Da un estremo all’altro, tra Zebre e Nazionale: la lunga corsa di Edoardo Padovani

Abbiamo intervistato uno dei migliori azzurri in stagione, esploso dopo il cambio di ruolo e titolare inamovibile per O’Shea

ph. Luca Sighinolfi

ph. Luca Sighinolfi

Edoardo Padovani ha tutta l’aria di essere sulla strada giusta. Il 23enne è una delle note più liete della stagione delle Zebre e soprattutto della nazionale italiana, di cui è diventato un titolare inamovibile dopo il suo cambio di ruolo da mediano d’apertura ad estremo, con cui sembra essersi definitivamente lanciato ad una carriera di alto livello. Con l’ex giocatore di Mogliano abbiamo parlato proprio della sua evoluzione in campo, di Conor O’Shea e degli ultimi mesi azzurri, delle Zebre ma anche di Fox e di errori individuali.

 

Non possiamo non partire dal cambio di ruolo che ha caratterizzato la tua stagione: com’è nata e da chi è nata l’idea di diventare estremo?

L’idea è nata quest’anno, quando c’era ancora Gianluca Guidi. Avevo sempre visto me e Canna giocare bene insieme, perché abbiamo giocato tutte e due apertura e riusciamo ad organizzare bene il gioco. Se era per non privarsi di uno dei due in campo? Non credo fosse la prima cosa, ma uno dei motivi.

 

Pensi che abbia dato lo slancio definitivo alla tua carriera questo cambio di ruolo?

Ti posso dire di sì. L’apertura è un ruolo che mi piace, però come estremo ho trovato più spazio, riesco ad esprimermi meglio rispetto alle caratteristiche.

 

È un ruolo in cui puoi dimostrare anche tutta la tua ‘gamba’…

È vero, l’ho riscoperta anche io, non lo pensavo davvero. Il salvataggio su Vakatawa al Sei Nazioni? Molto divertente, anche per me.

 

Stiamo parlando di questa roba qua.

 

Chi ti ha aiutato maggiormente ad  affinare le caratteristiche da estremo? Segui un modello in particolare per continuare a crescere?

Come modello mi piace molto Israel Folau, perché è uno molto simile a me come fisico ma ovviamente lui è un mostro sacro. È uno dei migliori estremi al mondo. Mi ha aiutato molto Conor O’Shea perché anche lui ha giocato da estremo, lo stesso Mike Catt, anche se non lo aveva come primo ruolo. Che è sempre un campione del mondo.

 

O’Shea ha dato tanta importanza al gioco tattico al piede: come ci state lavorando alle Zebre e in Nazionale, quali principi seguitee se c’è continuità tra franchigia e Nazionale

C’è sicuramente continuità. Con le Zebre cerchiamo di continuare sulla stessa linea di gioco tattico, magari siamo un po’ più liberi di giocare anche nel nostro campo con la franchigia ma il piano di uscita è quello.

 

Il game plan di O’Shea coinvolge molto l’estremo nella risalita del campo, nell’alleggerire la pressione degli avversari proprio perché si gioca molto al piede. Ti sei sentito responsabilizzato, hai sentito la pressione?

Sicuramente ho avuto nuove pressioni e nuovi stimoli che mi hanno senz’altro aiutato, come aiutare l’apertura e il primo centro a scaricare le pressioni al piede, nell’organizzare il gioco in attacco. Erano cose nuove, che non avevo mai fatto, ma non sentivo la pressione sotto questo punto di vista.

 

In che settore del tuo nuovo ruolo pensi di dover migliorare in particolare?

Sul contrattacco. Mi sta piacendo molto l’idea di trovare dei buchi sulle palle perse degli altri, da dove sono arrivate anche le due mete (riferimento alle ultime marcate con le Zebre, contro Connacht e Dragons, nda). In questo penso che si possano fare dei miglioramenti, oltre al gioco aereo.

 

Si vede che gli piace contrattaccare, vero?

 

Capitolo Zebre. In un simile contesto, come riesce un giocatore a mantenere la serenità e a performare bene? Può anche divenire uno stimolo, o può limitare?

Victor e Roland ci stanno dando una grande mano, perché ci fanno pensare solo alla partita e all’avversario che verrà. Quando scendiamo in campo non pensiamo ai problemi della società, ma solo a portare a casa la partita e non a tutto il resto. C’è un’atmosfera positiva per queste ultime due partite, i risultati ne sono una prova. Vogliamo finire bene il campionato, vogliamo andare a Cardiff a fare risultato e vincere il derby.

