Vigorelli, l’inutile guerra tra rugby e ciclismo all’ombra della Madonnina

Cosa succede a Milano? Che battaglia si sta combattendo attorno all’impianto sportivo? Ce lo spiega Antonio Raimondi

Proviamo buttare Giù un Gettone sul rugby a Milano, visto che ultimamente se ne parla molto, qualche volta con conoscenze parziali, troppo spesso più di pancia, che razionalmente. Il primo sasso l’ha lanciato il presidente Federale Alfredo Gavazzi con il suo “quasi” sogno, di vedere Milano e Roma in Celtic League. Un sogno che ha un non so che di ragionevole, se si pensa al potenziale delle due più grandi città italiane, e che potrebbe diventare progetto e poi realtà.
Il tema è ancora più caldo in questi giorni, perché il rugby finisce in mezzo alla polemica, suo malgrado,  sul blocco dei lavori, prima ancora che siano iniziati, di ristrutturazione del Vigorelli. Il Comune di Milano si preoccupa, avendo a disposizione dodici milioni di euro di oneri di urbanizzazione, di restituire alla città un impianto storico che possa anche essere moderno ed economicamente sostenibile.
Il progetto per il Vigorelli dello studio dell’architetto Vittorio Grassi, che ha vinto il bando del Comune di Milano, punta sulla multifunzionalità e sull’esperienza di un gruppo come Populous, che due o tre impianti, in giro per il mondo, li ha curati con successo. Se volete, fatevi un giro sul loro sito, tra i lavori realizzati ci sono l’Aviva Stadium di Dublino, lo Stadio Olimpico di Londra, il Forsyth Barr di Dunedin e per il futuro hanno vinto la gara per il nuovo stadio della Federazione francese di rugby, roba da 400 milioni di euro o giù di lì.

 

Il mondo del ciclismo, principalmente quello delle associazioni, ma anche il Comitato regionale della FCI ha alzato la barricata, perché si vorrebbe conservare  la pista e l’intero Vigorelli per il ciclismo. Prima di tutto in nome della storia, poi di una sempre più diffusa passione per la bicicletta a scatto fisso, (la bicicletta da pista), che sempre più frequentemente vediamo anche per le strade cittadine, come moda importata dall’estero. Si potrebbe anche essere d’accordo, per rispetto della storia, però la storia ci racconta che l’ultima manifestazione internazionale di ciclismo organizzata al Vigorelli è del 1998, l’ultima in assoluto del 2001 (sospesi per l’attentato alle torri gemelle a New York). Da allora più nulla e la pista pagata e donata dalla Mapei dell’attuale presidente di Confindustria Squinzi  è prima rimasta inutilizzata e poi è diventata inutilizzabile. La storia ci racconta anche che ai  giochi olimpici di Londra nel settore pista, la nazionale italiana era rappresentata soltanto da Elia Viviani, segno del disinteresse (o almeno dell’inefficacia) della Federazione Ciclistica Italiana per la pista.

 

Mettendoci qualche ricordo personale e passando alla prima persona, ho abbastanza anni da aver visitato il Vigorelli, in attesa del rilancio, con Antonio Maspes, raccolto i ricordi dello stesso Maspes e di Sante Gaiardoni, guardato con speranza al ritorno dell’attività su pista in Italia, la rinascita della Sei Giorni (che comunque non si disputava al Vigorelli) . Il ciclismo mi piace e la pista pure tanto. Possiedo pure una bicicletta a scatto fisso, anche se non ha il manubrio da corsa e, per prudenza, ha pure i freni.
Tornando a mettere i piedi nel piatto,  a quindici anni dall’ultima manifestazione ciclistica internazionale organizzata al Vigorelli,  è più che lecito cambiare strategia per far vivere un impianto, affiancando al ciclismo altri sport, evitando una guerra che non esiste tra ciclismo e rugby. Occorre un approccio senza pregiudizi, perché di mezzo ci sono pure i soldi pubblici, e la sostenibilità economica del progetto, deve essere in cima alle priorità.

 

Pregiudizi che non ha ad esempio Stefano Allocchio, uno che ha mangiato pane e pista: “Io ho imparato tanto dalla pista – dice il direttore di corsa del Giro d’Italia – E’ stata una scuola importante che mi ha dato molto in termini di esperienza, quando poi sono passato alla strada. Penso che sia giusto che  il Vigorelli possa ospitare sport differenti. Purtroppo in questo momento la pista in Italia è in crisi e manca chi investe in un progetto serio, come ad esempio è successo in Gran Bretagna con Sky. Non si vedo all’orizzonte soluzioni”. Ben venga un impianto nel quale possono convivere diversi sport: “Per fare questo progetto – dice l’architetto Vittorio Grassi, pensando ad aprirlo alle esigenze del quartiere. E’ pronto a  ospitare le scuole il mattino, i club organizzati nel pomeriggio e di sera, mentre nel week end ci sarebbe spazio per gli eventi: ciclismo per l’estate, rugby e football americano durante l’inverno, ma non solo, perché si adatta a diverse possibilità, anche se la destinazione è prettamente sportiva. Ad esempio può diventare un’arena per il pugilato o adattarsi per un torneo di tennis, con più campi a disposizione”.
All’interno del futuro Vigorelli è previsto anche lo spazio per  l’Accademia dello sport, che comprende palestra, centro medico-sportivo, aule per la formazione  e una foresteria da quaranta posti.

