A 40 anni lascia una delle leggende del rugby professionistico australiano
Si è ritirato a 40 anni Matt Giteau, leggenda del rugby australiano.
Lo ha annunciato con un messaggio sui propri account social, mettendo così fine ad una carriera durata più di 20 anni, in cui ha girato il mondo intero, inseguendo un pallone ovale dai rimbalzi imprevedibili.
Più di altri, però, Giteau quei rimbalzi ha saputo leggerli, controllarli, piegarli al proprio talento. Innamorato del suo sport fin da piccolo, cresciuto in una famiglia dove il padre, Ron, è stato un giocatore dell’Australia di rugby league e la sorella maggiore Kristy ha giocato per la nazionale australiana di entrambi i codici del rugby.
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Ha esordito nel Super Rugby nel 2001, a 19 anni. A 20 era già in nazionale. Nel 2003 era in panchina durante la finale della Rugby World Cup a Sydney, persa contro l’Inghilterra. Entrò in campo a più riprese per una ferita sanguinante alla bocca di Stephen Larkham, l’apertura dei Wallabies, che continuava a riaprirsi.
Nato apertura, spesso schierato primo centro, in un’Australia sovrabbondante di talento nel reparto arretrato venne spostato anche a mediano di mischia per succedere a George Gregan.
Nel 2011 lasciò l’Australia per la Francia, destinazione Tolone. Era il momento in cui la squadra rossonera assemblava i migliori giocatori al mondo, e combinando l’eccellenza dei migliori anni di Giteau con il tramonto dorato della carriera di Jonny Wilkinson il club vinse tutto: 3 Champions Cup e un Top 14.
Nel 2015 Michael Cheika convinse la federazione australiana ad inventarsi la Giteau Law, ovvero una regola che permettesse ai veterani con oltre 60 caps di continuare ad indossare la maglia della nazionale anche se militanti all’estero. Se lo portò alla Rugby World Cup, ridandogli la maglia numero 12 che non vestiva da quattro anni, e Giteau ricambiò a suon di prestazioni che portarono i Wallabies in finale. Una finale che fu poi sfortunata, visto che lasciò il campo a inizio gara per un colpo alla testa.
L’amore di Giteau per il gioco lo si è visto anche nell’insistenza sul viale del tramonto, nella volontà di spremere ogni molecola ovale dal suo corpo sul campo di gioco negli ultimi anni: tre stagioni ai Suntory Sungoliath in Giappone, due negli Stati Uniti con i Los Angeles Giltinis, sempre corredate da trofei.
Chiude con 103 presenze internazionali e la reputazione di uno dei grandissimi del gioco, leggenda ancor prima del ritiro. Nei commenti al suo post che comunica l’addio al rugby giocato, tra i tanti quello più significativo è forse quello di Quade Cooper: “Grazie per quello che hai fatto per noi. Mi ricordo di essere arrivato in ritiro per la prima volta e tu eri il punto di riferimento per ogni cosa. L’unica cosa che volevamo noi giovani era seguire le tue orme.”
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