 

A proposito di Cardiff: per l’ultima trasferta di Glasgow, sono servite 14 ore per arrivare a destinazione. Queste traferte lunghissime incidono sull’approccio ad una partita a livello fisico e mentale?

I viaggi sono un nostro tallone d’Achille, credo lo siano anche per Treviso. Dopo un po’ bisogna farci l’abitudine. Non è sicuramente un alibi per le sconfitte fuori casa, però ovviamente non aiuta. A Glasgow i ragazzi hanno fatto 14 ore di viaggio e credo che nelle gambe e sulla schiena si siano fatte sentire. Incide sicuramente.

 

Le poche vittorie di stagione con le Zebre sono arrivate in partite giocate a viso aperto, prendendosi magari qualche rischio in più e non giocando in modo conservativo. Pensi che franchigie e Nazionale possano sostenere un piano di gioco più aperto e meno tattico? Non c’è troppa insistenza sul gioco al piede?

Non ti posso dire quale sia la cosa più giusta, ti posso dire però che con le Zebre ci troviamo bene nell’attaccare uno spazio che è dentro la nostra metà campo. Sicuramente Brendan Venter ha un punto di vista diverso, perché parlando delle statistiche dice che le partite che si vincono sono quelle in cui sei più lontano dalla tua metà campo. E come logica non fa una grinza. Personalmente a me piace di più l’idea del contrattacco, non certamente rischiando tutto, ma dove c’è una possibilità concreta.

 

Hai citato Venter. Che tipo è in allenamento?

Sicuramente in raduno è sempre stata una persona molto positiva, anche dopo le sconfitte cercava sempre di trovare le cose positive del match. Credo sia una persona positiva, che ha portato un’aria nuova.

 

E anche schemi nuovi, come la famosa ‘Fox’. Com’è stato allenare quello schema nella settimana della partita?

Molto strano. Personalmente da estremo, vedevo cose di cui non capivo nemmeno le regole all’inizio, mi stavo perdendo.

 

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Nei primi test match si è visto un gameplan piuttosto conservativo, ma con il passare delle partite si è visto qualche tentativo in più di aprire il gioco. È nelle idee di O’Shea un’evoluzione di questo tipo?

Con l’Inghilterra, per quello che mi ricordo, c’è stata una delle prime volte con una mischia nel nostro campo che abbiamo provato a giocare. Penso abbiano preso in considerazione anche l’idea di giocare, però non te lo posso dire al 100%.

 

Capitolo nazionale: O’Shea ha sempre predicato ottimismo e fatto trasparire positività davanti alla stampa, anche dopo un Sei Nazioni così difficile. Come affrontava con voi le sconfitte più pesanti e che giudizio ti sei fatto di lui?

Conor, a mio parere, è uno degli allenatori migliori con cui abbia mai giocato. È una persona umile, che fa trasparire umiltà e positività, non ti dice fischi per fiaschi, ti dice quello che ti vuole dire senza nessun problema. Secondo me è la persona giusta per cambiare rotta.

 

Quella che sta per finire è la tua terza stagione con la maglia delle Zebre e nel Pro12, e quindi al livello più alto della piramide italiana esclusa la nazionale. Ti sei fatto un’idea della partecipazione di Benetton e Zebre al campionato, se serve davvero continuare o se bisognerebbe trovare altre soluzioni?

Credo che questo sia il campionato giusto per Benetton e Zebre, perché comunque ti misuri con tre squadre del Sei Nazioni come Galles, Irlanda e Scozia. Ci vorrebbero dei miglioramenti, ma questo è palpabile, legato anche alle trasferte che abbiamo detto e a livello organizzativo. Tante partite te le puoi giocare fino all’ultimo, poi ovviamente non vorrei cadere nell’alibi ma un’organizzazione diversa non sarebbe male.

 

C’è qualcosa anche nella mentalità che andrebbe cambiato?

Sicuramente, e ti dico che Conor sta facendo dei grandi passi in avanti con noi su questo. Personalmente mi sta facendo cambiare il modo di viverla nel complesso.

 

Con l’ultima domanda volevo tornare a quella meta non segnata contro la Scozia, quando eravate in due contro uno al largo con Esposito…

Avrei potuto fare meglio, avrei potuto segnare. Forse ho scaricato fin troppo presto il pallone a Angelo. È stato un errore mio, potevo portare di più il pallone, magari andavo in meta anche io, perché ho visto Hogg al mio interno e ho pensato che con un passaggio a 5 metri Angelo ci sarebbe arrivato.

 

Di Daniele Pansardi

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