Sei Nazioni 2017: cosa ci lascia la prima giornata del torneo

Tre incontri che hanno detto parecchio dello stato di forma delle squadre e del torneo che ci aspetta

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ph. Reuters

I primi 240 minuti di torneo sono andati in archivio con le sfide di Murrayfield, Twickenham e infine dell’Olimpico di Roma. Tre incontri che hanno detto parecchio dello stato di forma delle squadre e del tipo di torneo che ci aspetta. Equilibrio sembra essere la parola d’ordine: nessun bonus offensivo, due difensivi e la sensazione che sia stato l’anno giusto per sperimentare l’introduzione del moderno sistema di punteggio. E poi la sensazione, già lasciata da novembre, che questo Emisfero Nord abbia accorciato notevolmente le distanze con le potenze sotto l’Equatore.

 

 

Galles: quello vero è quello del secondo tempo

Partita difficile da decifrare, quella giocata dai Dragoni contro l’Italia. Incapaci di imporre il proprio di gioco e di imporsi nel primo tempo, più aggressivi e abrasivi nella ripresa. C’è del demerito nella difesa azzurra che sembra aver tirato in parte i remi in barca attorno all’ora di gioco, ma il Galles ha giocato la propria onestissima partita sfiancando l’avversario per poi dare il colpo di grazia con due mete in cinque minuti. Può andare fino in fondo? Quello visto all’Olimpico non è certo un Galles perfetto, ma considerando che non lo sembrano esserlo nemmeno Scozia e Irlanda…

 

 

Scozia: dopo le performance, il risultato

Quasi che d’un tratto tutto si sia cancellato. Il 35-34 dei Mondiali contro l’Australia, il 22-23 di novembre sempre contro i Wallabies… Ma oltre la soddisfazione e la gioia, che immaginiamo siano state parecchie per le strade di Edimburgo sabato sera, il successo contro l’Irlanda certifica la maturità di questa Scozia. La migliore degli ultimi anni, aveva detto capitan Laidlaw prima del Sei Nazioni, e il campo gli ha dato ragione. Pack solido, difesa tosta, trequarti pericolosi se messi sul piede avanzante. Ma soprattutto, la scomparsa dei giri a vuoto che avevano funestato le prestazioni della squadra di Cotter negli ultimi anni. Il tutto in un momento positivo per l’intero movimento: Glasgow ed Edimburgo ai quarti delle Coppe Europee, la Nazionale Seven maschile che arriva in semifinale nelle Series…Ciò che più colpisce della vittoria con l’Irlanda, è la capacità di non uscire mai dai binari ortodossi del proprio gioco: cose semplici, Laidlaw che scandisce i tempi ora accelerando ora riorganizzando, Hogg con licenza di far danni.

 

 

Inghilterra: il peggio forse è passato

La quindicesima vittoria consecutiva è stata una delle più difficili e la realtà è che le assenze dei due Vunipola si sono fatte sentire. Statistiche alla mano, Hughes ha corso 46 metri palla in mano facendo 15 volte da carrier: non male, certamente, ma la sensazione è che Billy Vunipola abbia maggior impatto e influenza nel sistema di gioco di Eddie Jones. Parte dei demeriti inglesi sono da bilanciare anche con i meriti della Francia, ma forse il peggio è passato: se il dopo Mondiale dalle parti di Twickenham ha insegnato qualcosa, è che la testa fa tutta la differenza del mondo. E superato quest’ostacolo, la squadra potrebbe acquisire consapevolezza. Anche perché le parole di Jones in conferenza stampa non sono state tenere: “Pensavo fossimo terribili. E’ sempre un bene vincere quando giochi male. Non ho preparato bene la squadra e dobbiamo fare molti compiti per casa in vista del prossimo impegno. Forse devo andarci giù più pesante. Soprattutto con la mischia abbiamo giocato sotto i nostri standard”. E poi c’è Itoje: che non ha fatto la partita della vita, ma nel finale è salito in cattedra con due cacciate a terra in momenti decisivi del match e ancorando su di sé la rimessa inglese.

 

 

Francia: manca solo la vittoria

Bella, a tratti bellissima. Non succede tutti i giorni di vedere il pack inglese soffrire a Twickenham, eppure la scelta di coach Novès di schierare tre terze linee fisiche ha pagato dividendi molto alti. Il resto l’hanno fatto passaggi, movimento, offload che mandano in meta un pilone e un triangolo allargato tra i più imprevedibili del torneo, con Speeding, Nakaitaci e Vakatawa a creare continui pericoli nel gioco rotto e non. Dimostrazione (se mai ce ne fosse bisogno) che per permettersi un certo tipo di gioco serve prima di tutto un pack vincente e in grado di dare avanzamento. Le sconfitte risicate contro Australia e Nuova Zelanda sono due indizi, il terzo è la prestazione di Twickenham. Dopodiché, la cura Novès potrà dirsi assimilata.

 

 

Italia: un passo avanti o uno indietro?

Le aspettative erano alte per la prima di Conor O’Shea nel torneo più prestigioso. L’obiettivo, è stato detto più e più volte, non era tanto il risultato quanto piuttosto la capacità da parte degli Azzurri di offrire una prestazione di livello per tutti gli ’80 minuti del match, che giustificasse anche le scelte nei 23. Alla luce di quanto visto domenica all’Olimpico, non si può certo dire che l’obiettivo sia stato raggiunto. Dopo un buon primo tempo infatti, il rientro dagli spogliatoi è stato particolarmente difficile: pochissimo possesso, pochissimo territorio e la necessità di difendere gli attacchi di un Galles che col passare dei minuti è cresciuto in confidenza e intensità. Sia chiaro, la prova degli Azzurri dal punto di vista fisico è stata all’altezza, con prestazioni individuali di livello come Mbandà e Padovani. E vedersi fischiare contro 16 calci di punizioni, che ti costringono continuamente a tornare indietro, taglia gambe e mente. Ma la sensazione è che ad un certo punto sia finita la benzina, fisica o mentale poco importa, e ai primi segni di cedimento il muro sia crollato. La cosa migliore? Sabato si torna in campo…

 

 

Irlanda: a questo link l’analisi di Damiano Vezzosi.

 

di Roberto Avesani

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