L’ultimo gradino prima dell’Alto Livello: intervista ad Alessandro Troncon

Il ct della nazionale U20 parla con OnRugby a poche settimane dal Mondiale Juniores: problemi e prospettive del nostro movimento

ph. Paul Harding/Action Images

I nostri azzurrini sono attesi in Nuova Zelanda per il torneo iridato di categoria che parte il 2 giugno. Una competizione che l’Italia può affrontare senza la paura di una retrocessione perché l’edizione 2015 si terrà nel nostro Paese. Ma il ct Alessandro Troncon non vuole sentire scuse…

 

Australia, Argentina, Inghilterra. Quello dell’Italia è davvero un girone complicato: quali sono le reali prospettive per il torneo degli azzurri, sia nella prima fase che in quella seguente?
La Coppa del Mondo U20 è molto dura, con dodici squadre soltanto, è davvero l’elite del rugby mondiale. E’ una competizione di altissimo livello che si gioca nell’arco di sedici giorni, per noi non è facile scontrarci contro realtà più evolute a cui si aggiunge un impegno fisico cui non siamo abituati a far fronte.
E’ un torneo molto impegnativo sotto ogni punto di vista. Per quanto riguarda le avversarie nel girone l’Inghilterra rispecchia il movimento più importante che esista al mondo, l’Argentina è sempre stata forte a livello giovanile. Oggi forse si sono un po’ allontanati dalle Nazioni più forti, ma l’anno scorso avevano un ottimo gruppo e sono in preparazione da un mese e mezzo. Giocheranno tre test contro il Sudafrica, arriveranno pronti ad affrontare il Mondiale. L’Australia è un’altra delle cinque realtà più forti al mondo, con competenze tipiche del rugby dell’emisfero sud.
Realisticamente, il nostro obiettivo è preparare attraverso queste tre partite le ultime due e gestire il gruppo in modo tale da dare a tutti tempo e modo di entrare in forma senza usurarci. Per il resto, partiamo con l’obiettivo di massima di conquistare sul campo il diritto a disputare il Mondiale del 2015 in Italia, non per il fatto di essere il Paese ospitante. Far parte dell’elite del rugby mondiale giovanile è fondamentale per proseguire nel percorso di crescita del nostro sistema-rugby.

 

Quali le favorite del torneo e quali le eventuali sorprese?
Nuova Zelanda, Sudafrica ed Inghilterra penso siano le favorite, forse anche l’Australia. Ma favorito sarà chi a livello fisico si dimostrerà superiore agli altri. Il Galles del Sei Nazioni non era così esuberante fisicamente da poter competere per il titolo, ma ai Mondiali le cose potrebbero essere diverse. Nazioni come l’Irlanda, Samoa, le Fiji e noi sono un passo indietro.

 

Parliamo dell’Italia: illustraci punti di forza e debolezze del gruppo azzurro
I punti di forza: dal punto di vista del carattere è una squadra competitiva, con un alto grado di agonismo, che durante il Sei Nazioni ha sbagliato l’approccio alla gara con la Francia dopo lo sforzo del match d’esordio contro Galles ma si è sempre impegnata ed ha dato il massimo, mollando raramente. Contro l’Inghilterra ha avuto venti minuti difficili, frutto anche dei due gialli, ma in generale è una squadra che ha sempre combattuto. Di certo a questo livello non basta, ma è anche una squadra che si trova abbastanza nel gioco, i ragazzi hanno la capacità di riconoscere determinate situazioni e di stare in campo in modo corretto ed interessante.
Certo a volte questo è difficile da realizzare perché a livello fisico non siamo dominanti, rispetto ad altre Nazioni siamo indietro ma questo apre ad una analisi dello sport nel nostro Paese molto più ampia: il sistema-Italia mette lo sport in fondo alla formazione dei giovani, si fa sport solo a pagamento. A livello motorio e coordinativo  i nostri giovani sono indietro ed i nostri ragazzi rispetto ai coetanei di altre Nazioni partono con uno svantaggio molto grande, nel rugby come in altri sport.
E’ una situazione che si è acuita negli anni con il modificarsi della società, si trascorre meno tempo fuori a giocare con gli amici e sui campetti dell’oratorio, e questo ha un’influenza sullo sviluppo generale dei nostri ragazzi. Poi è anche evidente che abbiamo delle carenze a livello di tecnica individuale, sia per la tecnica specifica di ruolo che globale. E’ un aspetto quest’ultimo su cui la FIR sta iniziando a focalizzarsi, specialmente per quanto riguarda le categorie giovanili,momento fondamentale di crescita.
La tecnica individuale è un aspetto molto ampio e prioritario, bisogna iniziare a lavorare in questo sin dalla prima età, perché a 17-18 anni il bagaglio tecnico e tattico deve essere già molto consistente. Questo ancora manca ma la FIR sta lavorando in questa direzione e questo non può che farmi piacere.

