Summer Nations Series: cosa ci lascia la serie tra Sudafrica e Irlanda

Le novità proposte dalle squadre, i gesti tecnici protagonisti, le facce nuove di una serie intensissima

irlanda sudafrica

L’esultanza dei giocatori dell’Irlanda dopo la vittoria contro il Sudafrica – ph. PHILL MAGAKOE / AFP

La serie di due partite fra Sudafrica e Irlanda doveva risolvere una questione e non lo ha fatto. Unfinished business, un lavoro da finire: era il modo in cui gli Springboks avevano lanciato i test contro i campioni del Sei Nazioni, due gare per determinare quale delle due fosse effettivamente la squadra più forte del mondo.

La verità è che al termine di 160 minuti eccezionali l’unica certezza che è emersa è che ne vorremmo ancora, di partite come questa. Di scontri violenti, di profondo disamore solo sportivo, di gesti tecnici raffinatissimi, di it’s in your head, Rassie, ie, ie.

Ognuno avrà poi la sua opinione su quale sia, effettivamente, la squadra migliore del pianeta in questo momento, ma l’uno a uno maturato tra Pretoria e Durban non lascia scampo: il Sudafrica e l’Irlanda sono le due squadre migliori al mondo, senza dubbio.

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Che cosa ci lascia Sudafrica-Irlanda

Dopo la Rugby World Cup 2023 tutte le squadre del mondo, chi più chi meno, stanno operando una transizione in apertura di un nuovo ciclo. Per le home unions (e per i Wallabies) il ciclo ha un orizzonte abbastanza immediato: il tour dei British & Irish Lions in Australia nel 2025. Per tutte le altre si guarda al 2027.

Sudafrica e Irlanda, consapevoli del loro immediato scontro al vertice, sono le squadre che hanno cambiato meno delle altre, soprattutto in termini di protagonisti in campo. Ciononostante, sono chiare alcune evoluzioni in entrambi i contesti.

Nelle loro prime due uscite con il nuovo staff insediatosi dopo il mondiale, gli Springboks hanno mostrato un gioco offensivo più propositivo e volto alla ricerca degli spazi rispetto al rugby reattivo a cui ci avevano abituato nella fase finale della Rugby World Cup.

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Pur senza variare particolarmente la loro composizione, in particolare nella linea arretrata, è stata immediatamente visibile la mano di Tony Brown, l’allenatore neozelandese incaricato di gestire l’attacco. Brown, che è stato assistente del Giappone del 2019 e in odore di un ruolo con gli All Blacks in passato, sta cercando di introdurre un gioco più strutturato e di movimento nel sistema offensivo sudafricano, in maggiore sintonia con quello che vediamo giocare dalle franchigie di URC rispetto alle abitudini della nazionale.

Una mossa che potrebbe pagare ampi dividendi nel futuro prossimo, ma che nella serie contro l’Irlanda ha prodotto sequenze belle ed efficaci, ma che è poi inciampato nel momento di concretizzare e portare a casa punti pesanti. Nella prima partita gli Springboks hanno segnato tre mete, ma soltanto una costruita attraverso il gioco. Nella seconda i punti sono arrivati solo dal piede di Pollard, il che non significa che l’attacco non abbia funzionato (ha pur sempre portato la squadra in zona punti attraverso la manovra offensiva, costringendo gli avversari all’indisciplina), ma chi ha visto la partita sa che il Sudafrica ha commesso qualche errore quando di punti ne poteva portare a casa 7, invece che 3.

Merito anche di una difesa irlandese che ha veramente fatto la differenza nella propria zona rossa, grazie all’abnegazione con cui i giocatori hanno gettato i propri corpi sui portatori avversari, aggredendoli e togliendo loro tempo d’azione e di scelta. L’Irlanda ha alzato il volume dello scontro fisico, esasperandolo e confidando nelle qualità di una rosa che, contro lo stereotipo, aveva in media più centimetri e più chili degli avversari. Nel secondo test un approccio maggiormente orientato a liberare il proprio campo al piede (36 calci della sola Irlanda in gara-2 contro i 36 di entrambe le squadre in gara-1) ha prodotto un maggior controllo del territorio per gli ospiti.

