La classe operaia va in paradiso: Mark Wilson

Il terza linea inglese sarà di nuovo titolare della nazionale a Dublino, il nono cap della carriera a 29 anni

ph. Reuters

Centoquaranta minuti in 4 partite: questa fino allo scorso novembre era stata la carriera in nazionale di Mark Wilson, terza linea da Kendal, cittadina normanna sul Kent, nel nordovest dell’Inghilterra.

Non ha il fisico da Big Jim di Owen Farrell, né la barba perfettamente curata di Elliot Daly. Non è statuario come Maro Itoje e non ha gli occhioni di George Ford. Ha i denti storti, come gliene avessero buttati una manciata in bocca, e le orecchie distrutte di un pilone destro. La faccia pallida, il baricentro basso, le dita fasciate di chi di mestiere fa quello che sbatte addosso ai muri con una vescica di maiale in mano. Eppure è un giocatore sfaccettato, che sa fare tutto: carica, passa, placca, rallenta il pallone degli avversari, li costringe al turnover.

Mark Wilson si racconta. Come per tanti ragazzi, un insegnante in particolare ha avuto un ruolo decisivo. Guarda un po’, nel suo caso, era quello di educazione fisica.

Il suo esordio in nazionale è arrivato tardi, a 27 anni, ai margini del radar di Eddie Jones dopo la scorsa, devastante Rugby World Cup per i colori inglesi. I precedenti head coach lo hanno sempre snobbato, nonostante sette stagioni da titolare fisso di Newcastle, la sua sola ed unica squadra di rugby professionistico in carriera: né Martin Johnson né Stuart Lancaster si accorgono di questo ragazzo che aiuta i Falcons a tornare in Premiership dopo la retrocessione in Championship, duro eppure corretto fino al midollo, tanto da guadagnarsi la miseria di due cartellini gialli in tutto il proprio cursus honorum.

Nel maggio del 2015 Stuart Lancaster lo mette in campo contro i Barbarians, in un match che segnerebbe il suo esordio internazionale se contasse qualcosa ai fini dei caps. D’altronde è un’Inghilterra più che sperimentale, infarcita di terze e quarte linee perché non si possono rischiare i giocatori, quelli veri, a tre mesi dalla Rugby World Cup.

Nel 2016/2017 diventa impossibile ignorarlo: Wilson segna 8 mete in 26 partite, in estate c’è il tour dei Lions in Nuova Zelanda che si porta via una sfilza di internazionali inglesi, e Jones lo arruola per la missione argentina dei suoi.

Il debutto arriva nel primo dei due test contro i Pumas, con 80 minuti da numero 6 e una vittoria per 38 a 34 che accresce l’impressione di un’Inghilterra imbattibile (proviene dal Grande Slam al Sei Nazioni 2017). Ne gioca poi 20 nel secondo test, anche quello vinto, segno che ci sono giovani che stuzzicano di più l’immaginazione di Eddie Jones: Sam Underhill, per dirne uno, che debutta in quell’occasione.

L’anno seguente Wilson raccoglie qualche scampolo di partita ancora: sono 40 minuti in tutto nel secondo e terzo test dell’Inghilterra in Sudafrica, a giugno. Wilson c’è anche perché le sue prestazioni sono fondamentali per la sua squadra di club, che si ritrova catapultata improvvisamente fra le nobili della Premiership, al quarto posto. E’ una nazionale che però si riscopre imperfetta dopo la debacle dello scorso Sei Nazioni, e assediata in terza linea da una serie di infortuni.

Proprio gli infortuni consentono al numero 8 di Newcastle di avere una nuova opportunità: è novembre, i Falcons sono partiti male in campionato ma benissimo in Champions Cup, dove hanno raccolto due vittorie quasi clamorose. Billy Vunipola è ai box per l’ennesima volta, Nathan Hughes è squalificato per i suoi tweet mentre presenzia al giudizio della commissione in seguito a una citazione, Sam Simmonds è out for the season, crociato andato. Eddie Jones ha esaurito le sue terze centro, rimane solo Mark Wilson.

L’Inghilterra ha bisogno di riscattarsi da un 2018 fin lì gramo di soddisfazioni, di fronte c’è ancora il Sudafrica. Stavolta quelli della Rosa vincono, 12 a 11, soffrendo in una partita sparagnina, a chi sbaglia meno. Per Wilson fanno 11 cariche, 2 difensori battuti, 14 placcaggi: il miglior ball carrier, il secondo miglior placcatore, il man of the match di giornata dopo 80 minuti di battaglia.

No, non fermatelo adesso

 

Non se la leva più, Mark Wilson da Kendal, quella maglia bianca dell’Inghilterra: sono 80 minuti anche contro la Nuova Zelanda, il Giappone e l’Australia. Sono le partite in cui l’Inghilterra si riscopre forte, fortissima. Wilson è un fabbro ferraio sotto anfetamine: placca anche i fili d’erba, porta il pallone, fa le scelte giuste, è dovunque a fare il lavoro sporco.

Sabato 2 febbraio si gioca a Dublino, in quel girone infernale che ai locali piace chiamare Aviva Stadium: è tornato Billy V, in panchina c’è anche Nathan Hughes, ma Wilson rimane lì, con la numero 6 sulle spalle, per il suo primo Sei Nazioni.

Lorenzo Calamai

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