Gerald Davies: il Pro12 ha bisogno dell’Italia e viceversa, ma servono pazienza e coesione

Il numero uno del campionato celtico ci ha parlato della presenza azzurra nel torneo. Chiedendo alle Federazioni unità interna ed esterna…

ph. Jason O'Brien/Action Images

ph. Jason O’Brien/Action Images

Un passato da giocatore con 46 caps con il Galles e 5 con i British&Irish Lions, Gerald Davies è dal dicembre 2014 chairman del Guinness Pro12, incarico che ha ricoperto dopo altri impegni di alto livello fuori dal campo, come quello di Manager del tour Lions 2009 in Sudafrica e poi chairman della gloriosa selezione. In occasione della conferenza stampa di presentazione della prossima stagione celtica, abbiamo posto alcune domande a Davies circa la partecipazione italiana alla competizione celtica.

 

Durante la presentazione della prossima stagione ha parlato della crescita del torneo e definito la scorsa edizione la più importante in assoluto dalla nascita del Pro 12. Anche l’Italia ha un ruolo in tutto questo?
Il Pro12 ha bisogno dell’Italia. La cosa importante è che adesso la competizione ha una propria stabilità, e i risultati si sono visti nell’eccezionale ultima stagione, e voglio credere che il torneo crescerà ancora. L’Italia ha un ruolo molto importante in questo processo, guardiamo al vostro paese con interesse affinché diventiate competitivi.

 

Lei è in carica dal dicembre 2014, ma in generale dopo ormai cinque anni di partecipazione italiana non vi aspettavate risultati migliori in termini di gioco ma anche, per esempio, di risposta del pubblico?
Per l’Italia questa è una situazione nuova. Il gioco del rugby in Italia è in crescita e si sta sviluppando nel modo giusto, e la prova è l’aumento di competitività della Nazionale nel Sei Nazioni, dove gioca un ruolo importante. Se siamo abbastanza pazienti, arriverà anche la competitività nel Pro12. Dico sempre che l’Italia è nuova in questo mondo dell’alto livello. Prendiamo la Francia, e quanto ci ha messo prima di diventare competitiva nell’allora Cinque Nazioni e vincerlo. Bisogna essere pazienti. Credo che il percorso sia simile, ma richiede tempo.

 

È convinto che questa sia la via migliore all’alto livello?
Questa è la strada per raggiungerlo. Basta vedere la crescita che hanno i singoli giocatori nel passare al Pro12 prima e alla Nazionale poi. L’Italia comunque già ha un proprio ruolo nel rugby europeo, e le cose non possono che migliorare.

 

Ad inizio 2014 la situazione di incertezza sul futuro italiano nel torneo, ora le voci sull’ingresso di due squadre Exiles. Tutto ciò non aiuta di certo a programmare…
C’è stato di più. Prima c’è stata l’incertezza data dalle discussioni interne tra Regions e WRU in Galles, che sono andate avanti per due anni. Tutto ciò ha dato situazioni problematiche al Pro12, non c’erano certezze per le televisioni, per gli sponsor, per la struttura del campionato. Ci sono stati problemi anche in Italia, ma sono stati risolti e siamo in una solida posizione.

 

Quanto è difficile come Board di una competizione mantenere gli equilibri con quattro Federazioni diverse?
Questo è il punto più importante e la vera sfida. Nel mio discorso ho detto che il valore aggiunto è proprio quello di avere una competizione che travalica i confini, toccando quattro diversi paesi ciascuno con la propria tradizione, la propria storia e la propria cultura. E questo è estremamente attraente ma dobbiamo trovare coesione, andando avanti insieme non come quattro nazioni ma come fossimo una. Dobbiamo muoverci con unità per far sì che il Pro12 abbia successo.

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