 

Il mondo del ciclismo, con la complicità delle varie amministrazioni comunali che si sono succedute nel corso degli anni, non ha fatto nulla (o non abbastanza) per salvare la pista dal degrado. Siamo davanti ad un classico spreco italiano. Il nuovo progetto non estromette il ciclismo dal Vigorelli, ma gli chiede spazio, garantendo comunque una pista di 250 metri per l’organizzazione di grandi eventi. Far funzionare la pista smontabile è già una bella e difficile sfida, visto com’è ridotto oggi il Vigorelli. Sarebbe un segnale che qualcosa nel mondo del ciclismo su pista si muove e per dirla tutta, sarebbe anche una bella notizia per lo sport italiano.
“In Inghilterra hanno demolito e ricostruito –  dice ancora Allocchio – un monumento come Wembley, quindi penso che si possa intervenire per avere impianti più funzionali e sostenibili. Io ho girato tanti palazzetti dello sport e ormai tutti puntano sulla multifunzionalità.  Per quanto riguarda il Vigorelli, la gestione di una pista smontabile non è semplice, perché occorre tempo. Ricordo quando abbiamo organizzato la Sei Giorni ad Assago, il montaggio della pista prendeva circa una settimana di tempo e altrettanto lo smontaggio. Una pista da 250 metri sarebbe più utile, perché adatta all’attività internazionale. La pista da 400 metri è diventata praticamente inutilizzabile”.

 

Probabilmente dal confronto, senza appunto pregiudizi, potrebbe trarne vantaggio tutto lo sport milanese. Se il nuovo Vigorelli potrà ospitare il rugby, il movimento ovale milanese sarebbe chiamato a una sfida difficile, per farsi trovare pronto, se non ci saranno altri intoppi, per il 2016, quando ci sarà a disposizione uno stadio da cinquemilacinquecento posti, tutti coperti, da non lasciare vuoti.
Basteranno due anni e mezzo per essere pronti a una sfida così importante? La risposta è nascosta nelle pieghe di un movimento che in questo momento esprime nel punto più alto soltanto due squadre in Serie B: AS Rugby Milano e Rugby Grande Milano. Niente A, niente Eccellenza. Davvero troppo poco.
Se invece che al  vertice, si guarda alla base, la situazione è sicuramente più incoraggiante. Cus Milano Rugby (dati della stagione 2011-2012) è il club italiano che vanta il maggior numero di tesserati e fa parte insieme con altri sette club della “franchigia”  Rugby Grande Milano, che rappresenta una base tesserati di oltre millecinquecento (qui qualche dettaglio in più).
L’AS Rugby Milano ha circa 500 tesserati, la Union che ha perso quest’anno la serie B, ma continua con serietà il lavoro di base. Considerando la mancanza e la qualità degli impianti milanesi, si potrebbe addirittura parlare di miracolo a Milano.

 

Il rugby è una realtà che in città inizia a farsi vedere e l’amministrazione comunale se n’è  finalmente accorta.  Un riconoscimento che è passato attraverso l’organizzazione di Rugby nei Parchi, la nascita del primo campo pubblico da rugby in uno dei parchi della città, il recupero di un campo nella zona nord di Milano (Centro sportivo Iseo), iniziative nel sociale come il rugby nel carcere minorile Beccaria. I club di Milano ora si siedono al tavolo con il  Comune di Milano per ricercare soluzioni al problema degli impianti.  Tutti fatti concreti che servono per mettere le basi, ma per pensare al Vigorelli bisogna fare molto di più.
Il rugby milanese  produce meno di quanto potrebbe e soprattutto la difficoltà di tutti è il mantenimento di squadre seniores a un livello superiore alla Serie B. Chi vuole giocare a livello più alto, prima o poi, deve scegliere di andar via da Milano. Luca Morisi è partito dall’ASR Milano ed è arrivato al Benetton e alla Nazionale, passando per un anno in Serie A con Rugby Grande Milano, oltre che in Accademia a Tirrenia.
Maxime Mbanda’, di scuola Amatori Junior, ha dovuto aspettare di esordire in Serie A con RGM, prima di essere scoperto dall’Accademia di Tirrenia e poi scelto per la prossima stagione da Calvisano.  Luca e Maxime sono solo due esempi, quelli oggi di più alto livello. Sono  figli di Milano che vanno a giocare lontano di casa. Come loro ce ne sono altri in giro per l’Italia, che garantirebbero da subito a Milano di stare in serie A e che sarebbero una base per qualcosa di più importante.

 

Si potrebbe fare di più per questi figli del rugby milanese, unendo le forze per un progetto che abbia come obiettivo l’alto livello e sia in grado di attirare risorse, anche quelle federali, perché il potenziale della piazza è molto elevato. Creata la base di giocatori (dieci anni fa era difficile mettere insieme le squadre giovanili) con un grandissimo lavoro di tutti i club, con la prospettiva di uno stadio come il Vigorelli, e un bacino d’utenza secondo soltanto a Roma, sarebbe un delitto, non sfruttare l’occasione.

 

di Antonio Raimondi

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