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Un’Irlanda che è riuscita a resistere malgrado lo strapotere del Sudafrica in mischia ordinata, arrivato a toccare l’ennesima potenza. Se nel primo test i Bokke hanno segnato quella meta distruggendo gli avversari con la spinta a cinque metri, nel secondo le cose non hanno raggiunto lo stesso picco di qualità ma sono andate ancora meglio in media: l’Irlanda ha perso 4 possessi dalla propria mischia, Andrew Porter, Tadhg Furlon e Finlay Bealham costantemente messi sotto dai rispettivi dirimpettai.

La giocata protagonista di Sudafrica-Irlanda

In due partite consecutive l’Irlanda ha segnato utilizzato la medesima giocata e mettendo in scacco gli avversari dopo un drop dalla linea di meta.

Due partite diverse, due variazioni sullo stesso spartito, lo stesso marcatore: Conor Murray.

Nel primo test, al 72′, il Sudafrica ha giocato un drop dalla linea di meta dopo che la difesa aveva brillantemente tenuto alto Caelan Doris che cercava la segnatura. Il numero 8 irlandese è stato lo stesso che è andato a percuotere la difesa dopo il calcio avversario, e nella successiva fase è arrivata la giocata decisiva: palla al giocatore centrale di un pod di avanti, finta di passaggio interno e Ronan Kelleher, rimasto nascosto, che si infila fra i compagni per bucare la difesa.

Una giocata di cui si attendevano nuove varianti se fosse ricapitata una situazione simile, ma l’Irlanda è riuscita di nuovo a sorprendere gli avversari nei minuti iniziali del secondo test, dimostrandosi ancora una volta la squadra migliore del mondo nella progettazione e nell’esecuzione di singole strike plays.

Stavolta la giocata è arrivata non immediatamente in seconda fase, anche se alla difesa è stata presentata la stessa immagine dalla struttura dell’attacco irlandese. In terza fase, stavolta con una cellula composta da avanti e trequarti, è stato Jamie Osborne a bucare la difesa comparendo tra portatore e interno all’ultimo secondo.

Splendido, poi, come l’Irlanda sia riuscita a finire l’azione con un gioco oltre la difesa di altissima qualità.

Come ha sottolineato il giornalista irlandese Murray Kinsella, lo staff irlandese ha pescato questa giocata dal Munster, l’ha rielaborata e resa un’arma letale, la vera e propria protagonista della serie.

Facce nuove alla ribalta

Certo, la copertina di Sudafrica-Irlanda, immancabilmente finirà per essere di Ciaran Frawley.

Malgrado il mediano di apertura del Leinster abbia giocato un totale di 50 minuti in due partite, i suoi due drop per rimontare e vincere la partita numero 2 contro gli Springboks sono stati due perle eccezionali di un giocatore che è maturato lentamente, ma che merita sempre più spazio tra club e nazionale.

Un gesto tecnico, quello del numero 22 in verde, che assume un significato particolare se si pensa che proprio il suo drop mancato all’ultimo minuto della finale di Champions Cup tra il suo Leinster e il Tolosa aveva finito per consegnare il trofeo più ambito alla squadra francese. Una piccola storia di riscatto che lancia Ciaran Frawley fra i possibili protagonisti della prossima stagione anche in franchigia.

Infine, c’è da spendere una parola per due protagonisti inattesi della serie. Jamie Osborne e Sacha Feinberg-Mngomezulu, il primo di tre mesi più vecchio dell’altro, hanno davvero impressionato nella seconda partita della serie.

Osborne, alla seconda presenza internazionale in un ruolo che solitamente non ricopre con il Leinster, ha riscattato completamente la prova traballante di una settimana prima. La sua fisicità e il suo atletismo hanno fatto la differenza sia nei contrasti aerei che nelle situazioni di contatto. In tutta la gara ha commesso forse un solo errore, giudicando male un insidioso calcio di liberazione di Grant Williams.

Mngomezulu, entrato al secondo minuto a causa della concussion subita da Willie le Roux, ha avuto forse qualche piccola sbavatura in più, ma ha dimostrato le sue clamorose qualità individuali con un paio di serpentine imprendibili in situazioni di contrattacco e il suo retaggio da mediano d’apertura del Sudafrica U20 con qualche scelta intelligente da secondo playmaker. A 22 anni non può avere il carisma nella gestione di le Roux, ma ha dimostrato di possedere le qualità per esserne il più che degno erede.

Lorenzo Calamai

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