“Quando il giorno dopo la partita ti fa male tutto, impari ad amare quel dolore”

Lo dice Pablo Matera in un’intervista al Times, in cui racconta il suo modo di intendere il rugby come stile di vita

Pablo Matera

Pablo Matera – ph. Sebastiano Pessina

Domenica 6 novembre incominciano le Autumn Nations Series 2022 di Argentina e Inghilterra, che si troveranno di fronte sul prato verde di Twickenham per rinnovare una profonda rivalità.

Anche se le formazioni per la sfida non sono ancora state rese pubbliche, è facile immaginare che ancora una volta i Pumas avranno dalla loro uno dei simboli della nazionale albiceleste degli ultimi 10 anni, Pablo Matera, 29 anni e 85 caps.

L’ex capitano argentino ha rilasciato una lunga intervista a Will Kelleher del Times, visto che la squadra sudamericana si trova in raduno in Inghilterra già dalla settimana scorsa, in cui ha parlato del suo modo di intendere il rugby, tra le altre cose.

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“A volte i miei compagni di squadra mi dicono ‘sei pazzo, ma ti ricordi quello che mi hai detto durante la partita?’ e io gli rispondo che no, non lo so. Durante una gara, perdo totalmente la cognizione delle cose. Non sono così dal lunedì al venerdì. Non so dire se io diventi una persona diversa, ma quello è un modo di esprimermi e lo adoro.”

“Il rugby è uno stile di vita, ti prepari tutta la settimana per il giorno della partita, che è il più bello perché fai quello che ami fare. Il giorno dopo ti fa male tutto il corpo e a volte ti dici che forse, visto come stai messo, il rugby non è proprio un granché, ma poi quando non hai quel dolore pensi ‘strano, riesco a camminare dritto’. A quel punto ti rendi conto che hai bisogno, addirittura ti piace, quel dolore.”

Il racconto di Matera, con alle spalle una lunga carriera da professionista, non è diverso da quello di molti giocatori che un contratto non lo hanno mai visto, ma che dopo il ritiro guardano con nostalgia ai dolori del giorno dopo, croce e delizia del lunedì. Perché l’abisso che divide il rugby pro da quello amatoriale si sta facendo sempre più profondo, ma c’è qualcosa che ancora rimane, in comune tra tutti coloro che hanno inseguito un pallone ovale su un campo da rugby nella vita.

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