 

Le nostre sono debolezze strutturali, dovute cioè, al modo in cui i giocatori vengono formati? E se sì, come e dove intervenire?
Come ho detto in questo momento si sta dando molta importanza alla formazione tecnico-tattica dei giocatori,cominciando già in giovane età, periodo in cui è più opportuno formarli sia a livello specifico che individuale nelle situazioni di gioco, con un lavoro centrato su questi aspetti. Penso ci sia stata una presa di coscienza generale circa l’opportunità di mettersi al passo in questa direzione, anche se si tratta di un processo che richiederà tempo ed inevitabili accorgimenti per andare a regime ed arrivare alla massima efficacia. E’ anche vero poi, che queste debolezze possono essere legate all’approccio al rugby da parte dei nostri giovani, e torniamo al modo di vivere lo sport in Italia, nello specifico la nostra disciplina.
Io ho vissuto in ambienti dove il rugby è una ragione di vita, chi sceglie di giocare lo fa perché ambisce a diventare un professionista, un giocatore di altissimo livello. I giovani inglesi, francesi,irlandesi, gallesi sanno che diventare rugbisti di alto livello vuol dire essere riconosciuti dalla società ed avere determinate certezze e privilegi, di natura economica e sociale: tutto ciò aumenta le ambizioni dei giovani e la competizione interna, di conseguenza porta ad una crescita individuale e collettiva.
In Italia la cultura sportiva, in questo senso, è più limitata, ed il rugby non ha ancora questa posizione nella nostra società.

 

Il presidente Gavazzi ha detto che la nazionale U20 deve cominciare a giocare al pari delle avversarie, altrimenti non è pensabile di poter vincere con la nazionale maggiore: sei d’accordo? E come farlo in tempi medi?
E’ evidente che essere competitivi con l’Under 20 significa essere competitivi a livello seniores, perché a livello di Under 20 i giocatori di qualità sono di fatto formati per l’alto livello. Noi dobbiamo guardare alla nostra realtà, non fare il paragone con realtà rugbisticamente troppo evolute, con mezzi economici, strutturali, umani che per noi sono utopie, come quella francese o inglese. Piuttosto i nostri riferimenti possono essere Irlanda e Galles ,che per quelli che sono i numeri sono realtà più vicine a noi (anche se culturalmente il rugby è vissuto in modo molto diverso) e mi sembra che oggi l’Italia stia prendendo questa direzione, creando una grossa base U14, migliorando la “capillarizzazione” del movimento, allargando la ricerca di talenti tra la base e restringendo il nucleo di atleti di possibile alto livello con il progredire dell’età.
E’ importante che i giovani di qualità lavorino e giochino insieme,o vengano inseriti in contesti di alto livello, dove poter migliorare sotto il profilo individuale, generale e collettivo, creando competizione interna ed anche confrontandosi con realtà di alto livello.
Esemplifico: due giocatori di alto livello in un contesto mediocre inevitabilmente sono portati ad adattarsi, viceversa due giocatori calati in un contesto di qualità dovranno lavorare per mettersi al passo dei compagni e potersi confrontare con loro. Per questo è importante che il sistema non sia chiuso ma aperto. E’ un principio dell’apprendimento, nulla di più.

 

In una intervista a AllRugby il responsabile tecnico Ascione sostiene che il vero gap tra Italia e gli altri movimenti non è quello che viene scavato tra gli U16 e gli U20 ma avviene dopo, nel passaggio tra gli U20 e l’Alto Livello. Sei d’accordo?
Franco ha evidenziato una realtà che ho peraltro espresso poco sopra: i nostri giovani, per tutta una serie di aspetti – non ultimo quello sociale – maturano in diversi ambiti, più tardi dei loro coetanei che vivono in  altri Paesi. Per il resto, mi sembra che i concetti espressi da Ascione siano più legati alla necessità di individuare delle opportunità concrete per favorire l’utilizzo e l’integrazione di quei giovani che provengono da un “percorso formativo” verso l’alto livello, per evitare quindi una dispersione legata al loro mancato utilizzo. E’ importante che i giovani di qualità giochino con regolarità in realtà di alto livello.
Mi sembra comunque che questo, per fortuna, stia cominciando a verificarsi sempre di più, ed i giovani riescano a trovare sempre più spazio in questi contesti.

 

Tecnica, mentalità, doti fisiche: dove dobbiamo lavorare di più?
A livello mentale come ho detto ci sono fattori culturali che all’estero influiscono maggiormente, da noi l’approccio spesso è più ludico e di adesione al rugby per componenti valoriali, meno legato all’opportunità di giocare a rugby in chiave professionistica. A livello fisico come detto, per tante ragioni, il giovane italiano si sviluppa in media più tardi ed inoltre nel nostro ambiente non sempre confluiscono i migliori profili fisici. A livello tecnico invece è opportuno cominciare a lavorare sempre di più nei settori dei più giovani, con un interazione costante club/federazione, attraverso progetti e programmi comuni.
I tecnici devono avere le competenze necessarie per dare i mezzi agli atleti, devono poi creare in quest’ultimi un’esigenza costante, se non ossessiva, nel lavoro del proprio bagaglio tecnico specifico e globale. Sta poi ai giovani, con loro ambizioni, divenire attori e protagonisti nel prendere in mano la propria “vita” (sportiva), capendo l’importanza del lavoro quotidiano e la sua personalizzazione, necessario per raggiungere l’eccellenza del rugby.

 

Il sistema delle Accademie può funzionare o una struttura più legata ai club può dare migliori risultati?
Io penso che alla base debba esserci sicuramente un grosso lavoro con i Club ed un confronto reciproco vertice/base che allarghi il lavoro di qualità ed il numero di giocatori, attraverso una programmazione ed un progetto,come detto prima, ben definito con linee guida comuni e chiare; ma è anche importante che in una seconda fase i giovani di qualità possano lavorare in un contesto utile alla loro maturazione. Per maturare devono lavorare in realtà di alto livello come le franchigie, per chi già pronto, in contesti comuni come può essere l’Accademia nazionale, in Eccellenza, o all’estero. E’ questa la base per la crescita di atleti di alto livello. Per questo è importante rimanere nell’elite del rugby mondiale, per dare ai nostri U20 la possibilità di confrontarsi anno dopo anno con i migliori all’interno del proprio percorso di formazione.

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