Zebre: i 3 migliori stranieri in epoca celtica – Avanti

Abbiamo scelto un giocatore per “reparto”

ph. Sebastiano Pessina

C’era una volta un rugby italiano che, nel selvaggio momento intermedio di passaggio fra dilettantismo e professionismo, poteva mettere sul piatto preziosi denari e attirare dagli antipodi alcuni fra i migliori giocatori del mondo ovale.

Una potenza economica, quella degli anni Novanta, che si è andata disgregando tanto per motivi endogeni quanto per il radicale cambiamento di contesto del mondo sportivo e non. Nel corso degli anni Duemila, le squadra italiane non hanno comunque smesso di attingere dall’estero per irrobustire le proprie fila. Alle volte cercando nomi importanti in grado di fare da chioccia e lasciare qualcosa del loro passaggio, altre sperando di pescare il diamante grezzo da portare alla luce. I risultati sono stati altalenanti, sia nel mondo pre-rivoluzione celtica che dopo il passaggio di Benetton e Aironi (Zebre poi) alla competizione con le franchigie irlandesi, gallesi, scozzesi e adesso sudafricane.

Abbiamo provato a fare un breve elenco dei migliori giocatori arrivati dall’estero per militare nelle due franchigie italiane. Fra i candidati abbiamo considerato anche coloro che poi sono stati equiparati e hanno rappresentato la nazionale italiana a livello internazionale, a condizione che abbiano partecipato all’avventura celtica. Abbiamo estratto tre nomi per reparto per ognuna delle due squadre: dopo i 3 migliori trequarti di Leoni e Zebre Rugby, ed i 3 migliori avanti del Benetton Rugby, ecco i 3 migliori avanti dei multicolor.

Abbiamo scelto un giocatore per ogni reparto, escludendo Quintin Geldenhuys e Matias Aguero, come fatto per il Benetton con Dean Budd e Bram Steyn, considerati arbitrariamente “italiani” in questa analisi

Dries van Schalkwyk
Il flanker sudafricano nato a Bloemfontein è sicuramente uno di quelli che a Parma ha lasciato il segno, tanto da guadagnarsi, nelle sue cinque stagioni alle Zebre – dal 2012/2013 al 2016/2017 – anche la convocazione, da equiparato, in maglia azzurra, indossata in 16 caps a livello internazionale, fra cui quello nella vittoria a Firenze contro il Sudafrica, dove peraltro fu autore di una meta.

In Emilia il terza linea si è distinto per costanza e standard di rendimento elevati: 93 presenze e 24 mete, per un totale di 120 punti portati alla causa, fra Pro14 e coppe europee. Dati interessanti che però da soli non raccontano la cifra totale di un avanti con fiuto da marcatura pesante.
Saltatore affidabile in touche e motore perpetuo in mischia chiusa, van Schalkwyk dava il meglio di sé al placcaggio e nei panni del ball carrier.

Un “macinatore”, di quelli che in campo non passano inosservati, che ha contribuito alla crescita della franchigia multicolor sino al momento del suo addio nell’estate 2017, quando decise di far ritorno a casa per andare a vestire la maglia dei Southern Kings, terza franchigia sudafricana della sua carriera dopo le avventure in Super Rugby con Bulls e Lions.

“Le Zebre sono cambiate in ogni stagione, ma in questa c’è veramente un tutt’uno […] siamo tutti piccoli pezzi dell’ingranaggio e il rugby è così, non c’è spazio per prime donne”, in questo estratto dell’inverno 2015, a seguito di una vittoria raccolta nel derby sul Benetton, c’è probabilmente tutta la filosofia di un giocatore che per il pubblico ducale è stato un beniamino. Dietro a un microfono o sul campo, per Dries non c’era e non c’è tutt’oggi molta differenza. Se per gli appassionati il concetto di “maglia sudata” è spesso un parametro di valutazione emozionale dei giocatori, l’avanti classe 1984 non lasciava dubbi: la sua casacca lo era sempre è comunque. Un rugbista di valore e di valori: capace di coniugare dentro di sé le esigenze di un mondo ovale in costante movimento. In tre parole: Dries van Schalkwyk.

Johan Meyer
Arrivato a Parma sottotraccia, come scommessa in un mercato, quello del 2015, che avrebbe dovuto svoltare la storia delle Zebre, alla luce di innesti pesanti, del calibro di Muliaina, Burgess, Cook e Beyers, il flanker sudafricano classe ’93 si è trasformato ben presto in uno degli innesti dall’estero più azzeccati negli otto anni di attività della franchigia ducale.

Già nella primissima stagione in Emilia diventa titolare quasi da subito, uscendo raramente dalla lista gara di Gianluca Guidi, e collezionando 22 presenze (21 da titolare), 4 mete e diversi apprezzamenti per lo standard delle performance poste in essere con regolarità.

L’apporto in terza linea del nativo di Port Elizabeth assume contorni ancor più intriganti quando a Parma, nel 2017, sbarca Michael Bradley. Il ragazzo sudafricano, dotato di ottimo fiuto per la meta e di una notevole qualità nel saper trattare l’ovale nei passaggi e negli offload, assurge al ruolo di protagonista dell’attacco multicolor, nel sistema del coach irlandese, anche grazie alla capacità di battere costantemente il primo uomo, sfruttando sia la propria potenza fisica sia un dinamismo sopra la media.

Quasi inevitabilmente, una volta esauriti i tre anni di residenza italiana necessari per diventare eleggibili per la selezione azzurra, nell’autunno del 2018 Conor O’Shea lo convoca con l’Italia – nonostante la furiosa concorrenza in terza linea -, schierandolo in tutti e 4 i match novembrini (da titolare all’esordio contro l’Irlanda a Chicago, dalla panca nei Test contro Georgia, Australia e Nuova Zelanda). Un giro azzurro nel quale – dopo un 2019 a fari spenti – sembrava essere rientrato con Franco Smith in questi mesi, prima che una squalifica lo togliesse dai giochi a ridosso del kick-off del Sei Nazioni.

Ad ogni modo, in attesa di calcare nuovamente il palcoscenico internazionale, con 86 presenze (80 delle quali da titolare) contrassegnata da innumerevoli prestazioni di valore, stagione dopo stagione, Johan Meyer è entrato di diritto tra le figure più rappresentative della storia multicolor.

Eduardo Bello

In prima linea, l’attuale pilone destro del club ducale, sbaraglia una concorrenza tutta made in Argentina (Guillermo Roan ed Emiliano Coria Marchetti, entrambi in grado di archiviare presenze ufficiali in maglia Pumas, gli altri due a giocarsi un posticino), per la verità non straordinaria, per quantità di candidati papabili.

Arrivato a fine estate 2017 – con esperienze interessanti tra selezione Under 20 ed Argentina XV nel proprio bagaglio personale -, il pilone destro classe ’95, nonostante un infortunio al ginocchio che ne ha compromesso la parte finale della scorsa stagione, è salito, mese dopo mese, nella considerazione di coach Bradley.

L’ex prima linea dell’Atletico del Rosario ha archiviato 44 presenze (28 dal 1′) e divenendo una pedina fondamentale per l’economia della rosa multicolor, anche e soprattutto nel corso delle finestre internazionali, garantendo buona solidità in chiusa e dinamismo nel gioco aperto.

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