di Asad Ziar, 34 anni, che dopo aver lavorato per l’UNICEF e per l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha fondato la federazione afgana di cui è ora il CEO con l’obiettivo di diffondere la palla ovale nel suo paese.

 

Vero che negli stati dell’Asia le discipline di combattimento sono molto diffuse, ma perché proprio il rugby?
In Afghanistan lo sport nazionale è il buzkashi, una specie di mix tra polo, calcio e rugby: le due squadre montano a cavallo e l’obiettivo è quello di portare la carcassa di una capra precedentemente sacrificata oltre una linea posta all’estremità del campo. Sebbene nell’immaginario sia lo sport nazionale, per diverse ragioni non è il più praticato: una di queste è che i cavalli sono costosi e non tutti possono permettersi l’acquisto. Conoscevo il rugby, ma poi dopo aver visto i soldati americani giocare nelle loro basi ho pensato che potesse essere una cosa buona far conoscere quello sport anche alla popolazione: ha diversi punti di contatto con il buzkashi, ma è decisamente meno costoso e tutti possono praticarlo, cosa che fa una grande differenza.

 

Quali sono state le prime tappe per iniziare questo processo?
Prima di tutto ci sono dei canali istituzionali che devi rispettare, quindi fondazione di una Federazione che regola quel determinato sport nel paese e successiva affiliazione al Comitato Olimpico a cui è seguita quella ad Asia Rugby: il prossimo passo è ottenere il riconoscimento da World Rugby, che attraverso la federazione continentale è a conoscenza del lavoro che stiamo facendo. Il Comitato Olimpico lo apprezza molto e in generale vede con molto favore il rugby, ma purtroppo manca supporto finanziario che è destinato per la maggior parte al cricket, molto seguito e popolare.

 

Come siete riuscite a raccogliere il materiale necessario per partire?
Abbiamo chiesto a World Rugby i palloni, poi grazie ai miei contatti ne abbiamo raccolti altri assieme ad alcuni sacchi per i placcaggi: il Dog River Howlers, club canadese, ci ha donato 60 ovali, ma sono diverse le società anche del Regno Unito che ci hanno sostenuto. Senza dimenticare l’Ambasciata Britannica che dà il supporto logistico per far arrivare qua tutto.

 

 

 

Dopo neanche sei anni di attività, la Federazione conta al momento 500 giocatori, la maggior parte dei quali di età compresa tra i 16 e i 30 anni. “Ma iniziano anche a nascere piccole squadre di minirugby, con età compresa tra i sei e sette anni”. A giocare sono quasi esclusivamente ragazzi e uomini, anche se Asad non si pone limiti: “Ufficialmente non abbiamo ancora lanciato un programma dedicato al rugby femminile, ma già abbiamo fatto tentativi di introduzione anche per le ragazze”. Tutti i giocatori si concentrano a Kabul, dove attualmente vi sono 18 rugby club: “Sappiamo che anche ad Herat e a Kandahar si gioca nelle basi britanniche coinvolgendo la popolazione, ma sfortunatamente non possiamo aiutarli sia per un discorso di distanze che di mancanza di possibilità finanziarie”.

 

Utilizzate anche le scuole per far conoscere ai più giovani questo sport per loro nuovo?
Abbiamo avviato alcuni meeting e seminari per avere il permesso da parte del Ministero dell’Educazione di avviare il programma denominato Afghan School Rugby (ASR), perché per noi sarebbe un passo importante. Talvolta già è stato fatto, ma il vero problema in realtà è un altro: la mancanza di qualunque tipo di terreno adatto per la pratica. E questo è un problema generale ed esteso, ma non è il solo.

 

Ad esempio?
La stagione invernale è molto lunga, dura anche fino a cinque mesi durante i quali è praticamente impossibile riuscire ad allenarsi per chiunque, anche per i giocatori della nostra nazionale che nei mesi meno freddi invece riescono a fare anche tre sedute a settimana utilizzando i pochi campi delle scuole, dove svolgono anche alcune partite.

 

L’attività della Nazionale come è strutturata?
Sono tutti studenti e lavoratori che vivono a Kabul e dipende sempre dal budget a disposizione. Un aiuto importante arriva da un centro commerciale locale che supporta i nostri impegni internazionali fuori dal paese. Per due anni (2013 e 2014) abbiamo partecipato al West Asia Rugby Sevens Tournament organizzato dalla Federazione degli Emirati Arabi, battendo l’Oman e l’Arabia Saudita. L’anno scorso invece il governo ha vietato di concedere i visti per partecipare, mentre quest’anno siamo in attesa dell’ufficialità per il 2017. Un grande passo sarebbe il riconoscimento internazionale della nostra Nazionale: in questo modo potremmo avere un minimo di investimenti e sponsor e seguire le orme del cricket.

 

A livello domestico invece quanta attività riuscite ad organizzare?
Anche qui dipende sempre dal budget, ma in generale ogni anno riusciamo ad organizzare almeno tre tornei di Seven, che è praticamente l’unica versione diffusa e giocata: per fare un match a 15 dobbiamo mettere insieme quattro club di Seven e non succede più di sei volte l’anno. Proprio questa settimana, il 14 ottobre, abbiamo organizzato un torneo sempre di Seven che abbiamo chiamato Kabul Olympic Rugby Tournament: vi hanno partecipato la Nazionale, una selezione di studenti universitari e le squadre delle ambasciate britannica, statunitense, francese e australiana. Ora vogliamo riuscire a coinvolgere più allenatori e anche attraverso le piattaforme social cerchiamo persone che possano venire ad allenare le squadre di club: spesso ad occuparsene sono gli stessi giocatori della Nazionale.

 

 

Di Roberto Avesani

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