Il sudafricano sprona gli Azzurri a trovare soluzioni sempre diverse. E sul suo ruolo: “Non lavoro con le squadre in salute”

ph. Sebastiano Pessina
“Thinking outside the box” è il mantra di Brendan Venter. Il sudafricano ama le sfide difficili e, non a caso, lavora anche come consulente di Conor O’Shea per la nazionale italiana. Come noto, è stato lui l’artefice della ‘Fox’ utilizzata a Twickenham dagli Azzurri contro l’Inghilterra un anno fa, traslando sull’intera partita una tattica utilizzata soltanto saltuariamente da alcune squadre nel corso delle stagioni. Evitare la formazione del breakdown e, conseguentemente, della linea del fuorigioco ha permesso all’Italia di arrivare al 69′ sull’insperato punteggio di 17-15, salvo poi perdere 36-15 nel finale.
Per Venter, comunque, la strada tracciata in quel pomeriggio di un anno fa è l’unica da seguire per gli Azzurri, se in futuro vorranno avere qualche chance di vincere contro formazioni ben più quotate. A partire dalla sfida di domenica contro gli uomini di Eddie Jones. “L’Italia dovrà fare cose diverse, assolutamente – ha dichiarato in un’intervista al Telegraph – Bisogna arrivare ad un punto in cui vincere o perdere non è la fine del mondo, perché bisogna provare soluzioni nuove”.
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Tornando con la mente al discusso match dello scorso anno, Venter spiega: “Sapevo che se avessimo fatto le stesse cose, avremmo perso. Dovevamo provare cose differenti. Ho un sacco di idee come quella. Il concetto dietro a queste idee è che tu stai affrontando sfide o problemi, esattamente come nella medicina (il primo lavoro di Venter è il medico, ndr)”.
“Se pensi che la soluzione sia solo in una cosa, non comprenderai la magnitudo del problema. Questo ti deve forzare a pensare out of the box, specialmente con un problema come Italia-Inghilterra […] La normalità non funzionerebbe”.
Interrogato sul numero delle strategie in serbo per London Irish (di cui è direttore tecnico) Sudafrica (allenatore della difesa) e appunto Italia, Venter dice che “ce ne sono quattro o cinque. Sto aspettando il momento giusto. Ce n’è stato uno nel 2013, nella finale di Currie Cup (vinta dai suoi Sharks su Western Province, ndr). Potrei utilizzare di nuovo quella strategia, ma aspetterò. C’è un tempo per tutto”.
Venter, poi, dimostra di essere sulla stessa lunghezza d’onda di Conor O’Shea per quanto riguarda il percorso intrapreso dal movimento italiano. E spiega anche perché ha accettato un simile incarico con la FIR: “Nella mia professione di medico, vedo solo persone malate. È lo stesso anche per il rugby. Non c’è una sfida se ogni cosa funziona, per cui non vedo a lavorare con squadre in salute”.
“Con il tempo, il paziente guarirà. È lo stesso con l’Italia. Conor ha messo a punto un sistema e ci si chiede: «Siamo migliori rispetto a prima?». È un discorso legato alle prestazioni e a quanto possiamo migliorare. Non è solo una questione di risultati […] In Italia, le persone guardano ai risultati anche se ci sono grandi progressi”.
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