Treviso, “anomalia” che gli inglesi non vorrebbero in Champions Cup

Oltremanica si parla di Pool 5 falsato e partecipazione garantita da ripensare. Ma forse ai nostri colleghi sfugge qualcosa…

ph. Ottavia Da Re

ph. Ottavia Da Re

“I Pool match della prima Champions Cup ci hanno consegnato un torneo perfetto per le squadre forti. E così è come dovrebbe essere, e come non era in Heineken Cup”, si legge in apertura del lungo intervento di Nick Cain sulle pagine di The Rugby Paper. Partite spettacolari, di altissimo livello, e una buonissima dose di equilibrio e competitività, tanto che solo Tolosa ne ha vinte quattro su quattro, e i discorsi sono apertissimi in tutti i gironi.
In tutto questo, però, c’è qualcosa che per Cane non torna. Manco a dirlo, riguarda l’unica nostra squadra rappresentata, la Benetton Treviso, e il titolo dell’articolo parla chiaro (It’s leaner and meaner… but let’s solve the Italian problem). “Treviso è l’unica anomalia della Champions Cup, e fino a quando le squadre italiane non colmeranno il gap di competitività, dal mio punto di vista dovrebbe esser loro revocata la partecipazione di diritto”.
Nonostante alcuni ottimi scalpi internazionali a livello di Sei Nazioni, prosegue Cane, le prestazioni dal 1995 (anno della prima Heieneken Cup) ad oggi in coppa sono parecchio scarse: il computo complessivo è di 18 vittorie su 96 match totali. Soffermandoci sull’era celtica (2010-oggi), due vittorie in 28 partite. Il risultato, un girone più facile degli altri e quindi meno meritocrazia. Ma Cane va oltre. Vero che ci sono state partenze eccellenti, ma chiunque abbia in rosa giocatori come Zanni, Favaro, Minto, Gori, Nitoglia e Campagnaro non dovrebbe prendersi undici mete in una singola partita. Il problema non starebbe pertanto nei giocatori, ma nella “scarsa ambizione e rigore dell’approccio alla competizione”. Una delle soluzioni proposte, sarebbe quella di garantire il posto in Champions solo in caso di arrivo almeno al nono posto in Pro12. Ma Cane non è l’unico, tanto che sul Guardian si legge che “la presenza di Treviso sfata il nome stesso di Champions Cup”.

 

Se dovessimo basarci solo sui numeri, freddi ma letali, dare torto a Cane sarebbe dura. Il vero problema è che in questo Treviso è proprio l’unica in questa situazione e in questo il termine “anomali” è perfetto. Nelle competizioni gemelle di altri sport di squadra non succede: in tutti i gironi di Champions League ed Eurolega c’è almeno una squadra cuscinetto, mentre è innegabile che in Ovalia pescare un’italiana equivalga spesso a dieci punti guadagnati e molti segnati.
Però, dietro i freddi e terribili numeri c’è forse dell’altro. Che a Cane, inglese abituato alle vittorie, forse sfugge, ma a noi “sfigati” italiani no. Se è vero che si cresce anche giocando contro i migliori, pure prendendone una settantina, perché non lasciare fuoi le italiane, che in tal modo cresceranno ancora più lentamente? Non si può negare che giocare una competizione di così alto livello aiuti giocatori, squadre e società a fare dei passi in avanti.
E ancora, se è vero che le responsabilità delle sconfitte, stando a Cane, è da attribuire a chi (non) programma e non a chi scende in campo, perché farla pagare ai giocatori, che hanno a disposizione sei partite all’anno per mettersi in mostra sul palcoscenico di club più prestigioso? Che poi, fossero dei 70-0 ad ogni partita, gli si potrebbe pure dar ragione, ma di fatto non è esattamente questa la situazione. E negli ultimi anni i vari Racing, Montpellier, Tolosa, Leicester ed Ospreys hanno faticato e non poco a Monigo. Bene ha fatto l’EPCR a limitare ad una squadra la nostra rappresentanza nella nuova Heineken Cup, ma escluderci sarebbe un errore sportivo oltre che un torto.

 

Di Roberto Avesani

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